Elvis è l’opera più matura di Baz Luhrmann e, che piaccia o meno, è autore di un cinema personale, capace di incidere sulla forma delle proprie narrazioni. Distribuito da Warner Bros Elvis ha ricevuto 8 candidature agli Oscar 2023 ed è disponibile su Netflix.
L’Elvis di Baz Luhrmann
Se qualcuno aveva ancora dubbi sul fatto che Baz Luhrmann fosse un autore, il passaggio nelle sale del suo ultimo lavoro potrebbe mettere d’accordo se non sul gusto cinematografico, almeno sulla capacità di uno sguardo capace come pochi di essere riconoscibile per la maniera in cui, a partire da Romeo + Giulietta di William Shakespeare, riesce a incidere sulla forma della narrazione.
Elvis ne è prova quando dalla prima all’ultima immagine reinventa l’immaginario del protagonista secondo i dettami di un’iconografia popolare e insieme sofisticata (nello stile), capace di attraversare il tempo per restituirci un Elvis contemporaneo al punto tale da risultare vicino allo stesso modo in cui lo è la sua musica nella vita di milioni di persone.
Il cinema del regista
Glamour e manierista, il cinema di Luhrmann ha sempre faticato a fare breccia nei cuori della cinefilia più rigorosa, non trovando nemmeno nel suo terreno d’elezione unanimi consensi. Elvis potrebbe riuscire dove gli altri hanno fallito, proponendosi non solo in veste spettacolare, – assicurata dal virtuosismo della mdp – ma anche come riflessione sul contingente, laddove la biografia del re del rock offre la possibilità di ragionare sul costo del successo. Quest’ultimo inteso come omologazione e rinuncia alla parte più vera di noi stessi. A Presley il rischio di cadervi si presenta davanti alla rappresaglia messa in atto dai faccendieri del potere, spaventati dalla novità della sua musica, dalla sincerità dei testi e soprattutto dalla passione con cui i giovani ne accompagnano le esibizioni, estasiati dai riferimenti al tabù sessuale lanciati dalla frenesia di un body language che invitava i fan a liberarsene una volta per tutte.
L’abilità di Luhrmann è di riuscirne a parlare in maniera seria e profonda (attraverso le regole del melo), soffermandosi sul prezzo da pagare (per Elvis il rimorso di aver abbandonato la madre), in un contesto comunque votato a uno spettacolo all’insegna del sempiterno “The Show Must Go On”, di cui la vicenda del film nella sua conclusione diventa doloroso e inevitabile emblema.
Riferimenti e riflessioni con Elvis di Baz Luhrmann
E ancora, sul piano delle idee, non sfuggono certi riferimenti all’oggi quando l’ossessione del politicamente corretto vorrebbe il talento anarchico di Elvis imprigionato dentro un programma di canzoni natalizie, con il protagonista chiamato a esibirsi nei panni di Santa Klaus. Ai nostri giorni capita a tutti i livelli, in modo sempre più invasivo non solo nel cinema, ogni volta che il gesto artistico per essere visibile è costretto a censurare se stesso oppure a mimetizzarsi dietro l’imposizione di format che, togliendogli la capacità di mettere in discussione il sistema, finiscono per avallarlo.
Elvis ci invita a fare il contrario senza ipocrisia, mettendoci in guardia sulle scelte da fare, ma anche sul costo da pagare al mito di se stessi. Il tutto continuando a farci ballare e cantare al ritmo di uno straordinario repertorio musicale.