Nello spazio che MUBI dedica in questi ultimi mesi alla grande attrice Tilda Swinton, Cycling the frame rappresenta il film che ha reso possibile l’incontro tra la celebre attrice britannica, ai tempi non ancora nota al grande pubblico, alla regista Cynthia Beatt, che ha inteso ritrovarla a vent’anni di distanza con quell’opportuno The invisible frame. Risalente appunto al 2009, epoca in cui del triste muro divisorio con cui si spartì l’allora ex capitale tedesca Berlino, si scoprono solo i dettagli semi-nascosti della sua tragica e minacciosa presenza, che ha comportato divisioni e tragedie immani, in una Europa divisa in due.
Cycling the frame. A Berlino… va bene
Parafrasando il titolo dello splendido pezzo anni ’80 del cantautore italiano Garbo, un viaggio in bicicletta che l’ allora giovane e poco nota attrice Tilda Swinton intraprende nel solo lato praticabile della ex capitale tedesca Berlino, ovvero la parte Ovest. Il viaggio permette all’attrice di concentrarsi in riflessioni che partono da quella insolita e infelice situazione, spaziando verso un punto di vista che anela a ritrovare un mondo finalmente libero da vincoli che mettano a repentaglio valori inalienabili come la libertà e la dignità delle persone.
“Oggi mi sento un pezzo di questa bicicletta. Sono fissata a questa bici, ma non so dove siamo dirette. La bici mi porta ovunque lei vada”.
Il connubio tra corpo e mezzo meccanico permette infatti alla mente di compiere un suo viaggio, questa volta senza ostacoli materiali o limiti. Un viaggio nella purezza e nella contemplazione di un mondo che si rivelava, in quegli anni da cortina di ferro, vera utopia. Che non è possibile, oggi meno che mai, tradurre in un viaggio concreto che contempli corpo e mente indistintamente.
“Oh muro! Oh bel muro. Sarebbe divertente se cadessi davvero. La gente ti camminerebbe sopra per continuare la propria vita. Oh muro! Oh bel muro. Quando ti vedo mi colpisci nel vivo.”
Un desiderio che si trasforma in profezia: il muro crollò solo pochi mesi dopo, il 9 novembre del 1989.
Cycling the frame – la recensione
Il primo capitolo del dittico di Cynthia Beatt è inevitabilmente, e per fortuna, figlio riflessivo e intelligente dei suoi tempi. Un film destinato a completarsi col seguito girato a ventun’anni di distanza, intitolato The invisible frame, che rende l’operazione particolarmente interessante e piena di suggestioni, create dal tempo e dalle mutate condizioni geo-politiche che hanno cambiato il volto dell’Europa in quei due decenni.
Alla fine del Conflitto mondiale, gli Alleati alla Conferenza di Jalta, divisero Berlino in quattro settori: la Francia controllava la parte nord occidentale, l’Inghilterra quella occidentale, mentre gli Usa quella sud-occidentale.
Come tristemente noto, l’intera parte orientale della città rimase sotto la supervisione dell’Unione Sovietica, che dovette innalzare il tristemente noto muro per impedire trasferimenti in massa della popolazione ad Ovest.
Nel suo viaggio in bici la Swinton nota come, tra gli abitanti che vivono nella parte Ovest, nella quieta armonia delle proprie belle case con giardino, il muro che passa vicino alle abitazioni sia divenuto qualcosa di quasi invisibile: un obelisco senza fine ignorato come se nulla fosse. “Ma come si fa a vivere in un’isola ignorando il mare?”
La fine del viaggio vede la Swinton avvicinarsi quanto più possibile alla famosa Porta di Brandeburgo, preceduta dal muro che ne impedisce l’accesso. Lo sguardo della protagonista oltrepassa l’ostacolo, facendo presagire allo spettatore che in un futuro sarà possibile viaggiare col corpo così come con lo sguardo.
La circostanza si è avverata solo qualche mese successivo, trasformando quel luogo di confine invalicabile in un monumento che, al contrario, ora rappresenta per Berlino la raffigurazione dell’abbattimento di ogni frontiera.
In meno di mezz’ora, la Beatt riesce a concentrare azioni e pensieri che il tempo e gli importanti sviluppi storici hanno ancor più impreziosito, rendendo l’opera una testimonianza fondamentale, che ben si lega all’altrettanto valido e potente film successivo, il già citato The invisible frame.