Vincenzo è una serie coreana del 2021 di venti episodi diretta da Kim Hui-won (Crash Landing on you, Little Women) e scritta da Park Jae-Beom.
Mettete da parte le aspettative a allenatevi a tollerare l’Italia vista dai Coreani per 27 ore d’intrattenimento dinamico, coinvolgente e multigenere.
Nella diversità a braccetto col cliché sta la forza di Vincenzo.
Guarda la serie Vincenzo su Netflix.
Vincenzo, la trama
La storia racconta di Vincenzo Cassano (Song Joong-ki), un coreano adottato da una famiglia di mafiosi italiani in tenera età. Vincenzo, ormai adulto e affermato consigliere della malavita siciliana, rientra in Corea, a Seul, perché sa dell’esistenza di un bunker, celato ai piedi di una palazzina, che nasconde un tesoro d’oro nutritissimo.
Nel tentativo di recuperare il possesso di questo edificio, viene coinvolto in una battaglia tra un’avvocatessa molto fascinosa (Jeon Yeo-bin), e il CEO di una chaebol coreana. Spalleggiato da un team di avvocati spietati, il potente proprietario e la sua squadra non si faranno alcun problema ad annientare chiunque si frapponga alla realizzazione dei loro piani lucrosi.
Per questo Vincenzo e l’avvocatessa bella, calamitosa e testarda come un mulo, fanno coppia e sventano tutte le malefatte e i piani spietati architettati dalla batteria di felloni, difendendo gli umili che cadono nella loro rete.
A conti fatti però, la battaglia si gioca tra due cattivi. Da una parte il mafioso siciliano (chiaramente rimpinzato di stereotipi del genere) che non si pente del proprio passato. Dall’altra, il villain vero e proprio, il sanguinario tycoon Jang (Taecyeon). Sulla scia del ridondante e proverbiale “un diavolo scaccia l’altro”, il diabolico Vincenzo si oppone al bello e mefistofelico Jang.
Commistione di genere
Serie interessante dal punto di vista della costruzione perché divisa in tre parti: una prima e una terza parte più gangster movie o legal movie. Si avvicendano anche sequenze di azione sempre elegantissime, com’è nello stile del protagonista.
La parte centrale invece si scioglie sfacciatamente nella commedia romantica, esilarante, a tratti demenziale, senza alcun rimorso filologico o narrativo né accorgendosi mai di offrire un minestrone indigeribile. E infatti è così. Il confine tra l’intruglio e la commistione di genere risiede nell’abilità del narratore di far desiderare al pubblico di essere trascinato di qua e di là, attraverso limiti non stabiliti che più spesso diventano una costrizione alla visione.
I personaggi
Come spesso accade nelle serie coreane, è la coralità che fa la commedia: nello specifico, un gruppo di personaggi, abitanti di questo edificio che Vincenzo brama, e che diventeranno poi in un qualche modo, la sua stessa famiglia.
Sebbene la linea drammatica risulti un po’ meno efficace, Vincenzo recupera il coinvolgimento quando si tratta di giochi di potere. Ci viene mostrata una Corea completamente erosa dalla corruzione, che non differisce tanto dall’Italia raccontata di riflesso dall’esperienza del consigliere. Con abili stratagemmi di scrittura la tensione si mantiene di puntata in puntata, e altrettanto bene si bilancia il personaggio cardine di Vincenzo.
Song Joong-ki si divide tra un’interpretazione da Einstein malavitoso stile il Padrino, ma elegante e impeccabile quanto un modello di Prada, e un Ace Ventura alle prese con una Magnum.
La sua partner Jeon Yeo-bin, sarcastica anche nei momenti più folli, smussa gli angoli e la compostezza ingessata da abito firmato, creando un’ intesa unica nella coppia, non necessariamente trascinata nello sdolcinato.
Il triangolo si chiude con un Ok Taecyeon (transitato dal K-pop allo schermo con eccellenti risultati) il cui sguardo tagliente versa benzina su puntate già altamente infiammabili.
L’omaggio all’Italia
C’è da ammettere che il pubblico italiano potrebbe restare deluso. Il bambino adottato in tenera età, cresciuto in Italia, che da adulto sfoggia un italiano da far accapponare la pelle, reiterato tra le puntate, ci fa rimpiangere che non sia stato coinvolto un dialogue coach competente. Se nelle battute si svela una certa ricerca formale, la pronuncia è veramente torbida.
Accanto a questo, ancora una volta, è necessario viverla con un sorriso tutta questa messa in scena dell’Italia mafiosa. È un genere cinematografico, e potremo serenamente intenderla come se anche la Corea ci avesse omaggiato a modo suo.
E l’omaggio è molto onesto. Per i particolari che rappresentano la raffinatezza del protagonista e lo stupore, e l’adorazione, tramite lui, di questa Italia, di questo mondo etnico e lontano.
Sempre e rigorosamente, bevendo caffè espresso.