Approda su Disney+ l’acclamata serie americana “The Bear”, creata da Christopher Storer.
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Jeremy Allen White, noto nel mondo delle serie soprattutto per il suo ruolo in “Shameless”, interpreta Carmen, giovane e rinomato chef, dedito ad una tipologia di cucina raffinata, che torna a Chicago per gestire la squallida paninoteca italiana di suo fratello, recentemente scomparso.
Carmen sembra stanco, sfibrato, ma si capisce che la sua è una personalità buona: dettaglio interessante, chiama tutti i membri della cucina “chef”, in segno di rispetto e gentilezza.
Integrarsi con uno staff alquanto indisciplinato e sagace, proporre cambiamenti drastici al menù, fronteggiare Richard (Ebon Moss-Bachrach), il rude manager de facto del ristorante e migliore amico del fratello defunto, divincolarsi tra i debiti della struttura e tener testa ai propri demoni interiori: Carmen è tenuto a fare tutto ciò. E questa Mission Impossible è praticamente la trasposizione, a livello emotivo, del primo episodio: mezz’ora di urla, ansia, stress e sporcizia – reale e metaforica – da pulire.

The bear
The Bear: La serie si svela poco per volta
Una prima puntata che è una mezz’ora di fuoco, che ci scaraventa in medias res nel forsennato mondo in cui è ambientata la storia, raccontandoci però poco e niente dei suoi personaggi. E’ nella seconda, che le dinamiche iniziano a dipanarsi meglio e i caratteri dei personaggi ad emergere con maggior chiarezza. Spicca la giovane Sidney (Ayo Edebiri), chef di talento piena di inventiva che vorrebbe regalare al ristorante di Carmen una maggior dignità, ma i cui spunti vengono cassati vista la situazione alquanto precaria della paninoteca.

Un black humor caustico e non subito accessibile percorre la narrazione e i dialoghi, e un secondo episodio già più riflessivo ed introspettivo lascia intravedere la ricerca di un equilibrio tra le diverse anime viste finora, quella più aggressiva e adrenalinica e quella più malinconica e drammatica.
E proseguendo con la visione degli episodi, effettivamente, questa teoria trova conferma: si scende poco per volta nelle psicologie dei personaggi e nei dilemmi che li affliggono, i rapporti si modificano, le difficoltà relazionali si superano (passando inevitabilmente, però, per insulti, minacce e incomprensioni). Anche il cibo che ci viene mostrato sullo schermo, di pari passo con i progressi del ristorante, diventa più invitante ed appetitoso.
Particolarmente interessante, poi, la suddivisione del finale: il settimo e penultimo episodio dura appena una ventina di minuti, rispetto alla mezz’ora degli altri, ed è quanto di più adrenalinico, stressante e violento ci si possa aspettare da una situazione degenerata all’interno di una cucina (e nei rapporti tra i personaggi). L’ottavo ed ultimo, prendendosi cinquanta minuti di tempo, riassorbe tutta questa angoscia per sublimarla ed elaborarla in un finale pacificatorio e che apre le porte alla seconda stagione, già annunciata.
La serie ha avuto un’accoglienza di critica e di pubblico ottima, probabilmente grazie all’originale mix di ingredienti, è il caso di dirlo, che la compone.