Estate romana (2000) è il terzo film di Matteo Garrone, offerto ora da MUBI: dopo Terra di mezzo (1996) e Ospiti (1998), due anni prima de L’imbalsamatore e otto da Gomorra che gli decreterà il successo. E che vince il Gran Prix a Cannes, confermato nel 2008 con Reality.
Estate romana La trama
Roma, quartiere Esquilino: durante il periodo del Giubileo del 2000, tre giovani artisti ambiziosi e senza soldi tentano di sbarcare il lunario mentre vivono una serie di avventure dal sapore tragico e comico allo stesso tempo (dal sito ufficiale di MUBI).
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Il giovane Matteo Garrone, che dirige Estate romana nel 2000. Foto dal sito Filmitalia-Cinecittà
Estate romana: i protagonisti nei loro stessi ruoli
Terra di mezzo e Ospiti trattavano di immigrazione ed emarginazione. I protagonisti di Estate romana invece sono marginali per scelta, perché si sforzano (senza successo) di conciliare la loro spinta verso l’autorealizzazione artistica con le concrete difficoltà lavorative ed esistenziali. Uno di loro era avvocato prima di dedicarsi alla scenografia e in un momento del film sembra rimpiangere gli agi della condizione precedente.
Sono tre persone che recitano quasi nel ruolo di loro stesse, soprattutto Rossella Or, attrice teatrale e poetessa. Insieme a lei, Salvatore Sansone (attore e sceneggiatore, qui uno scenografo squattrinato e in ritardo con le consegne) e Monica Nappo (regista e attrice teatrale, nel film aiuto scenografa di Salvatore).
Estate romana: Rossella Or
In una bellissima ripresa dall’alto della stazione, l’esordio di Estate romana vede Rossella Or durante il suo arrivo a Roma. Non sarà una vacanza. Un ritorno, piuttosto, nella sua casa occupata da Salvatore Sansone. E un omaggio del regista al Beat 72 e a tutto il teatro romano sperimentale degli anni Settanta, attraversato da Rossella, prima di dedicarsi alla post-avanguardia.
Nello stesso appartamento lavora Monica, affaticata dalla gestione della sua bambina e i litigi con la suocera che non condivide nulla di lei. Insomma, Salvatore e Monica non sembrano molto risolti nella loro quotidianità. Rossella, invece, è misteriosa. Cerca una nuova vita, che passa attraverso il lavoro; nel farlo, però, è come fosse una versione più dimessa di sé.
È disorientata. Parla poco, soffre il caldo; sviene, addirittura. Ha sempre uno sguardo malinconico. Prova a contrastarlo coi vestitucci colorati, in una frivolezza che non le corrisponde e contrasta con il suo approccio all’afa delle giornate romane. Siede appartata, sulla poltrona, anche nel cuore di una festa.
Sono venuta per rinascere ma non ci riesco
I suoni e le immagini
I contorni delle immagini spesso non sono nitidi, soprattutto negli interni disordinati e bui. Un sonoro sporcato dalle interferenze. È il meccanismo di un giocattolo che si inceppa e continua il suo insostenibile rumore; sono i dialoghi al bar sovrastati dalle voci di fondo. A niente serve alzare il volume, perché quello dei disturbi gli si sovrappone.
La comunicazione, già di per sé essenziale, si fa stentata. Negli esterni, poi, il frastuono di una città che cerca di rimettersi a nuovo, impacchettata per i lavori di rifacimento del Giubileo. Cantieri e confusione ovunque, come se anche la città volesse rinascere senza riuscirci.
Dal realismo al surreale
Matteo Garrone avrà modo di sperimentare e affinare il realismo dei suoi film via via nel ventennio successivo. Ma già fin da ora la quotidianità dei tre personaggi, in questa faticosa convivenza, è resa con uno stile molto vicino al documentario. Per poi spostarsi, nella seconda parte, verso un registro che va dal surreale al grottesco.
Quando Salvatore si trova sul gobbo un’opera alla quale ha lavorato con Monica negli ultimi due mesi e ora non sanno che farsene. Particolare non trascurabile: il grande mappamondo per la scenografia di uno spettacolo che debutta la sera stessa, non passa dalle porte, né dalle scale, e sono costretti a trovargli una nuova collocazione.
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L’avventura del mappamondo. Foto tratta dal sito di Filmitalia-Cinecittà
L’unico testo che si può rappresentare è la realtà, ma la realtà ci sfugge da tutte le parti. Lo dice Simone Carella (grande mito del teatro d’avanguardia), reso antipatico nella parte del regista annoiato e svalutante nei confronti di Rossella (ma lei insiste!).
Tanto vale allora, ammantare la stessa realtà di un’atmosfera un po’ favolistica, come fa già allora il trentaduenne Matteo Garrone in Estate romana. Non ancora tra le sue opere più riuscite, ma presenta molti elementi che, lo sappiamo, svilupperà in seguito.