Arriva in sala The Son di Florian Zeller presentato in concorso a Venezia 79. La pellicola vede Hugh Jackman alle prese con un divorzio e la malattia mentale del figlio.
Il film è distribuito da 01 Distribution.
‘The Son’, la storia
Ultimo capitolo della trilogia che comprende Le Mère e Le Père, pièce teatrale portate in scena a Parigi, a partire dal 2012, ‘The Son’ è tratto dall’opera Le Fils, scritta dallo stesso Zeller.
La storia ruota attorno al giovane Nicholas (Zen McGrath) che, dopo il divorzio dei suoi genitori Kate (Laura Dern) e Peter (Hugh Jackman), entra in una spirale depressiva. Il male di vivere che lo affligge innesca un turbinio di emozioni e sensi di colpa all’interno della famiglia.
Diviso tra la carriera professionale e una nuova relazione con Beth (Vanessa Kirby), Peter si prende cura di suo figlio come suo padre (Anthony Hopkins) non è mai stato in grado di fare con lui.
Il male invisibile
Dopo ‘The Father’, Zeller parla, nuovamente, di salute mentale, in questo suo ultimo lavoro. Dalla demenza del ‘ padre’ Anthony Hopkins (Oscar 2021 come Miglior Attore) al ‘male oscuro’ di un adolescente. La tematica trattata, come ha dichiarato lo stesso regista, è misteriosa, impalpabile e perlopiù incomprensibile.
Il parallelismo tra i due film è inevitabile: in ‘The Father’ assistiamo al dolore di una figlia devota che si prende cura del padre, in ‘The Son‘ siamo di fronte alla ‘trinità’ della famiglia, padre, madre e figlio. La rottura del ‘sacro vincolo’ tra i due coniugi si ripercuote, inevitabilmente, sul figlio, coronamento e simbolo di quella unione. Tuttavia, sarebbe troppo semplicistico individuare una causa del ‘mal de vivre’ di Nicholas che ha ragioni profonde e oscure.
Perché il dolore dell’anima non è mai dettato dalle circostanze, è un seme che germoglia anche nel più bello dei giardini.
Zeller ha il merito di rappresentare la malattia mentale e anche l’impotenza provata da coloro che circondano una persona che ne soffre, rendendo visibile ciò che non lo è, filtrando tutto attraverso uno sguardo mai giudicante, semmai compassionevole.
L’autore esplora gli oscuri territori dei disturbi psichici con estrema onestà; non cerca di spiegare il dolore del protagonista, perché di fatto non può essere spiegato ma solo accettato, tuttavia riesce a cogliere tutta la frustrazione e il tormento attorno a quella sofferenza.
La casa, intesa anche come famiglia, come ‘luogo a cui tornare’, è il teatro in cui si svolge il dramma: fulcro, rifugio e prigione, la narrazione ha uno spazio intimo fatto di silenzi, sguardi e respiri, laddove la parola risulta inadeguata a esprimere quei moti dell’animo a cui non si riesce a dare un nome.
In ‘The Son‘, a differenza di ‘The Father’, gli ambienti non sono un’emanazione della mente del personaggio ma dei luoghi reali, vibranti che raccontano con oggettività la storia, senza trasfigurarla attraverso il sogno, la memoria o la malattia.
Quando l’amore non basta
Pur amando profondamente il loro figlio, Kate e Peter non hanno gli strumenti necessari per aiutarlo e, tantomeno, per salvarlo. Siamo dunque soli nel dolore, sembra dirci Zeller, perché esso crea un muro invisibile e insormontabile che non permette a nessuno di avvicinarsi.
L’incomprensione genera un senso assoluto di vuoto e di solitudine e, paradossalmente, alimenta un desiderio di isolamento, di farsi ‘altro’ dagli ‘altri’, per pudore, vergogna e un senso di protezione nei confronti di chi quel dolore lo vive solo di riflesso.
La presa di coscienza di questo limite da parte dei genitori di Nicholas li porta a intraprendere un cammino di consapevolezza della propria vulnerabilità e consente loro di entrare in empatia col figlio. Lontano da ogni cliché e dalle facili illusioni che spesso il cinema ama propinarci, Zeller ci dice che l’amore non è infallibile, nemmeno quello di un padre e una madre.
Contro lo stigma
Lo stigma, la vergogna, il senso di colpa, e la disinformazione associati ai disturbi mentali ostacolano la loro comprensione, sfociando spesso nella minimizzazione o, addirittura, nella negazione.
È dunque assolutamente necessario che se ne parli e che lo si faccia nel modo giusto, come in questa opera magnifica di Florian Zeller, in cui lo spettatore è parte attiva della narrazione; vi è un dialogo continuo, un vero scambio emotivo, viscerale, tra i personaggi e il pubblico.
Il regista come era già accaduto per ‘The Father’ ha attinto dalla sua storia personale per scrivere il film; sono emozioni che Zeller ha sperimentato nella sua vita e viene da pensare che il processo creativo per la realizzazione del film gli sia servito per guardare dall’esterno qualcosa che è accaduto dentro di lui.
Ed è esattamente questa la potenza di ‘The Son’ : è personale ma non autoreferenziale, è intimo e universale, è coraggioso e autentico e, soprattutto, profondamente umano.