Si è svolta nelle giornate del 10 e 11 settembre 2022, la prima edizione della Mostra internazionale del cinema di Bracciano. In queste due giornate di kermesse sono stati proiettati ben 23 cortometraggi provenienti da tutto il mondo.
È una mostra creata dal collettivo Papermoon, costola di Gasp, che da oltre quattro anni opera sul territorio a livello sociale, economico e culturale. Il gruppo, formato da giovani ragazze e ragazzi, si è rimboccato le maniche e in meno di 8 mesi – e visionando oltre 500 opere inviate – ha organizzato un festival molto interessante, auto-producendosi e puntando principalmente alla qualità.
I cortometraggi scelti hanno saputo sintetizzare bene le due caratteristiche che muovono – a volte in maniera antitetica – il cinema: lo spettacolo (divertimento e immaginario), e l’aspetto artistico (la raffinatezza e la ricercatezza della messa in scena). Ma soprattutto, gli organizzatori hanno optato per opere capaci di affrontare con tocco particolare alcune tematiche socio-economiche odierne.
Ognuna delle due giornate è stata suddivisa in due sessioni: quella pomeridiana (17:00 – 19:00) e quella serale (21:00 24:00). Per le proiezioni sono stati scelti suggestivi centri legati alla cultura della cittadina di Bracciano: il Teatro del lago, l’Archivio storico e il Chiostro degli Agostiniani.
I ragazzi si sono prodigati tantissimo a livello tecnico, e benché fossero alla loro prima esperienza come gestori di una kermesse, sono stati molto abili nel coordinare l’entertainment tra una proiezione e l’altra, nel saper coinvolgere e mettere a proprio agio il pubblico. Con auto-ironia e motti di spirito, che sono piaciuti molto agli spettatori quanto agli autori presenti.
Questa prima edizione della Mostra internazionale del cinema di Bracciano ha avuto – MERITORIAMENTE – un favorevolissimo riscontro di pubblico, che aspettava certamente da tempo un evento culturale di questo tipo sul proprio territorio. Le sale erano piene, e gli spettatori hanno anche partecipato attivamente al confronto con gli autori, per chiedere chiarimenti o per semplici curiosità.
Si augura profondamente di cuore al gruppo di Papermoon/Gasp di riuscire a dar seguito a questa splendida iniziativa. E si spera che il Comune, la Regione o altri enti, abbiano sentito il fragore di quest’evento culturale, e prossimamente possano dargli un appoggio. Il volenteroso collettivo ha dimostrato che è possibile realizzare belle iniziative, utili e umane, senza spendere inutilmente spropositi.
Per utilizzare il gergo da set: “Mostra internazionale del cinema di Bracciano, Buona la prima?”
“No! OTTIMA LA PRIMA!”

Sabato 10 settembre
Teatro del lago, sessione pomeridiana (17:00 – 19:00)
Le opere presentate in questa prima porzione di festival erano sei: tre cortometraggi d’animazione e tre sperimentali. In presenza gli autori Paolo Gaudio ed Eleonora Cutini; da remoto Hermes Mangialardo e Teresa Marcos Blanco.
The Black ReCat (Italia, 2022)
Tratto dal noto racconto Il gatto nero di Edgar Allan Poe, che in precedenza ebbe molte altre trasposizioni cinematografiche, tra cui anche il nostrano Black Cat (1981) di Lucio Fulci, il corto di Paolo Gaudio (nato proprio nel 1981) propone un simpatico e delizioso adattamento utilizzando l’animazione. Realizzato con pupazzi di plastilina animati in Stop Motion, The Black ReCat è un ottimo connubio tra le atmosfere dark di Tim Burton (in particolare il corto d’animazione Vincent) e la “gommosità” paciosa e infantile dei personaggi di Wallace & Gromit.
Il Recat del titolo è un “injoke” verbale, perché il corto è un “ritaglio” del collettivo P.O.E. Poetry of Eerie (2011), e ugualmente un “recut” molto personale del racconto d’origine. Le qualità del corto risiedono nel certosino lavoro di animazione (il particolare delle gocce di sudore sulla fronte di Poe), e nella capacità di Gaudio nel creare un’opera capace di omaggiare le tecniche d’animazione d’antan, come ad esempio gli effetti “preistorici” di Ray Harryhousen (1920-2013), con le tecniche digitali odierne. Il tutto, condito con un macabro tocco d’ironia memore di Poe e Terry Gilliam.

Stone Heart (Brasile, 2021)
L’opera del brasiliano Humberto Rodrigues conferma come l’animazione possa essere un potente mezzo metaforico per raccontare la realtà sociale e il suo irreversibile declino. Ambientato in uno scenario post-apocalittico (il Brasile stesso?), dove ormai prevalgono la siccità ambientale e i rottami di una passata società opulenta, gli esseri umani si sono trasformati in mostri di pietra (simbolo dell’aridità raggiunta).
Lo spuntare di un innocente e vivo fiore in mezzo a questa desolazione può essere l’unica speranza per tornare umani. Ma al contempo, la bellezza verginale di questa piccola flora può rigenerare nell’uomo l’egoismo, che predilige l’avidità personale, chiaro rimando alla proprietà privata. Questo gesto di possessione, sebbene in parte amorevole, fa comprendere come la fine del mondo può scaturire anche da una superba avarizia, che può ripiegarsi sul medesimo uomo.

A Fistful of Ground (Italia, 2022)
Hermes Mangialardo è un autore (cartoonist, video maker e visual artist) con già un sostanzioso curriculum di opere prodotte. Con il cartoon A Fistful of Ground, in meno di 3 minuti è riuscito a tracciare sullo schermo una vigorosa parabola anti-militarista e anti-capitalista.
Adottando un’animazione da disegno “infantile”, rielaborata con le tecniche digitali, al proprio interno si ravvisano un tocco stilizzato che rimanda alla satira socialista (ad esempio del vignettista Grosz) e agli umori “iconoclasti” dell’animazione del videoclip Another Brick on the Wall Part 2 (1979) di Gerald Scarf.
Quello che colpisce particolarmente di quest’opera, vero pugno nello stomaco della speranza, è la scena finale, ossia un mesto ritorno alla cupezza della realtà/attualità: il bambino può soltanto sognare (disegnare) l’agognata pace.

Non creare un altro fiume (Italia, 2022)
La giovanissima Visual Artist Eleonora Cutini (1997), alla sua prima opera, realizza un cortometraggio sperimentale che unisce in sé il linguaggio del cinema con l’espressione artistica. Un’opera che potrebbe essere proiettata in loop, come se fosse video arte.
Di brevissima durata, appena tre minuti, Non creare un altro fiume è un cortometraggio personalissimo e d’ascendenza spirituale, che fa leva sull’introspezione, sullo stato d’animo del personaggio. Uno squarcio di storia quasi palpabile, in cui il contrastato bianco e nero e il montaggio tagliente aumentano il senso di angoscia della protagonista. E con l’acqua che simboleggia la purificazione e del fluire del tempo.

Outputs (Spagna, 2021)
Il cortometraggio è la sintesi della constatazione di ciò che vede dalla propria finestra la regista Teresa Marcos Blanco: una muraglia di palazzi fitti di finestre, outputs che forniscono le informazioni sulla vita privata degli individui, sempre più isolati dagli altri.
Su questa osservazione soggettiva, la regista ha poi lavorato sui colori, saturandoli e aggiungendo suoni/rumori martellanti, per amplificare l’alienazione umana. Un incubo visivo che potrebbe essere anch’esso proiettato in loop.

The Sound of Noise (Germania, 2021)
Come ha cercato di fare Joris Ivens, ovvero catturare con le immagini, per renderli palpabili allo sguardo, gli agenti atmosferici, il regista Paul Polze ha voluto acchiappare con inquadrature particolareggiate e al ralenti, la generazione di un suono, nel momento in cui prende vita da uno strumento.
Un tentativo cinematografico sperimentale di sinestesia, in cui lo sguardo del regista (e poi dello spettatore) vede l’atto di produzione del suono, e l’immagine cerca di essere tattile e accarezzare quell’azione.

Teatro del lago, sessione serale (21:00 – 24:00)
Le opere presentate nella seconda porzione erano sei, e riguardavano corti di fiction e documentari. In presenza la crew che ha realizzato il corto Stop Whispering, e Giampaolo Pupillo; da remoto Kristian Xipolias e Tania Innamorati.
Stop Whispering (Italia, 2022)
Presentato in anteprima, è l’evento speciale del festival. Stop Whispering segna l’esordio alla regia di Francesca Marras, coadiuvata in fase di realizzazione da Anna Brancato, Livia Sanguineti, Marco Fortunati, Giuseppe Fanciulli, Andrea Remoli.
Girato in bianco e nero, è un emotivo corto in cui due personaggi, una ragazza e un ragazzo, trovano difficoltà nel comunicare/vivere. Chiusi nelle rispettive stanze, non riescono ad uscire dalla loro condizione emozionale. La viva spensieratezza vitale è rimasta nell’infanzia, mentre adesso sono corrosi interiormente da dubbi e patimenti interiori.
In bilico tra narrazione classica, benché ellittica, e approccio visualmente sperimentale, mostra già una attenta ricerca alla messa in scena, tendente a captare e cristallizzare i sentimenti e i sospiri delle figure umane rappresentate.

Lili Alone (Cina, 2021)
Non è peregrino dire che in questo cortometraggio si respira molto del cinema femminile di Zhang Yimou, in cui le donne cinesi si ritrovano oppresse in una società di matrice maschilista; e spesso sono dei semplici oggetti da usare.
In questo caso, proficui “contenitori” utili per la pratica dell’utero in affitto. Tema, tra l’altro, molto delicato e dibattuto a livello mondiale. La regista non giudica assolutamente la scelta della protagonista che, obtorto collo (il bisogno di soldi per problemi familiari), accetta di prestarsi a tale prassi, ma critica quell’ampio business creatosi illegalmente e che le autorità cinesi non fanno cessare.
Un mercimonio gestito, chiaramente, da uomini senza scrupoli. Come è ben esemplificato nella scena in cui una di loro muore, girata con uno splendido e asciutto ellisse. Le donne servono soltanto nel momento della cova, in cui vengono accudite e vezzeggiate (stanze comode, alimentazione corretta e ginnastica), e terminato l’uso, vengono poi buttate, sperando che il prodotto sia sano e salvo.
Una cupa disamina, accentuata dai scuri toni della fotografia, che rileva come Lili, sineddoche delle donne cinesi, rimanga poi sola e indifesa.

Fiori (Italia, 2021)
Per raccontare il precariato, che sta divorando l’Italia e creando sconforto in molti individui, il regista Kristian Xipolias mette in scena, con pochi tocchi narrativi che lambiscono il documentario, una storia esemplare, delicata ma allo stesso tempo molto amara.
Il protagonista Manfredi (già di per sé un nome che rimanda alla gentilezza) è un uomo che è costretto a vivere ancora con la madre. Ha appena compiuto quarant’anni, è insicuro, e pur di lavorare accetta di fare il rider, mestiere poco gratificante.
Vestito in modo elegante, per far credere alla madre di cominciare un lavoro di valore, per poter cominciare questo lavoro è costretto a rubare – maldestramente – una bici. Tutto il giorno pedalerà per la città, vestito elegante, contento di poter essere utile alla società, ma al medesimo tempo triste per la precarietà.
La sua mansione di rider è quella di recapitare fiori, e prima di consegnarli al destinatario, si mette a leggere i bigliettini d’accompagnamento. Un ulteriore particolare narrativo per mettere in rilievo la solitudine del personaggio, che cerca per un attimo d’immergersi in quelle frasi altrui, e vivere per un secondo quelle vite – migliori – che lui non può vivere.

Il mai nato (Italia, 2021)
Sardonico mockumentary che parte dall’assunto: se la società fa schifo e non mi garantisce nulla, perché dovrei nascere? Su questo grottesco input, si srotola il cortometraggio di Tania Innamorati e Gregory J. Rossi, composto da finte interviste ai protagonisti della fittizia storia, e rielaborando vecchie immagini di repertorio per farle diventare veri documenti della vicenda.
Nel cortometraggio c’è qualcosa della follia comica di Maccio Capotonda, ma se là primeggia la parodia cinefila, nell’opera Il mai nato c’è una ferma volontà di affrontare e criticare la realtà italiana, giocando sul ribaltamento – semi – assurdo. Divertente e tagliente, con punte di sana demenzialità (la chiesa cattolica, visto il curioso caso, diventa favorevole all’aborto), probabilmente sarebbe stato più efficace se avesse avuto una durata un poco inferiore, eliminando alcune ripetizioni.

Giovanni e la bicicletta (Italia, 2022)
Esordio nel cortometraggio di finzione del giovane video-maker pugliese Gianpaolo Pupillo, che prendendo spunto da una barzelletta raccontatagli dal nonno, costruisce una divertente situazione comica.
Giovanni e la bicicletta mostra le promettenti qualità di Pupillo, particolarmente a livello tecnico. Realizzato in un bianco e nero molto raffinato, è un’opera che sa unire l’adeguato svolgimento della trama (niente diluizioni) con un sapiente uso della tecnica: fotografia, montaggio e regia.
Una “barzelletta cinematografica” anche capace di saper sfruttare comicamente al meglio il dialetto (in questo caso l’altamurese), e con i due protagonisti (attori non professionisti, perfetti per il ruolo), che ricordano nelle fattezze “grottesche” un poco personaggi di Cinico Tv di Ciprì e Maresco.

Warsha (Libano, 2021)
In un solo cortometraggio, la regista Dania Bdeir è riuscita a descrivere due problematiche (tra le molte) che opprimono il Medio Oriente. Esternamente le difficoltà quotidiane degli emigrati siriani, che lavorano come bestie senza assicurazioni e sono costretti a vivere ammassati in una stanza. Internamente il racconto intimo di uno di loro, che vorrebbe vivere liberamente la propria sessualità, ma in una società maschilista ciò è inaccettabile. La capacità registica dell’autrice è stata quella di costruire la trama lentamente, partendo proprio dall’esterno, per poi, con un sorprendente colpo, mostrare il vero soggetto.
Il salire sull’immensa – e precaria – gru, per il protagonista significa poter vivere in solitaria il suo sogno, e per un attimo poter dare sfogo a quella libertà che desidera. In quell’attimo, è lui a poter sovrastare l’opprimente e dispersiva città (realtà), e il suo sogno si trasforma visivamente in un colorato e coreografico musical di Hollywood (o Bollywood?).
Terminato quel sogno, è come se avesse avuto un orgasmo: sguardo spossato ma felice. Ritorna ai suoi doveri di cittadino musulmano, ma nell’ultima inquadratura, sa che il giorno dopo potrà ancora sognare.

Domenica 11 settembre
Archivio storico, sessione pomeridiana (17:00 – 19:00)
Le opere presentate in questa sessione erano 4: 3 cortometraggi sperimentali, un cortometraggio d’animazione e un videoclip. In presenza gli autori Giulia Magno, Alessandro Montali e Antonio Michele Stea con la band Violent Scenes; da remoto Will Rahilly.
Esterno giorno (Italia, 2021)
L’opera della Magno è un sentito, quanto elaborato, omaggio a Michelangelo Antonioni e a Monica Vitti. Il primo, regista dell’alienazione umana e degli spazi urbani/rurali; la seconda, indimenticabile diva italiana, divenuta celebre nei film di Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse e Il deserto rosso), e successivamente passata, con successo, a personaggi comici.
Esterno giorno, che si apre, in split screen, con il recupero dei provini della Vitti per Il deserto rosso, alterna spezzoni dei film di Antonioni a scene girate dalla regista negli stessi luoghi dei film. Il corto vuole essere un viaggio, dall’urbano al rurale, sulle orme del regista ferrarese, e mostrare che molte cose non sono cambiate.

L’incantesimo di Circe (Italia, 2021)
Struttura in quattro parti (una premessa più tre atti), il cortometraggio di Alessandro Montali è una rivisitazione per immagini al reverse del mito della maga Circe ed Ulisse.
Due animali, un cinghiale e un daino, rinchiusi in un recinto, quasi per volere divino (un albero caduto abbatte la recinzione), hanno la possibilità di scappare. Il daino per magia si trasforma in uomo, e intraprende l’avventura, viaggiando per nave e scoprire il mondo. Sazio delle proprie scoperte fatte da uomo, si ritrasforma in daino e torna al recinto, per raccontare al suo amico cinghiale cosa ha visto.
Una storia nata per caso, come ha evidenziato il regista, poiché inizialmente doveva essere soltanto un documentario sul fascinoso Circeo. Ma questo approccio filmico permane nell’affabulazione – non totalmente riuscita – poiché nelle scene prevale l’occhio documentaristico, e quel senso mitologico che avvolge il Circeo.

Unit 02 (Italia, 2022)
Unico videoclip del festival, è un’opera, diretta da Antonio Michele Stea, a supporto dell’omonima canzone della band pugliese Violent Scenes. Il titolo, del videoclip e della canzone, è un omaggio all’anime giapponese Neon Genesis Evangelion, serial composto da 26 episodi che fu trasmesso la prima volta tra il 1995 e il 1996.
Le immagini, realizzate in elettronica, danno corpo al roboante ritmo della canzone, e sono immagini che raffigurano sagome umane che si muovono su sfondo nero. Guardando il lavoro, si può anche definire un’opera sperimentale tout-court, ed essere la musica a supporto del video.
Il videoclip Unit 02 vorrebbe rappresentare il disagio umano, con queste sagome che marciano insieme verso una imprecisata speranza, ma che inevitabilmente soccombono.

Canal (Stati Uniti, 2022)
Realizzato in un bianco e nero molto contrastato e castrante, l’elaborato cortometraggio sperimentale di Will Rahilly è principalmente un flusso d’immagini, che si susseguono prepotentemente sullo schermo. Non c’è una trama, come ha evidenziato lo stesso autore, ma soltanto una serie di scene scaturite dal suo inconscio.
Canal fa tornare in mente in un certo qual modo il cinema surrealista di Louis Buñuel, ma anche l’impatto visivo del primo David Lynch, e certa ruvidità visiva di Gregg Araki. Molto potente a livello d’immagini, ma troppo contorto nel significato (che il regista conferma non esserci, e spetta allo spettatore trarre le proprie senzazioni). Un’esperienza da vedere soltanto con lo sguardo.

People on the Moon (Iran, 2022)
Il regista Yunus Kafashian ha rivelato che ci sono due elementi ispirativi alla base del suo corto: la luna e il treno. Il satellite naturale per lui simboleggia la madre, mentre il treno è il mezzo più romantico per intraprendere un viaggio.
Con un tratto d’animazione molto semplice e soave, quasi fosse la realizzazione di un bambino sognatore, People & the Moon, vuole essere la metafora del viaggio nella vita, in cui il treno rappresenta soltanto un luogo dove si possono conoscere casualmente altre persone, e poter condividere dolcemente il tragitto, sotto lo sguardo protettivo della madre.

Chiostro degli Agostiniani, sessione serale (21:00-24:00)
Le opere presentate in questa sessione erano 6, tutti di finzione. In presenza doveva esserci Alberto Mangiapane, ma purtroppo un imprevisto non lo ha consentito; da remoto il produttore Alfredo Covelli, Jesús Martinez e Pol Diggler.
Penumbra (Italia, 2022)
Peculiarità del cortometraggio di Alberto Mangiapane è quello di esser stato girato in 16 millimetri. Una scelta certamente demodé, scomoda e dispendiosa, ma opzionata per dar maggior “carnalità” al racconto.
Una storia di vite umane, in questo caso un nucleo familiare di estrazione contadina, che vive nel silenzio dopo una dolorosa perdita. Quello che cerca di fare il regista è far parlare, attraverso le immagini, questo pesante silenzio creatosi tra loro. Il montaggio amplifica la gravezza del tempo che scorre e la fotografia evidenzia gli stati d’animo segnati, che restano in penombra.
Penumbra è un’opera visivamente affascinante, ma purtroppo poco incisiva narrativamente.

Porappé (Spagna, 2022)
I 15 minuti di gloria vaticinati da Andy Wharol sono ormai prassi, da quando è stata creata la piattaforma di Youtube (comunque utile per la mole di materiale raro caricato). Anonime persone nella vita reale si sono trasformate in Youtuber, facendo principalmente i buffoni. Non gli importa se vengono alacremente sbeffeggiati, per loro l’importante è il numero di visualizzazioni che si ottengono, per consolidare la fama e guadagnare soldi con i clic.
E in questo deprimente universo creatosi, ci sono anche molti bambini che fanno i loro brevi show davanti la web-cam. A volte in modo autonomo, ma spesso istigati dai genitori. Porappé di Jesús Martinez ironizza su questo, creando un “back-stage” su quanto probabilmente accade dietro un video di una bambina youtuber.
Divertente e intelligente, capace di centrare il bersaglio, e il cui punto di forza è la bravura della piccola bambina, che ha doti attoriali non indifferenti.

Too Rough (Regno Unito, 2022)
Il cortometraggio del giovane scozzese Sean Lionadh, attinge vivamente dal suo vissuto: una famiglia problematica (padre ubriacone), un fratello down, e il dover nascondere la propria omosessualità. Un racconto autobiografico, quindi, ma che prende le giuste distanze emotive per raccontare oggettivamente – sebbene permanga un sentimento personale – una vicenda di estrazione sociale.
Un’opera dura, vivida nelle descrizioni ambientali e comportamentali dei personaggi, che ricorda il Ken Loach di Kes (1969) o Family Life (1971). Divenendo anche un esempio di come alcuni contesti familiare inglesi non siano cambiati.
La forza del corto sta anche nel mettere in scena gli sfaccettati atteggiamenti dei personaggi: il protagonista si vergogna della propria omosessualità con i familiari, ma al contempo nasconde alla sua famiglia il casuale compagno di sesso ospitato in camera da letto; e ugualmente il ragazzo abbordato, inizialmente sbeffeggiante dei ridicoli comportamenti del protagonista, che poi comprendere l’enorme oppressione che lui deve vivere quotidianamente.

I’m Afraid To Forget Your Face (Egitto, 2022)
Vincitore della Palma d’oro come miglior corto, l’opera è una struggente e delicata storia d’amore: l’ultimo saluto di un ragazzo alla sua ragazza da poco deceduta. Un gesto che in un paese normale potrebbe svolgersi senza problemi, ma che in una società chiusa come quella mussulmana diviene rischioso e scandaloso.
E l’arrischiata azione sentimentale del ragazzo serve al regista Sameh Alaa a poter descrivere la società egiziana, quella della città (incomunicabilità tra i passeggeri di un autobus) e quella di una casa privata (il capezzale della ragazza), in cui sono presenti soltanto donne con il burka.
Pur di poter adempiere al suo volere,il protagonista si annulla, nascondendosi sotto il burka e facendosi passare per donna. E non potendo baciare la sua amata per l’ultima volta, può solo memorizzare con lo sguardo il di lei volto.
In I’m Afraid To Forget Your Face prevale il silenzio, soltanto poche battute le infrangono. Un silenzio che mette maggiormente in rilievo la difficoltà di vivere in una società del genere, come segnala il solitario finale.

Work It Class! (Spagna, 2022)
Che fatica essere registi e realizzare un’opera! C’è sempre qualche imprevisto, in questo caso una questione di copyright sulla canzone di James Brown, Get Up I Feel like Being a Sex Machine. Ma questo è lo spunto, perché poi il regista Pol Diggler si diverte a fare altro.
È un gioco auto-ironico, un esercizio metalinguistico che gioca con i meccanismi narrativi del cinema, con cui può sollazzare il pubblico e farlo partecipare allo spettacolo realizzato. Un corto che in un certo modo rimanda agli umori “iconoclasti” di molti sketch dei Monty Python.
Le didascalie che appaiono sullo schermo, tradotte in ogni lingua richiesta direttamente dal regista, sono commenti rivolti agli spettatori, ed è come se fossero dei close-up conversativi tra autore e pubblico.

Atto di dolore (Italia, 2022)
Kammerspiel familiare avente come protagonisti un padre e una figlia. Due personaggi a confronto chiusi tra le mura della propria casa. Una riflessione, quella di Ilaria Pascazio, su come un fervente cattolicesimo possa essere dannoso.
C’è incomunicabilità tra loro due, e se da un lato il padre si sente offeso dal comportamento poco consono della figlia (secondo i suoi standard cattolici), la figlia si sente profondamente colpevole, soprattutto perché il padre si chiude in un respingente silenzio. L’unica soluzione, basandosi sul cattolicesimo, è auto-punirsi, per far rinascere un rapporto di vicinanza.
Per rendere più gravoso e opprimente lo stretto ambiente, Atto di dolore predilige una fotografia plumbea, per mettere in evidenza questo “oscurantismo” in cui vivono ambedue i personaggi (il padre con normalità, la figlia con asfissia). Le uniche scene di luce sono quelle esterne, iniziali, in cui la protagonista è assieme al suo ragazzo, e vive appieno la sua giovane e innocente età.
