fbpx
Connect with us

Approfondimenti

‘Trilogia dei colori’ di Krzysztof Kieślowski, la pietas come reazione al dolore e all’indifferenza

Sin dal Decalogo, KieślowskI mette in atto un'ampia indagine sull'esistenza umana, esplorando i sentimenti e le reazioni ai tormentosi dilemmi morali e individuando (fino all'apice in Film rosso) l'amore come risposta al dolore e all'indifferenza.

Pubblicato

il

Trilogia dei colori Kieslowski

C’è un senso di solitudine e melanconia connaturato, nei personaggi del cinema di Krzysztof Kieślowski e soprattutto nella Trilogia dei colori. Una condizione ontologica che li delimita e li avvolge, portando l’individuo a estraniarsi e ad entrare in conflitto con il tessuto sociale e con il mondo che lo circonda. A dominare è una pregnante indifferenza, simile a quella provata dall’uomo ridicolo di Dostoevskij, che spinge ad annullarsi sino all’oblio. È da qui che prendono forma le storie di Kieślowski e Piesiewicz (co-autore), che sin dal Decalogo osservano le pieghe dell’esistenza umana attraverso i personaggi che mettono in scena e che tentano di reagire all’indifferenza tramite l’amore. Quella pietas che si rivela anche al protagonista dostoevskiano e che illumina il suo destino. “Ogni essere umano ha qualcosa per cui essere amato”, viene detto nel quarto capitolo del Decalogo. Sono la ricerca di questo amore, la reazione all’individualismo obnubilante, l’intreccio di legami e rapporti a porsi al centro dei racconti.

Il Decalogo di Kieślowski

I dieci mediometraggi rivelarono all’Europa il regista polacco durante il Festival di Venezia del 1989. Essi si compongono come ritratti personali, mosaici intimi in cui i protagonisti incrociano il caso e il destino, che pongono loro dilemmi morali tormentosi. Prendendo spunto dai dieci comandamenti di tradizione cattolica, Kieślowski e Piesiewicz riflettono sulle leggi etiche che regolano la società, osservandone le contraddizioni e le applicazioni nel privato. Non forniscono risposte e spesso terminano i racconti con una sospensione, quasi rimettendosi allo spettatore. Successivamente il regista e il fido sceneggiatore si ispirarono ai colori della bandiera francese per la Trilogia dei colori (realizzata tra il 1993 e il 1994).L’attenzione fu spostata sugli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza che dopo la Rivoluzione del 1789 rappresentarono il fondamento della nuova società francese.

L’approccio narrativo segue quello sperimentato nel Decalogo, con tre storie di sospensione quasi metafisica e di suspense drammatica e introspettiva. La Trilogia dei colori è un’incursione nei meandri del sentimento, laddove amore e sofferenza si intrecciano fino a convergere. I tre film, pur essendo indipendenti tra loro, sono animati da molteplici connessioni, così come tutto il cinema di Kieślowski, in cui storie, dettagli, azioni e soprattutto personaggi si riallacciano e si relazionano a distanza di spazio e di tempo, abitanti di un medesimo condominio spirituale. Sono proprio le connessioni e le relazioni che si creano a stagliarsi e a risplendere con valenza catartica e salvifica.

Trilogia dei colori: Film blu

Trilogia dei colori Film blu

Dallo sfondo nero dei titoli di testa emerge una ruota di un auto in movimento. È la prima immagine del film, che nei primi istanti segue i dettagli di un viaggio che coinvolge una coppia e la loro figlia piccola, destinato a un tragico incidente. Ciascun film della trilogia si apre con inquadrature di oggetti ed elementi che si legano alla tecnologia e al viaggio. La ruota e l’auto in Film blu, una valigia trasportata da un rullo in Film bianco, i cavi telefonici che attraversano la Manica in Film rosso. Fugaci premonizioni di ciò che accadrà e dell’intimo viaggio che intraprenderanno i personaggi. L’auto oltrepassa un giovane autostoppista senza fermarsi, sbandando poco dopo. Sono i terribili snodi del destino che si manifestano funesti e beffardi, azzerando di colpo la vita di Julie, la protagonista, devastata dal doppio lutto.

Kieślowski racconta il dolore della donna attraverso le immagini, eludendo parole e dialoghi e manifestando la frammentazione della sua anima. Come accade in modo ricorrente, la risposta al dramma è il tentativo di auto-annullarsi, precipitando in un baratro di sofferenza. Dopo un tentativo di suicidio fallito, Julie decide di vendere la casa di famiglia per trasferirsi altrove e rinuncia a tutto, alle proprietà, ai soldi, ai legami. Affronta quindi il dolore fuggendo dalla sua vita precedente e chiudendosi nell’involucro che tenta di costruirsi. In una riproduzione di sè.

La rinascita grazie ai rapporti umani

Eppure, pian piano, per quanto tenti di allontanarlo e si illuda di poterlo dimenticare, il passato riaffiora e si riaffaccia tramite incontri, coincidenze, dettagli, come il suonatore di flauto che suona la stessa musica composta dall’ex marito della donna (un noto compositore). Piccoli legami che germogliano come nuove piante in un terreno arido, e sono proprio la connessione con gli altri e il sentimento d’amore (sempre inteso come pietas) a risvegliare la donna dal torpore dolente. Nel momento in cui incontra l’amante del marito e in cui viene a sapere che è rimasta incinta ha inizio la sua liberazione, che non consiste nel dimenticare o nel fuggire, bensì nel perdonare e nel perdonarsi, nell’accettazione che porta al pianto liberatorio finale.

Il percorso che compie la protagonista e lo sviluppo narrativo sono esteriorizzazioni del suo tormento interiore. Del suo stato d’animo che prende vita e riaffiora nell’immagine attraverso le improvvise dissolvenze in nero, con un utilizzo simile a quello delle pause musicali, o la ricorrenza del colore blu, presente non solo negli oggetti comuni ma anche nei riflessi del lampadario e delle acque della piscina in cui si tuffa Julie. Fino a trasformarsi in bagliori metafisici e appartenenti alla dimensione propria dell’immagine. Ma è la musica a legare pienamente racconto e sentimento. La musica che il marito stava componendo per un concerto per l’unificazione dell’Europa e che risuona proveniente dall’anima di Julie.

Trilogia dei colori: Film bianco

Trilogia dei colori Film bianco

Il protagonista ci viene presentato sin dai primi istanti come l’uomo dolente gogoliano. Fa il suo ingresso in scena con un andamento goffo, un cappotto liso e viene “segnato” dagli escrementi di un piccione che spicca il volo al suo passaggio. “Camminando per strada, egli aveva, inoltre, la particolare abilità di andare a capitare sotto qualche finestra nel momento in cui rovesciavano giù ogni specie di immondizie”, scrive Gogol ne Il cappotto. Ma sono gli sguardi a definire ulteriormente i personaggi e le dinamiche di relazione. Nell’aula di tribunale in cui si svolge il processo per il divorzio, lo sguardo di Karol è di umiliazione e offesa, incompatibile con quello della donna. È lo scontro tra due mondi distanti e inconciliabili, quello della Polonia da cui proviene l’uomo e la Francia di cui è originaria la moglie. Dopo l’Europa unita dalla musica in Film blu, adesso l’occidente e l’Est post muro di Berlino appaiono profondamente separati, alla ricerca di un’uguaglianza insperata.

L’uguaglianza è anche quella che chiede Karol in tribunale, dove si discute la richiesta di divorzio a causa del matrimonio non consumato. L’alternanza tra polacco e francese è un ulteriore segnale del divario e della presenza avulsa dal luogo in cui si trova del protagonista, la cui perdita di virilità è sottolineata anche dal taglio della carta di credito in una delle sequenze successive. In breve tempo perde tutto, la moglie, i soldi, la propria dignità e persino la libertà. Di nuovo, come nel caso di Julie nel film precedente, al dramma e alla perdita segue l’annullamento e il tentativo di costruire una nuova vita. Per farlo però, Karol deve ritornare nella Polonia che aveva lasciato per ricercare migliori opportunità, con l’obiettivo assillante di riavvicinarsi a Dominique.

Ironia e farsa

Con Film bianco Kieślowski torna alle ambientazioni grigie, innevate e nebbiose della Polonia mostrata nel Decalogo, che riecheggia anche attraverso gli attori. È il film in cui lavora maggiormente per astrazione, infondendo al racconto amaro e drammatico un’ironia e un tono farsesco che tornano a far pensare allo scrittore russo. Per ritornare alla vita Karol si affida al denaro, che può comprare tutto (persino un cadavere), abbandonandosi a un capitalismo che rappresenta uno dei pochi e dei nuovi punti di contatto tra Est e Ovest, non dimenticandosi però di Dominique e del desiderio di riappropriarsi della propria virilità.

La visione del giorno del matrimonio e del volto in soggettiva della donna in bianco torna come una proiezione, un miraggio. Una rima visiva che scandisce il percorso del protagonista, che per riavvicinarsi a lei deve completare il proprio annullamento fino alla “morte”. Solo così riesce finalmente a far l’amore con lei e a tentare di raggiungere l’uguaglianza per mezzo di un’amara vendetta. Ma come all’inizio il suo sguardo sul piccione gli si rivoltava contro, alla fine osserva il risultato delle sue azioni con il volto rigato dalle lacrime. È un’uguaglianza beffarda, effimera, irraggiungibile per via della stessa natura umana.

Trilogia dei colori: Film rosso

Trilogia dei colori Film rosso

Film rosso non è solo la conclusione della trilogia, è anche l’ultimo film diretto da Krzysztof Kieślowski.  Soprattutto è l’epilogo e al tempo stesso la summa del suo cinema. Ogni tema e ogni riflesso che lo ha animato trova qui un compimento, racchiudendo e assimilando i film precedenti, che come linee musicali distinte si intrecciano in una polifonia. Anche in questa occasione è il Caso a muoversi misterioso e a dare avvio al racconto. Il Caos permette alla protagonista, una giovane modella, di incontrare un vecchio e solitario giudice in pensione. Ma, variazione sul tema, in questo caso è il personaggio dell’anziano giudice a trovarsi rinchiuso in una malinconica solitudine.

Il suo è un dramma lontano nel tempo che, dopo la perdita di ogni speranza d’amore, lo ha condotto a uno stato di totale ed estraniante indifferenza nei confronti di sé e del proprio cane. Trascorre le giornate ad ascoltare le conversazioni telefoniche dei vicini (i loro segreti, le crepe dei loro amori). Non si degna nemmeno di tenere chiusa la porta di casa, quasi sperando che qualcuno possa scoprirlo o peggio. È come se quella porta non chiusa rappresentasse anche una flebile e inconscia speranza di un contatto con l’esterno, ed è così che Valentine entra nella sua vita. L’anima della ragazza si apre al mondo, colma di empatia e fratellanza, e finisce con il congiungersi a quella del giudice, a prima vista.

Il rapporto umano

Quello che si crea è un legame che sfiora l’amore. Il rapporto prende corpo attraverso il racconto del passato dell’uomo che casualmente è molto simile al presente di Auguste, un giovane giudice in fieri. Passato e presente e storie lontane e vicine si incrociano, sovrapponendosi e rilanciandosi, andando a completare ed allacciare i sentimenti mediante i fili del destino. Joseph passa così dall’ascoltare gli altri a riascoltare sé stesso e il suo passato, accettandolo e ricambiandolo alla luce dello slancio d’affetto della giovane ragazza.

C’è una sequenza, in particolare, che condensa il film e il suo rapporto con i precedenti della Trilogia. È una scena che ritorna in ciascuno di essi e che mostra un’anziana signora (una figura presente anche ne La doppia vita di Veronica) intenta a gettare con grande difficoltà una bottiglia di vetro. In Film blu e Film bianco i protagonisti non la notano o la guardano senza intervenire; in Film rosso viene invece aiutata da Valentine. Quel gesto racchiude l’essenza del cinema di Kieślowski, ovvero la ricerca dell’amore e dell’empatia per reagire al dolore e all’indifferenza. È la fratellanza a rendere possibili e a contenere la libertà e l’uguaglianza.

Lucky Red riporta in sala la trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski

Vuoi mettere in gioco le tue competenze di marketing e data analysis? Il tuo momento è adesso!
Candidati per entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi Drivers