Tárdiretto da Todd Field ruota attorno alla straordinaria figura di Lydia Tár, la prima donna della Storia a divenire direttrice di una delle più importanti orchestre tedesche.
Il regista racconta tre settimane di vita della musicista di fama mondiale, a ridosso della registrazione della sinfonia che rappresenterà il punto più alto della sua carriera. Lydia è una donna di potere, abituata a stare sul ‘podio’, un’artista illuminata ma anche un essere umano con molte zone d’ombra.
Un film scritto per la Blanchett
Tár trova la sua ragion d’essere nella protagonista, Cate Blanchett; in primis perché Todd Field ha dichiarato che il film è stato pensato e scritto per l’attrice e che, senza di lei, non sarebbe stato realizzato e, in secondo luogo, perché il punto focale della narrazione non sono i fatti, gli accadimenti ma IL personaggio.
Ad affiancare la protagonista, troviamo interpreti del calibro di Noémie Merlant, Nina Hoss, Julian Glover, Allan Corduner, MarkStrong e l’esordiente Sophie Kauer, talentuosa violoncellista inglese, selezionata tra centinaia di colleghe musiciste.
Lydia Tár è la storia stessa, un unico filo conduttore verso cui convergono tutti gli elementi dell’opera; analogamente alla musicista, l’attrice dirige questo film come fosse una sinfonia, in un movimento perpetuo, oscillando tra alti e bassi, tra un’apertura grandiosa, quasi reboante, a un finale sommesso.
Lynda rinasce nella musica e diventa Lydia, un’Araba Fenice che non riesce a mettere a tacere i suoi fantasmi, così come i rumori di sottofondo della quotidianità che interferiscono con le sue creazioni. Non c’è spazio per la tenerezza nello sguardo glaciale della Blanchett, se non quando è in compagnia di Petra, sua figlia, l’unica in grado di restituirle l’incanto, la gioia delle piccole cose e la perduta innocenza. L’unica che riesce a farle abbandonare, per qualche istante, quel podio, il suo trono, che la separa dagli altri e da se stessa.
L’arte del potere e il potere dell’arte
Tárnon è un film da ‘primo impatto’, non solo per la varietà e la complessità delle tematiche affrontate ma anche per la presenza di dialoghi prolissi e poco immediati. Si tratta di un’opera che va dunque ‘scomposta’, ‘digerita’ e metabolizzata e, quindi, è facile comprendere che non può prestarsi a una lettura univoca.
I temi esplorati attraverso la vita, o meglio, una porzione di vita, della direttrice d’orchestra sono molteplici e interconnessi: le difficoltà professionali affrontate da una donna in un ambiente prevalentemente maschile, l’arroganza del potere, il processo creativo che non prescinde mai dall’emotività di chi crea e l’arte che ha come unico intento quello di suscitare emozioni contrastanti, profonde, talmente viscerali da non potere essere definite ma solo attraversate.
Del resto, la musica è un linguaggio segreto che trascende l’umano, trasportandoci in una dimensione ‘altra’ fatta di suoni, pause, silenzi e, soprattutto, tempi. E così Lydia si configura come il punto di congiunzione tra divino e terreno, tra l’Olimpo e l’inferno.
Un personaggio che eccede nella sostanza, tanto da abbracciare Bene e Male, successo e disgrazia. Lydia, vorrebbe ‘orchestrare’ la sua vita, controllandone tutti gli elementi ma è la sua stessa esistenza a sfuggirle tra le mani, rendendola di fatto solo una pedina, in un gioco di potere di cui è vittima e, al contempo, artefice.
Nel personaggio della Blanchett coesistono grandezza e miseria, superbia e umiliazione. Tuttavia un’interpretazione, seppur magnifica, non può reggere un intero film.
Tár è, indubbiamente ben scritto (anche se a tratti decisamente verboso), ben diretto e con un cast d’eccezione ma manca di quel ‘guizzo’ creativo, di intensità. In definitiva di tutta quell’emotività e autenticità su cui il film tanto si interroga. Non è forse l’unico supremo scopo dell’arte, secondo le parole della stessa Lydia, quello di provocare ‘sussulti nell’anima’ del pubblico?
Il film di Field è il meraviglioso affresco, privo di colori e sfumature, di un personaggio ‘bigger than life’ che resta perlopiù imperscrutabile, contratto nella sua stessa magnificenza. Non riusciamo né ad amare né ad odiare Lydia, non fino in fondo.