Babysitter è la commedia canadese diretta da Monia Chokri, interprete femminile del film (insieme a Nadia Tereszkiewicz), che MUBI trasmette in esclusiva dal 19 agosto (2022).
I ruoli maschili sono affidati a Patrik Hivon e a Steve Laplante. Il primo a recitare la parte del misogino redento, il secondo del femminista convinto, tranne poi cadere entrambi in banalissime contraddizioni, ad azzerare il politicamente corretto che fingono di sostenere.
Il divertimento dovrebbe essere proprio questo: stanare le false convinzioni dei due, e farsi trascinare dalle strategie femminili (per niente femministe) della babysitter al centro della narrazione.
Un tripudio di risate che lascia a bocca aperta con rimandi horror
IndieWire
Babysitter La trama
Dopo che una battuta sessista diventa virale, Cédric perde il lavoro e intraprende un percorso terapeutico per liberarsi dal sessismo e dalla misoginia. Nadine, la sua ragazza, è esasperata dalla sua introspezione narcisistica. La situazione avrà un inatteso punto di svolta quando decidono di assumere una misteriosa babysitter per scuotere le cose.
Babysitter Quanto fa ridere Cèdric?
Cominciamo dal tripudio di risate promesso da IndieWire e da ciò che dovrebbe davvero innescarlo. Cédric (Patrik Hivon) inizia un percorso di autocoscienza talmente opportunistico che sappiamo inefficace fin dall’inizio. Recitato e ostentato: insomma, un sopra le righe quasi irritante.
L’incipit del film lo vede con gli amici, ubriaco perso, in un vortice irrefrenabile di sessismo, in una scena convulsa a dir poco fastidiosa. Completamente su di giri, bacia in diretta la conduttrice televisiva che, insieme a loro, sta seguendo l’incontro di un nuovo sport: somiglia alla boxe, ma è molto più violento e addirittura sanguinolento. Il match si conclude con il rosso del sangue che tinteggia tutta la seconda scena.
Come a dirci fin da subito quali sono gli interessi di Cédric: bevute forsennate, tette e sederi da commentare, uno sport violento come svago. Non un mostro di simpatia, insomma.
Sciocco e preso solo da se stesso, quando si butta a baciare la giornalista e il suo Cara Chantal si fa inevitabilmente virale in tutto il Quebec. Quando, dopo il licenziamento, pensa di risolvere il problema con una lettera pubblica alla giornalista, su consiglio del fratello Jean Michel (Steve Laplante) e quando si crede capace di scrivere un libro di confessione e pentimento, per trasformare l’episodio in un successo personale.
Ricorda lo psichiatra sessuofobo di After life, ma senza la delicatezza della serie di Ricky Gervais: un personaggio secondario che non rubava la scena al garbo del protagonista.
Babysitter Non fa ridere neppure Nadine
La moglie di César, Nadine (la stessa Monia Chokri), da parte sua, attraversa una forte depressione post-partum e rimane imbambolata per tutto il tempo. Esasperata dalla mancanza di sonno, trova il coraggio di lasciare il pupo a César e abbandonarsi a un bagno solitario in hotel, sperando vanamente di renderlo responsabile.
Più che una donna depressa però, Nadine sembra la caricatura dello sconforto. Non una crisi di pianto, non una sfumatura. Solo lo sguardo perso nel vuoto fin quando sembra riemergere dalla malinconia.
E neppure la babysitter
Il pezzo forte del film vuole essere decisamente la babysitter, una sorta di Sos Tata che arriva a scompaginare la situazione, presentandosi come un concentrato di potenzialità sessuali, per César, il fratello, la stessa Nadine. Con la sua mancanza di pudore esaltata dalle scollature, dalle gonne corte, e dalla sfrontata disponibilità. Non importa se reale o solo provocatoria.
Assomiglia ai personaggi di certo cinema della commedia sexy italiana negli anni Settanta, tipo La supplente o La supplente va in città, L’infermiera o le varie versioni di Emanuelle. Indossa persino la divisa da cameriera con tanto di grembiulino (ovviamente cortissima) non consentendo quel briciolo di ambiguità che avremmo preferito.
Una terapia d’urto la sua, come le psicosoluzioni di Giorgio Nardone che consistono nel ricorrere alla fantasia per curare il sintomo o all’eccesso opposto per sbloccare una condizione che si è sclerotizzata. Non ha remore, la babysitter, e non capiamo facilmente perché.
Ma sicuramente, neppure lei ci fa ridere.
Una narrazione di eccessi
Durante la visione siamo sempre in attesa di qualcosa che ne smorzi la scorrettezza, di qualche mezzo tono che ci dia un po’ di tregua. Per riposare dalle esagerazioni dei personaggi, dei toni, dei colori. Dall’esuberanza nelle recitazioni (a parte quella troppo rigida della Chokri).
Peccato, perché l’idea di una persona estranea che irrompe nella nevrosi di una coppia e, senza scrupoli, riesce a ottenere degli aggiustamenti ci piaceva.
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Monia Chokri e Patrik Hivon, in ‘Babysitter’. Foto tratta dal materiale stampa dell’ anteprima del film
Anche ne La femme de mon frère, Monia Chokri aveva descritto una coppia (fratello e sorella) costretta, lei soprattutto, a rivedere la propria vita dopo l’arrivo di un altro personaggio, la fidanzata del fratello, vissuta come un’intrusa. Ma lì lo stile era diverso: il ritmo sapeva rallentare e non era tutto così esasperatamente kitsch da rincorrere a tutti i costi un effetto straniante per l’intero racconto.
Eppure Babysitter di Monia Chokri ha avuto un ottimo successo di critica al Sundance Film Festival. Di pubblico, non sappiamo.