In questo 2022 addio anche al grande Jean-Luc Godard.
Jean-Luc Godard: addio al maestro
È scomparso all’età di 91 anni a Parigi Jean-Luc Godard, una delle personalità più stimate del cinema, un innovatore Leone d’Oro e Oscar alla carriera. Non solo uno degli esponenti della Nouvelle Vague, ma forse anche quello che l’aveva incarnata in modo più radicale. Già critico cinematografico, debuttò dietro alla macchina da presa con Fino all’ultimo respiro (1960), su soggetto di François Truffaut e con l’interpretazione di Jean-Paul Belmondo: si tratta di una delle opere spartiacque tra il cinema che era stato e il cinema che sarebbe stato.
Un grande addio
Verrebbe quasi da dire che, dopo la morte della regina Elisabetta di qualche giorno fa e quella, adesso, di Jean-Luc Godard questo secolo stia perdendo delle certezze. È vero che Godard era il cinema, e il cinema è stata l’arte del Novecento. Ed è vero che, nella storia del Novecento, esiste un cinema prima di Godard e un cinema dopo Godard. Girando Fino all’ultimo respiro nel 1960, e poi i film successivi, ha chiuso l’epoca del cinema classico e ha iniziato l’epoca del cinema moderno. Dopo Fino all’ultimo respiro, fare cinema come prima era impossibile, o comunque anacronistico.
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E da quel film sono stati tanti a essere ispirati. Uno su tutti Bernardo Bertolucci. Che vide quel film a Parigi, nell’estate del ’60, quando papà Attilio (il poeta) lo aveva mandato in gita premio dopo la maturità con l’ordine di visitare tutti i musei. Bernardo visitò solo la Cinémathèque, vide Fino all’ultimo respiro e impazzì. Anni dopo, da presidente della giuria, assegnò il Leone d’oro di Venezia a Prénom Carmen. Subito dopo la trasferta parigina, Bertolucci divenne assistente di Pasolini sul set di Accattone e faceva al maestro una testa così, parlandogli solo di Godard, al punto che Pasolini era quasi geloso.
Addio a Jean-Luc Godard: gli inizi
Jean-Luc Godard era nato a Parigi il 3 dicembre 1930, da una famiglia protestante di origini svizzere. Come i suoi compagni di strada della Nouvelle Vague, esordì come critico sulle colonne dei Cahiers du Cinéma fondati da André Bazin. Non fu il primo a debuttare come regista, anzi: Truffaut e Chabrol ci riuscirono prima di lui.
Ma Fino all’ultimo respiro è il film che crea un nuovo stile, e mette la Nouvelle Vague sulla mappa dell’arte mondiale. È ancora emozionante rivederlo, e constatare come Godard alterni sequenze girate in modo super-tradizionale, ed efficacissime, ad altre in cui le regole del montaggio e della messinscena vengono radicalmente sconvolte. Il tutto all’interno di un piccolo “noir” che omaggia la tradizione dei B-movies americani, il vero oggetto di culto (assieme a Howard Hawks e Alfred Hitchcock, certo) dei giovani critici della Nouvelle Vague.
Gli anni ’60
Gli anni 60 di Godard sono una delle più straordinarie avventure del cinema di sempre. In rapida successione gira Le petit soldat, La donna è donna, Questa è la mia vita (forse il suo capolavoro), Il disprezzo, Bande à part, Una donna sposata, Agente Lemmy Caution: missione Alphaville, Il bandito delle 11, Il maschio e la femmina, Due o tre cose che so di lei. Tutto in sette anni.
La cinese (1967) è la svolta politica, l’adesione al maoismo – più intellettuale e romantica che concreta. Coinvolto nelle ideologie che stanno per far esplodere il ’68, Godard fonda assieme a Jean-Pierre Gorin il Gruppo Dziga Vertov, intitolato al grande sperimentatore del cinema sovietico.
Una lunga carriera
Dagli anni ’70 in poi il cinema di Godard fa altre giravolte, affronta addirittura temi religiosi (Je vous salue Marie, Hélas pour moi in cui si diverte a notare come sia il suo cognome, sia quello di Gérard Depardieu contengono la parola “Dio”: “God”, “Dieu”). Gioca con il thriller (Detective, con la rockstar Johnny Halliday), rilegge ironicamente il proprio passato in Nouvelle Vague, del ’90, con un doppio Alain Delon e dialoghi presi da vari autori.
Con il tempo, i film diventano sempre più ermetici, saggi filosofici costruiti su citazioni letterarie (si vantava, negli ultimi tempi, di non aver più scritto una riga di dialogo: solo estratti da libri). Non a caso uno degli ultimi lavori si intitola Adieu au langage, addio al linguaggio. Da poeta del cinema Godard si era tramutato in un filosofo, e in fondo la sua opera più globale e riassuntiva è il lunghissimo documentario a puntate Histoire(s) du cinéma.
JEAN-LUC GODARD E LA RIVOLUZIONE DEL LINGUAGGIO. 90 Anni di un regista di culto
Non solo cinema
Per il giusto addio a Jean-Luc Godard bisogna anche citare lo sport. Perché Godard amava lo sport e soprattutto amava il calcio. In rete si trova una sua intervista al Guardian in cui spiega con dovizia di dettagli come l’Ungheria degli anni 50 e l’Olanda degli anni 70 siano state le due squadre che hanno rivoluzionato il gioco. Come lui, al cinema, negli anni 60.
E, quindi, non è troppo azzardato dire che Jean-Luc Godard sta al cinema come Ferenc Puskas e Johann Cruijff stanno al calcio.