L’ottimo Andrew Garfield torna da protagonista di una nuova miniserie in sette puntate targata Disney+Star.
In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) è basata sull’omonimo romanzo di Jon Krakauer(Into the wild, in cui viene ricostruito un violento fatto di cronaca del 1987.
In nome del cielo, la trama
Siamo negli anni ’80, in Utah, regione americana patria della religione Mormone. Anche il detective Jeb Pyre (Garfield) appartiene a questa fede, insieme alla moglie, la madre e le due figliolette.
Fede che, tuttavia, viene messa a dura prova quando Pyre si imbatte in un omicidio agghiacciante in cui sembra sia coinvolta proprio la sua congregazione: una giovane donna mormone e sua figlia sono state brutalmente assassinate.
Il cast
Andrew Garfield regge sulle spalle un ruolo difficile e il tormentato confronto tra un uomo e la sua fede con intensità crescente. Altro nome che spicca è quello di Sam Worthington, già collega di Garfield ne La battaglia di Hacksaw Ridgee qui presente in un ruolo complesso e affascinante.
Nel cast anche Daisy Edgar-Jones, Gil Birmingham, Wyatt Russell e Christopher Heyerdahl.
In nome del cielo, i punti di forza
La miniserie scandaglia abilmente luci e ombre di un culto molto diffuso in America, senza scadere nella retorica. Il creatore Dustin Lance Black mostra abilmente una discesa negli abissi del fondamentalismo più crudele, per poi risalire verso il concetto di fede assoluta nell’amore. In primis l’amore per la propria famiglia.
La recitazione è altro grande punto di forza di questa miniserie al cui centro vi sono relazioni familiari complesse e tormentate lotte intestine. Impresa non facile, ma prova superata.
Cosa non convince
A non convincere del tutto in In nome del cielo sono scelte registiche e di montaggio che in parte vanificano la sceneggiatura a prova di retorica. Numerosi flashback, anticipazioni, sequenze ridondanti di intrecci tra passato e futuro. Sembra che la regia voglia suggerire a tutti i costi a cosa prestare attenzione, amplificando laddove basterebbe avere fede (è proprio il caso di dirlo) nello spettatore. Un piccolo peccato in quanto alcune sequenze appesantiscono la narrazione, distogliendo da una trama di per sé accattivante.
non è facile, restare improvvisamente soli con la propria mente
Di buono c’è che, proprio come il suo protagonista, In nome del cielo cerca la verità, ben visibile nonostante le retoriche registiche atte a empatizzare maggiormente coi personaggi. La verità di un uomo che mette in crisi le proprie credenze dopo tanti anni, che permette alla verità umana, ai fatti, di scalfirne la corazza. Nonostante l’omertà e la fede cieca in ciò che trascende la verità tangibile che ci circonda.
C’è tanto in gioco, in questa miniserie, che parte lentamente per poi pian piano rivelarsi. E anche questa parola non viene utilizzata a caso.