Bullet Train è solo l’ultima tappa di una carriera caratterizzata dalla voglia di non prendersi sul serio. Brad Pitt ne ha fatto un marchio di fabbrica dimostrando soprattutto nei ruoli più leggeri di essere un attore di livello. Di seguito le fasi di una commedia umana interpretata in contrapposizione all’immagine di sex symbol.
Il film è attualmente disponibile su Prime Video e Sky.
Brad Pitt in Bullet Train
Qualche tempo fa, presentando alla stampa un suo film, Fabrice Luchini sottolineava come la cosa più difficile per un attore fosse quella di recitare il ridicolo dell’essere umano. Oltre a far riflettere, perché stante la difficoltà del compito quasi mai accade a un attore di venire insignito di premi importanti per ruoli che contemplano questo tipo di manifestazione, l’aneddoto torna utile per parlare di Bullet Train in relazione alla performance di Brad Pitt. Considerato uno dei massimi divi dello star system hollywoodiano e salutato ancora oggi come uno degli uomini più belli del mondo (Il più bello, secondo i giornali che ne celebrarono il compimento dei 50 anni, ndr) Pitt in realtà ha cercato fin da subito di scrollarsi di dosso questa nomea, dopo aver acquisito notorietà in Thelma e Louise affidandosi alle linee di addominali scolpiti nel marmo.
Se è vero infatti che presso la critica europea l’attore americano ha incominciato a essere preso sul serio dopo essere comparso in un ruolo ad alto tasso di drammaticità, interpretando il marito di Cate Blanchett in Babel di Gonzalo Inarritu, e dunque in un cinema d’autore impegnato e progressista (una visione sposata anche sul piano personale facendosi promotore. insieme all’allora moglie Angelina Jolie, di numerose iniziative caritatevoli), in realtà i più attenti ne avevano già scoperto le doti comiche e surreali non tanto nell’intimismo onirico di un lungo quale Johnny Suede, indie commedia diretta da Tom Di Cillo (Brad vi interpreta un’aspirante rockabilly) quanto nella decisione di sconfessare la sua fama di bello e impossibile modulando ad arte la pazzoide strampalaggine del suo personaggio in L’esercito delle 12 scimmie.
Un’esistenza leggera
Quella che sembrava un’eccezione è diventata con il passare degli anni uno dei segni distintivi di un attore che sembra trovare nel suo lavoro – sul set ma anche fuori nel corso dei vari red carpet – uno spazio dove rendere leggera un’esistenza che tale non è (almeno stando alle recenti cronache). Lo testimonia, poco dopo, The Snatch di Guy Ritchie in cui il nostro si inventa un dialetto tsigano fatto di suoni gutturali tanto indecifrabili quanto farseschi e, nel corso del tempo, lo sviluppo della serie dedicata a Jimmy Ocean e alla sua banda di simpatici imbroglioni.
In quest’ultimo, mettendo da parte il lato più demenziale delle sue caricature, Pitt declina il suo spirito ludico sul versante di una coolness, spendibile laddove non gli è richiesto di prestarsi alla presa in giro della sua sensuale fisicità che in Burn After Reading i Fratelli Coen si divertono a demolire non prima di averla messa in contrapposizione con la grottesca stupidità del suo alter ego.
Ed è sempre il cinema d’autore a valorizzarne le doti di commediante quando Quentin Tarantino fa del suo appeal, tanto irresistibile quanto rassicurante, il grimaldello per rendere divertente i lati più oscuri dei personaggi interpretati in Bastardi Senza Gloria e C’era una volta a Hollywood, consegnando Pitt a una consacrazione capace di unire cinefilia e spettacolo come pochi sono riusciti a fare.
Bullet Train: Brad Pitt protagonista
Preceduto dalla messa alla berlina dell’aspetto più macista della guerra a cui l’attore si presta nei panni del Gen. Glen McMahon in War Machine, Bullet Train ci regala un ulteriore passo in avanti nella costruzione di un immaginario parallelo e alternativo rispetto a quello desunto tra gossip e rotocalchi in cui il corpo di Brad Pitt si disfa delle ultime propaggini di una carnalità destinata a diventare materia da cartone animato. Privato di qualsiasi consistenza che non sia quella della marcia irrefrenabile del treno che lo sta portando allo scontro finale il corpo di Pitt viene reinventato alla luce di un divertissement in cui niente è vero e tutto è permesso: a patto di tenere sempre alto il ritmo dell’azione a suon di pugni (dati e presi) capitomboli e rovesciamenti di fronte ai quali il nostro dimostra un controllo del gesto degno della migliore slapstick comedy.
L’evoluzione di Brad Pitt
Un’evoluzione, quella di Pitt, che in America trova pochi paragoni, (Tom Hanks e Jim Carrey). Ma anche in Italia non fa proseliti, fatta eccezione per Kim Rossi Stuart che, partendo dalle stesse eccellenze fisiognomiche, e seppur mantenendosi sempre all’interno del drammatico (adottando tra le altre soluzioni quella di sottrarsi all’inflazione della propria immagine con apparizioni in video e sullo schermo a dir poco centellinate), non ha mancato di andare contro le aspettative di un certo pubblico con due film – Tommaso, da lui diretto, e Cosa sarà, firmato dall’ottimo Francesco Bruni – capaci di demolire i richiami all’idea di sex symbol che da sempre accompagna l’attesa dei suoi lavori.
Anche qui il confronto torna utile non solo per indicare la presenza di una personalità capace di senso critico, ma anche per certificare una carriera, quella di Pitt (come pure degli attori citati nel corso dell’articolo), che ha trovato nella versatilità delle interpretazioni il motivo di una libertà artistica e personale destinata – secondo chi scrive – in grado di aumentarne di molto la longevità professionale.