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Biennale del Cinema di Venezia

Venezia 79: tra normalità e incompletezza

Cosa dire di un festival la cui energia è onnipresente a prescindere da ciò che scorre sullo schermo?

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Calato il sipario sulla 79esima mostra del cinema di Venezia, è tempo di bilanci.

Venezia 79: bilancio e bilanci

Rocío Muñoz Morales ha definito questa edizione come una all’insegna della normalità in generale e, per certi versi, si può prendere in prestito questa affermazione in riferimento alla maggior parte dei film presentati in concorso. Film normali nei quali il termine è sinonimo di assenza e di staticità. Niente si aggiunge e niente si toglie a e da questi film. Salvo rare eccezioni, sembra quasi che il comune denominatore dei lungometraggi proiettati al festival sia quello dell’incompletezza. Un’incompletezza derivante da una mancata risoluzione dello svolgimento narrativo.

E quindi?

Sembra chiedersi lo spettatore, critico o meno, uscendo da molte proiezioni. Ma dietro questo interrogativo ci sono anche sfaccettature diverse e in costante e continua evoluzione, anche adesso, a festival ormai terminato.

Il potere del cinema

Il potere del cinema è forte e sempre presente, in maniera più o meno potente. E anche in questa Venezia 79 c’è stato, a dimostrazione che la settima arte è tutt’altro che morta.

A dimostrarlo sono opere anche metacinematografiche, come Bardo, falsa cronica de unas cuantas verdades di Inarritu. Ma anche opere che si concentrano su un unico avvenimento sviscerandolo e trasformandolo in un film nel film (Il signore delle formiche, Saint Omer, Argentina, 1985, Un couple).

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Foto di Bongi Shaila

Ma è un cinema che, alla fine dei conti, punta davvero allo spettatore medio? È in grado di spingerlo a tornare a riempire le sale? Una domanda alla quale solo il tempo darà una risposta, ma che, per il momento, sembra non trovare campo fertile nella vittoria, non condivisa da molti, di All the beauty and the bloodshed. Il segnale dato con il premio al film documentaristico di Laura Poitras sembra quello di guardare (forse fin troppo) al politicamente corretto e all’importanza delle tematiche trattate che sembrano riuscire a imporsi più del cinema stesso. E se il cinema è sogno, evasione, immaginazione, questa Venezia sembra tarpare le ali a questa speranza. E, in qualche modo, anche al suo prestigioso leone d’oro.

Alcuni bilanci e premi di Venezia 79

Comunque, al netto delle critiche e delle approvazioni, Venezia 79 resta, come sempre, uno dei grandi trampolini di lancio per la stagione cinematografica successiva. Che sia scarna o ricca sta al pubblico deciderlo. Vero è che si è, anche stavolta, riusciti a trovare un buon compromesso. Un leone d’oro che, meno di altri anni, è riuscito a mettere d’accordo critica e giuria, ma che ha premiato l’impegno e la nobiltà del tema.

A fare da contraltare all’amarezza di molti ci hanno pensato gli altri premi, come il condiviso e giusto premio speciale al No bears dell’iraniano Jafar Panahi, ingiustamente incarcerato. Accanto a questo a colpire sono i due premi al Saint Omer dell’esordiente Alice Diop che, con la mano sicura di una cineasta rodata, ha dimostrato di essere all’altezza di un compito mai più grande di lei. Forse il premio più prestigioso le è sfuggito di poco…

Foto di Bongi Shaila

E se la Coppa Volpi a Cate Blanchett per Tár era forse in assoluto il premio più scontato, non si può dire altrettanto per quella andata a un Colin Farrell impeccabile nell’ennesima collaborazione con un regista arrivato quasi in punta di piedi al Lido, ma che se ne torna a casa con ben due riconoscimenti. Martin McDonagh ci ha ormai abituati a qualcosa di sopra le righe: aveva sorpreso un po’ tutti con quel suo Tre manifesti a Ebbing, Missouri ed è tornato a fare la stessa cosa con The Banshees of Inisherin. Una commedia e una tragedia nella quale la grande prova di Farrell (e di Gleeson) sono solo la punta dell’iceberg venutosi a creare da una penna geniale e brillante. Premio per la miglior sceneggiatura più che indovinato!

A mani vuote

Tanta attesa e i favori dei pronostici per il commovente The Whale di Darren Aronofsky con un Brendan Fraser papabile candidato ai prossimi Oscar, ma che torna a casa a mani vuote. Così come tanti altri titoli acclamati e attesi, ma (forse) destinati a rimanere in seconda fila. Non bastano una buona costruzione e l’inserimento di momenti più che attuali ad Argentina, 1985 per emergere, nonostante il grande apprezzamento da parte del pubblico.

Allo stesso modo rimangono indietro i droni di cui fa uso il frenetico Athena, la camaleonticità di un’attrice con la a maiuscola come Tilda Swinton in The Eternal Daughter, il dramma familiare e le sue conseguenze al centro del giapponese Love Life e di The Son.

Non trovano spazio nemmeno i francesi Les miens e Les enfants des autres, così come lo statico Un couple, Beyond the wall, l’atteso Blonde, il caotico Bardo e il film d’apertura White Noise.

Nei bilanci di Venezia 79 anche l’Italia

Magra (ma neanche troppo) consolazione per l’Italia che replica, in qualche modo, il risultato dello scorso anno riportando a casa un Leone d’argento. L’anno scorso era stato Sorrentino ad aggiudicarsi il gran premio della giuria. Quest’anno è Luca Guadagnino che si porta a casa il premio per la miglior regia del suo Bones and all. A capo dei cinque film italiani in concorso, il film di Guadagnino ha cercato di fare il possibile per far avverare i pronostici: oltre al leone d’argento è riuscito a strappare anche il premio Mastroianni per la giovane interprete protagonista, Taylor Russell. Visibilmente emozionato, ha ritirato un premio che dimostra la sua abilità nel riuscire a dare vita alle pagine, ma soprattutto a mostrare quale e cosa sia davvero la mostruosità.

Foto di Bongi Shaila

Resta, invece, a mani vuote Gianni Amelio e il suo Il signore delle formiche che, seppur ben strutturato e di grande attualità, troverà sicuramente terreno più fertile nel passaggio sul piccolo schermo. E, come lui, anche la storia autobiografica di Emanuele Crialese al quale non basta una splendida Penelope Cruz e le note, sempre al top, di Raffaella Carrà per dare al suo L’immensità il giusto apprezzamento. Stessa sorte al riuscito Monica di Andrea Pallaoro, passato un po’ in sordina, ma che avrebbe meritato (e che meriterà) sicuramente più attenzione e al Chiara di Susanna Nicchiarelli.

Con i super festeggiamenti dei 90 anni di mostra, non resta che attendere quelli del prossimo anno per Venezia 80.

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