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Possessor: la recensione dell’inquietante film di Brendon Cronenberg
Su Prime Video un thriller Body Horror difficile da gestire
Published
3 anni agoon
Possessor è un film diretto da Brandon Cronenberg e disponibile dal 27 luglio su Amazon Prime Video.
La storiraa
Nel 2008, un’organizzazione criminale commette omicidi a pagamento facendo controllare il corpo di un’altra persona dall’assassino tramite un innesto mentale, con l’inconsapevole capro espiatorio costretto alla fine a suicidarsi.
L’innesto non è pero indolore, necessitando di una pesante fase preparatoria e di un congruo sostegno psicologico. Tasya Vos (Andrea Riseborough) è una delle killer più richieste, ma al suo ennesimo lavoro mostra segni di cedimento: il suo rapporto con l’ex marito è a un punto di svolta, ma qualcosa nel suo cervello non va bene, e influenzerà la sua missione. Forse l’ultima?
La recensione
Prodotto nel 2020, ma distribuito in Italia sono nel 2022, Possessor è un thriller/body-horror difficile da gestire, ancora più difficile da digerire e metabolizzare. Di figli d’arte è pieno il cinema, così come di figli d’arte particolarmente talentuosi, che inevitabilmente devono fare i conti con la loro eredità e troppo spesso giustificare la loro presenza nel mondo del cinema.
In genere, il loro posizionamento è tripartito: perciò, per una Sofia Coppola che è probabilmente l’unica ad aver trovato una sua personale ispirazione che niente ha a che vedere con quelle dell’ingombrantissimo papà, c’è sempre un Duncan Jones che manipola le geografie musicali del papà –David Bowie– gestendo l’influenza solo come spunto di partenza; per arrivare proprio a Cronenberg, finora primo in tal senso, che sembra far suo a livello genetico, emotivo e profondamente personale la poetica tutta cronenberghiana sul corpo e le riflessioni sulla carne. Perché Possessor mostra un autore completamente padrone di sé stesso e del mezzo, con uno sguardo personalissimo e una chiara direzioni d’attori: e che mostra la sua posizione (quando non la sua ossessione) per gettare luce -e ombre- sul rapporto corpo-mente.
Un piccolo pensiero è come una frattura, dice qualcuno all’inizio del film: che si apre con una sequenza choc di una donna che innesta, a mani nude sul cuoio capelluto, in pieno cranio, un lungo e doloroso ago collegato a una scatoletta elettronica attraverso la quale stimola le sue reazioni emotive di fronte a uno specchio. Dichiarazione d’intenti che non lascia spazio ai dubbi, la carne e tutto ciò che c’è dentro sono profondamente collegati ma divisibili: la carne è pensiero, il pensiero si fa carne.
Se non fosse per la storia (che in Possessor è chiaramente un pretesto narrativo, per dialogare poi attraverso immagini che sconfinano bellamente nella video arte), il secondo lungometraggio di David potrebbe fare il paio o sembrare una prosecuzione di eXistenZ, uno dei capolavori assoluti del Cronenberg più anziano. Addirittura condividendone attrice (Jennifer Jason Leigh, sempre efficace nel suo sembrare nello stesso tempo a disagio, fuori posto e perfettamente coerente con quello che la circonda).
Insomma, tutto per dire che Brandon non solo ha fatto sua la lezione del papà, ma sembra averne fatto uno stile proprio e un’esigenza autoriale, a livello -per restare in tema- cellulare epidermico carnale concettuale: il body horror è la nave con cui salpare nel mare (di sangue) in tempesta che naviga tra esperienze scioccanti e traumatizzanti.
Ma ciò che rende Possessor una visione scomoda ma necessaria, quasi essenziale ed esiziale nel panorama asfittico contemporaneo, è il fatto che David porta avanti le idee di papà ma le declina e le aggiorna nell’ottica di una sensibilità tutta moderna, al passo non solo con le evoluzioni tecnologiche e sociali ma anche con le loro ricadute a livello culturale e psicologico.
Il dettaglio gore sulle frattaglie (che all’inizio sembra apparire timidamente solo in rapidi fotogrammi e verso il finale prende velocità e riempie lo schermo fino alla chiusura, ineluttabile quanto respingente) pone Possessor come portatore sano di un’idea di cinema antica e vincente, dove non si arretra di fronte a niente; violento e nichilista, con il suo passo lieve e pesante insieme per riecheggiare riflessioni sempre attuali sulla visione, sullo sguardo, sul voyeurismo. Tutto così intimamente legato alla carne, ai corpi, alla ingabbiata sessualità della pelle, da formare un unico calderone ribollente e ustionante, mentre apre abissi di profondità vertiginose.
Come quando si sofferma a mostrare la forza dell’istinto che impedisce al corpo-marionetta di spararsi un colpo in bocca, azione definitiva e oltraggiosa, impensabile e così violenta da lacerare il tessuto corticale dell’incoscienza.
Perché a proposito di modernità di David, non si può non pensare che la poetica cronenberghiana si sposa in maniera coerente e felice con inquietanti successioni sulla riproducibilità nei nostri tempi di musica e video liquidi: Possessor si interroga sull’identità e sul suo valore in un mondo commerciale dove invece la stessa sta per esser soppiantata, ed è un florilegio di nastri che corrono e si riavvolgono, suoni che nascono dal nulla e si ripetono, voci che tornano da dentro e da fuori, in un loop audiovisivo spaventosamente moderno per quanto è vicino a noi.
E pensare alla fine che il lungometraggio è ambientato in un vistosamente recente passato, fa correre un brivido lungo la schiena: il futuro vischioso e oscuro che David Cronenberg aveva preconizzato non è qui, lo abbiamo ampiamente sorpassato.