Biennale del Cinema di Venezia

Una gallina nel vento – un gioiello di Ozu riportato all’originario splendore

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Una gallina nel vento è il titolo della sezione Classici restaurati, che anche quest’anno dà colore e una connotazione storica al Festival di Venezia – Edizione 79, e finisce per rivelarsi come uno dei titoli più di richiamo della sezione.

Un’opera in grado di farci riscoprire, in una versione restaurata di gran pregio tecnico, uno splendido lavoro non troppo conosciuto del maestro Yasujiro Ozu risalente all’ormai lontano 1948.

Una vita di stenti che induce una madre assennata e timorata fino alle estreme conseguenze

In un quartiere popolare dominato dalla presenza di un massiccio gasometro, la devota moglie e madre Tokiko aspetta il ritorno del marito da anni arruolato nell’esercito, allevando con mille sacrifici il tenero figlioletto Hiroshi. Il destino crudele vuole che un’improvvisa malattia colga il bambino e che per curarlo non si possa evitare una costosa cura ospedaliera di alcuni giorni.

Senza i soldi per onorare una retta che le ha restituito il pargolo, la donna decide, andando contro ogni sua più convinta regola di vita, di pagare quanto dovuto prostituendosi presso la locale casa di tolleranza gestita dalla signora Orie.

Nonostante il bimbo si sia ripreso completamente, la giovane e timorata donna deve fare i conti con la propria coscienza ed i lancinanti sensi di colpa che la colgono.

Quando il marito Shuichi finalmente rientra a casa, l’idillio familiare ritrovato è ben presto rotto dalla confessione che Tokiko non riesce ad evitare, aprendosi al coniuge per preservare quel rispetto e quella coscienza pulita che da sempre regolavano il suo rapporto familiare coeso e convinto.

Ciò nonostante, l’uomo resta sconvolto dalla rivelazione, non riesce a rassegnarsi al fatto che la moglie sia caduta così in basso e non riesce a farsi una ragione delle cause che abbiano indotto la consorte ad una simile azione.

Senza apparente malizia alcuna, ma con l’intento di capire meglio il comportamento della consorte, l’uomo si reca, per la prima volta nella vita, lui stesso nel bordello, dove conosce una ragazza che vi lavora, rendendosi conto di tante cose.

Una gallina nel vento – la recensione

Ancora una volta un film di Ozu si mette in luce per la delicatezza con cui vengono trattate argomentazioni per quei tempi scottanti, se non proprio suscettibili di scandalo.

Ma il grande autore nipponico sfodera una classe narrativa ed una delicatezza di stile che ne fanno emergere il toccante umanesimo da sempre caratteristica della sua somma carriera di regista e del suo tocco d’autore.

Ozu ci incanta ancora una volta attraverso la rappresentazione di un dramma familiare con evidenti rimandi neorealisti, costruiti attraverso la definizione di personaggi emozionanti ed empatici, verso cui è impossibile non riuscire a legare, anche e soprattutto da un punto di vista emotivo.

Questo, nonostante l’abisso temporale che ormai ci allontana da un’epoca decisamente remota e da una società ancora legata a ritmi e culture diametralmente differenti a quelle occidentali e solo da poco tempo ormai tendenzialmente globalizzate.

 

Tecnicamente il gran maestro nipponico si rivela fedele ai punti fermi del proprio stile: macchina fissa con rare ed esemplari eccezioni, come quando si mette ad inseguire un paio di personaggi per renderne vivo il tormento interiore che li anima e domina.

La costruzione dei personaggi

Ma è la costruzione interiore dei personaggi ad illuminare la storia e a renderla un saggio morale che evita la retorica sostituendola con una saggezza illuminata. Ancora oggi un faro in grado di illuminare ed ispirare quella sottile soddisfazione interiore allo spettatore, allietato dagli sviluppi della vicenda e disposto ad accettare anche certe derive maschilistiche che non escludono atti di prevaricazione contro la donna, a quei tempi per nulla avvertiti o presi in considerazione.

Episodi, questi ultimi, legati ad una mentalità inevitabilmente influenzata da una cultura ( siamo ancora a fine anni ’40) che vedeva la donna sottomessa al marito e succube dei suoi umori e delle relative reazioni emotive.

Contestualizzando certi atteggiamenti e considerando l’evoluzione della coppia, dopo un drammatico confronto in cui l’ottusità maschile prevarica ogni forma di ragionamento concreto e di comprovata lealtà, non può che emergere un sentimento di positività verso un’ unione familiare che riesce a sopravvivere anche a seguito di tormentate vicende mosse da eventi e situazioni al di fuori della più consueta normalità.

Facendo prevalere ancora una volta la ragione sulla reattività che, al contrario, spinge talvolta a gesti sconsiderati e spesso irreparabili.

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