Palo Alto è il titolo del film con cui Gia, una delle più giovani eredi di una famiglia illustre di geni cinematografici come i Coppola, esordisce in regia nell’anno 2013.
Un titolo, programmato su Mubi in una rassegna che include alcuni titoli d’autore presentati anni prima al Festival di Venezia, che prende il nome da una cittadina da sessantamila abitanti situata nell’angolo nord-occidentale della Contea di Santa Clara, nella San Francisco Bay, in California.
Un lavoro imperniato su disagi e nevrosi adolescenziali, che Gia Coppola, anche sceneggiatrice, ha ricavato da una serie di racconti scritti dal versatile attore e regista James Franco.
Nel cast spiccano giovani interpreti come Emma Roberts, Jack Kilmer (figlio di Val e di Joanne Whalley), il cantante Nat Wolf e lo stesso James Franco.
Il film partecipò al Festival di Venezia 2013 nella sezione Orizzonti.
Palo alto I giovani californiani ed il mal di vivere che li spinge a cercare nuove emozioni
Tra feste in case altrui ove si consumano fiumi di alcol e si fa uso di droghe leggere senza alcuna remora o limite, due ragazzi di nome April e Teddy cercano un modo per manifestare il sentimento di reciproco attaccamento che condividono in modo forte ed inequivocabile, ma che nessuno dei due è in grado di tradurre concretamente.
La ragazza si lascia tentare dalla cotta per il proprio insegnante di ginnastica, mentre Teddy si trova come soggiogato dal carattere ambiguo e dominante del suo migliore amico Fred, decisamente più sicuro del primo a farsi carico di ogni decisione che possa riguardare il proprio ambito vitale.
Palo Alto – la recensione
Gia Coppola è la nipote, all’ epoca del film solo ventiseienne, di Francis Ford e figlia di quello sfortunato Gian-Carlo, rimasto vittima giovanissimo di un tragico incidente di barca (una morte violenta e crudele che ancora oggi ossessiona il grande regista, che ha pure sentito l’esigenza di citarla di recente nel suo ultimo film, l’horror Twixt) proprio poco dopo che Gia fu concepita.
Una nipote d’arte che esordisce sullo schermo adattando un racconto tratto da una raccolta intitolata In stato di ebbrezza, scritta da quel James Franco, autore ed artista dai ritmi di lavoro portentosi, nonché autore dalle potenzialità assai variegate, che gli permettono di spaziare dalla recitazione alla regia, fino a giostrarsi degnamente anche in altre forme di narrazione artistica come la scrittura.
Un esordio glamour per diversi aspetti, utile per raccontare storie di quotidiano disagio ed insoddisfazione da parte di una manciata di adolescenti americani, figli di genitori immaturi o comunque incapaci di dar loro un indirizzo di vita e quei valori concreti che ne possano nobilitare l’esistenza fatta di eccessi e utilizzo smodato di stupefacenti.
Il risultato, non certo pessimo dal punto di vista della direzione, non lascia tuttavia spazio ad entusiasmi toccando un argomento affrontato in diverse occasioni in modo eccezionale da registi del calibro di Gus Van Sant (ma anche in fondo di recente dalla zia Sofia, nella sua ultima contemporanea fatica cinematografica presentata fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, dal titolo Bling Ring).
Un caso di cinema che si nutre di premesse glamour accattivanti per ridursi ad una professionale riproposizione di tematiche già viste e riviste, trattate fino all’eccesso ed in modo esaustivo già da altri artisti, col risultato di non suscitare quell’emozione necessaria.
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