Vestita di scuro, coi capelli neri raccolti, Rebecca Myriam Clara Zlotowski – regista e sceneggiatrice francese, classe 1980, di origini ebraico-polacche da parte di padre ed ebraico-marocchine da parte di madre – ci accoglie con un sorriso cordiale e una gentilezza spontanea, nella magnifica cornice di Villa Medici, dove è intervenuta come ospite d’onore per presentare il suo ultimo film in buona parte autobiografico I figli degli altri (in sala dal 22 settembre distribuito da Europictures) e per rispondere alle domande dei giornalisti .
Perché ha scelto di fare un film sulla maternità e da quale angolazione voleva raccontare una storia così forte e autentica?
Intanto perché era un tema profondamente connesso con la mia vita, con un periodo della mia vita: anche io come la protagonista stavo con un uomo che aveva una figlia ed ho messo a confronto la mia vita con lo script del film per vedere se questa storia faceva risuonare in me una campanella e ho riflettuto che era così e ho fatto quello che fanno molti filmakers, mettere la loro vita nei film. Non c’era finzione nei personaggi, perché conoscevo bene le loro emozioni e sentimenti, soprattutto quelli della protagonista, una donna molto innamorata e benevolente che cercava solo di far parte di una famiglia e coinvolgersi con essa. E mi sono accorta che questa storia non era solo un soggetto cinematografico, ma era anche un argomento sociale del quale mi interessava parlare.
Quanto c’è di lei Rebecca nel personaggio di Rachel, e quali sono le emozioni e le riflessioni ‘al femminile’ che l’hanno spinta a scrivere e dirigere un film su un tema delicato e non certo diffuso?
C’è molto di me nel personaggio di Rachel, diciamo che lei sono io, tanto che la tomba della madre sulla quale andiamo a pregare è veramente la tomba di mia madre. E c’è molto di me in lei perché era facile per me, perché era più onesto e semplice. E sentivo anche che questa storia non era stata raccontata, forse perché le persone come me impiegano molto tempo a prendere consapevolezza di quello che vivono, dunque fare questo film era anche un modo per attivare una sorta di risveglio collettivo, ho corso il rischio di rappresentarmi, sperando di essere capita. Avevo l’occasione di assemblare altre storie, le storie di altre persone con esperienze simili, non specifiche ma universali, di situazioni familiari difficili e non sempre felici, come si racconta spesso al cinema, ma con un taglio diverso. Sentivo che altre persone come me avrebbero potuto riconoscersi nelle storie di vita raccontata sui “figli degli altri”.
Virginie Efira sembra perfettamente calata nel ruolo della protagonista, perché ha scelto lei?
Virginie è un’attrice che può fare tutto, ogni ruolo, evidentemente. Credo stia bene nel ruolo di Rachel perché non è una persona eterea e misteriosa, non ha una femminilità arcaica ma è una donna estremamente contemporanea, brillante e concreta e per questo tutti i filmakers desiderano lavorare con lei, ma specialmente le registe donne, e lei ha lavorato con molte registe se si guarda alla sua filmografia, anche perché ci si può affidare alla sua capacità e sensibilità nell’esprimere una vasta gamma di emozioni.
Perché secondo lei, ancora oggi, si tende a giudicare il ruolo delle donne nella società sulla base della maternità e dell’avere figli?
Non saprei dirlo con certezza, ma è qualcosa di ancora correlato con la comunità, con la trasmissione di noi stessi e con il senso comune. Non vorrei entrare in spiegazioni sulla storia del patriarcato ma ci sono certe ragioni per cui le donne hanno sempre ‘scelto’ di essere madri, legate non solo a ragioni biologiche, ma al fatto che sono state principalmente coinvolte all’interno della casa e delle mura domestiche. Sentivo di voler garantire, nel film, che ogni donna può sentirsi completa e stare bene anche senza essere madre, ma la situazione è complessa perché, in ogni caso, può rimanere una sorta di ‘dolore’ a causa di questa mancanza, in alcuni casi succede, e si cerca di sublimare questi sentimenti, perché si ha il desiderio di trasmettere qualcosa di noi. Questo non è legato all’essere donna o alla maternità, ma è connesso anche all’essere padri e genitori e, in generale, ad ogni essere umano. Ciascuno di noi incontra qualcuno nella vita e nel mondo che si ricorda di noi. Alla fine del film infatti, dopo la scena finale, c’è un’altra scena che rappresenta una sorta di secondo finale (non voglio fare spoiler!): in quella scena volevo dire che ci sono così tante trame nella nostra vita nelle quali si può trasmettere tanto di noi a bambini e giovani, ci sono persone che possono sostituire le madri. Ho perso mia madre quando avevo 11 anni e sono cresciuta circondata da tante altre donne e uomini che mi hanno trasmesso i valori che hanno costruito la mia vita. Credo fermamente che la maternità non sia necessariamente connessa con la maternità biologica. Sento che siamo così in ritardo nel cinema nella rappresentazione di tutto questo; bisognerebbe indirizzare certi temi nei soggetti cinematografici. Tutto è connesso con le scelte che si fanno, l’importante è confrontare le potenzialità ed i limiti delle nostre scelte.
Quali caratteristiche cercava per il ruolo affidato a Chiara Mastroianni?
Era molto importante per me come regista avere nel film due donne forti, due personaggi di donne forti a confronto, e sono molto contenta perché anche Chiara è un’attrice affascinante: lei e Virginie non avevano mai girato insieme forse proprio perché sono due protagoniste così famose e desiderate nel cinema francese. Io volevo mettere di fronte due persone non conflittuali e aggressive, ma due donne con un analogo modo di sentire, capaci di interagire con rispetto, in modo intelligente e benevolenti l’una verso l’altra, legate dalla malattia di una mamma conosciuta da entrambe. Chiedendo a Chiara di far parte del cast ho visto un’ombra sul suo volto forse perché qualcosa del suo passato le ha ricordato le vicende del film e questo fa di lei una grande professionista, capace di sostenere un personaggio anche se per lei doloroso.
Rebecca Zlotowski è una regista, scrittrice e sceneggiatrice nata il 21 aprile 1980 a Parigi (Francia). Oggi è al cinema con il film ‘I figli degli altri’ distribuito in 31 sale cinematografiche. Nei suoi 2 anni di carriera come regista ha diretto ‘I figli degli altri’, ‘Planetarium’ e ‘Un’estate con Sofia’. Rebecca Zlotowski ha oggi 42 anni.