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L’occhio che uccide – Ovvero come risolvere i miei problemi con le donne

Un thriller che studia le origini della paura

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Sulla piattaforma per cinefili MUBI, è visibile da alcune settimane L’occhio che uccide, uno dei film più noti e controversi, oltre che sadici thriller inglesi di ogni epoca, nonché uno degli apici qualitativi della folta produzione cinematografica del grande regista britannico Michael Powell.

Le incontenibili ossessioni di un timido cineoperatore voyeur

Il volto della morte: è  questa l’ossessione che devasta i pensieri del giovane tecnico cinematografico Mark Lewis.

Si tratta di un riservato e timido giovanotto di bella presenza, titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare ereditato dai genitori. É un asociale che preferisce concentrarsi sul lavoro e l’ unico alternativo interesse ha a che fare con la sua specifica occupazione tecnica.

Un hobby che finisce per renderlo un efferato serial killer. Prende di mira donne giovani, spesso disinibite, che in qualche modo finiscono per tormentarlo col quel loro atteggiamento crudele e senza riguardi.

Donne che ama riprendere nell’istante precedente alla loro morte violenta, perpetrata attraverso alcuni diabolici congegni affilati nascosti nella sua inseparabile cinepresa.

La quale finisce per riprendere gli ultimi istanti delle vittime, catturandone l’espressione genuina, l’unica vera e non artefatta da doti recitative anche sofisticate.

Lo stesso atteggiamento, la stessa espressione di terrore, o comunque non molto dissimile da quella che modificava i tratti facciali del ragazzo, quando veniva sottoposto a esperimenti crudeli del celebre padre scienziato che, rimasto presto vedovo, utilizzava il figlio come cavia per alcuni studi legati all’esame delle reazioni spontanee della psiche, nei confronti della paura, e degli stati emozionali percepiti senza preavviso.

L’occhio che uccide – la recensione

Nello stesso anno in cui Alfred Hitchcock  sconvolgeva le platee con le efferate gesta di Norman Bates in Psyco, Michael Powell, qui senza il fido Pressburger, si cimentava con non meno clamori e felici esiti artistici, su una storia morbosa dalle tinte fosche (pur nello sfavillio di colori sadicamente provocatori con cui il film è girato), che esula completamente dalle  versatili tematiche trattate nella precedente cinematografia.

“Sai qual è la cosa più spaventosa che ci sia al mondo? La paura.

Per questo ho fatto una cosa molto semplice, davvero molto semplice: quando sentivano questa punta che toccava la loro gola, e sapevano che le avrei uccise, le costringevo ad assistere alla loro stessa morte, le obbligavo a guardare il terrore che appariva dai loro occhi; e se la morte ha un volto, vedevano anche quello”

Lo studio del personaggio è fantastico per la profondità delle sfaccettature in cui si inserisce il suo modo di reagire: la sceneggiatura si impone di raccontarci, assai prima delle vittime, i pensieri controversi che alimentano e arricchiscono le fantasie malate del protagonista. Carnefice materiale, ma di fatto prima vera vittima di una sofferenza indicibile patita da ragazzo a causa di un padre inadeguato e disumano che lo ha trattato alla stregua di una cavia.

Una riflessione scioccante sulla deriva dei sentimenti umani, ma anche una sferzante analisi sulle distorsioni del voyeurismo (il titolo originale ” Peeping Tom” fa riferimento al perverso morboso agire dei “guardoni”).

Come spesso capita nel cinema di Powell, i ruoli primari anche stavolta non sono affidati a star di primaria grandezza o del firmamento hollywoodiano, ma di assoluto valore espressivo e indimenticabile riuscita interpretativa.
È quel che accade qui con il solido Karlheinz Böhm, attore dall’ esperienza costruita anche grazie a registi del calibro di Fassbinder, ma non proprio un divo internazionale di primaria notorietà.
Powell struttura sapientemente il racconto rendendo lo spettatore quasi complice delle efferatezze di Mark, o almeno contemplatore passivo, e quindi inevitabilmente connivente con le truci gesta dello psicopatico. Senza tuttavia dimenticarsi di conferire al suo personaggio pure uno strascico di sensibilità di fondo (l’amore puro che egli prova verso la curiosa giovane inquilina) che non evita di trasformarlo comunque in un pazzo criminale, ma contribuisce a renderlo un personaggio più umano, più complesso, meno monocorde come invece capita a molti “cattivi” costruiti più blandamente e con meno sfaccettature di questo.

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