Vi riproponiamo questa recensione di As bestas, disturbante fatica cinematografica del bravissimo regista spagnolo Rodrigo Sorogoyen.
Con Movies Inspired, venne per la prima volta presentato al Festival di Cannes 75, nella sezione Cannes Première per poi arrivare alla Festa di Roma 2023.
“As bestas”- la trama
Una scena iniziale sconcertante mostra come due allevatori riescono a bloccare la resistenza di un cavallo adulto, bloccandolo con tutto loro stessi, fino a farlo stramazzare, letteralmente soffocato da una presa che gli toglie il respiro.
La medesima scena si ripresenterà a metà vicenda, rivelandosi ancora più sconcertante in quelle che saranno le conseguenze finali.
Una coppia di francesi di mezza età decide di trasferirsi in un villaggio rurale della Spagna, dove acquista terreni e un paio di ruderi, con l’intenzione di dedicarsi alla terra e di aprire un agriturismo.
Un sogno di realizzazione che tuttavia riceve bruschi contraccolpi da parte dei vicini ostili, allevatori di bestiame, intenzionati a concludere un affare per l’installazione nei loro terreni di impianti eolici, in grado di far loro abbandonare quel lavoro duro e senza prospettive, trasferendosi in città.
La dura reazione del nuovo vicino francese riguardo alla scelta di non cedere alle offerte relative all’installazione degli impianti energetici, provoca un rancore crescente nei due fratelli pastori, che li spinge a utilizzare metodi violenti per tentare di intimidire la coppia.
In un crescendo di tensione e moti di ira, i rapporti tra vicinato diventano sempre più tesi, fino al momento in cui il marito francese misteriosamente scompare senza lasciar più tracce di sé.
La recensione
La capacità tipica del talentuoso regista Rodrigo Sorogoyen di tener alta la tensione e catturare lo spettatore entro vicende in grado di tenerlo sulle spine fino all’epilogo (quando c’è..), si manifesta anche in questa sorta di thriller che affonda le sue radici nell’odio epidermico, implacabile, tra l’indigeno quando affronta le iniziative per lui incomprensibili dello straniero. Il quale vanta diritti reali su cose che storicamente non gli appartengono.
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Ma l’ animale che mi porto dentro Non mi fa vivere felice mai Si prende tutto anche il caffè Mi rende schiavo delle mie passioni E non si arrende mai e non sa attendere E l’ animale che mi porto dentro vuole te…
(Franco Battiato – L’animale)
La capacità del bravissimo regista di azzeccare la scelta degli interpreti (Madre fu un ottimo film di regia, ma anche grazie alla splendida interpretazione di Marta Nieto), si ripete nuovamente qui e sia il corpulento Denis Menochet (uno tra gli attori francesi più interessanti del momento), sia la esile, ma non meno combattiva Marina Fois, risultano una scelta strategica fondamentale per la piena riuscita di quest’opera.
Un film potentissimo
Un film che entra nella sensibilità dello spettatore e lo sconvolge poco per volta, imprimendosi dentro con l’impeto di un incubo che non solo si è in grado di rielaborare una volta svegli e coscienti, ma che risulta destinato a restare nella mente e a tornare alla memoria come un fosco presagio in grado di preannunciare guai all’orizzonte.
Nel film inoltre i personaggi crescono, si arricchiscono di sfaccettature sempre più inquietanti ed animalesche, si potenziano con la determinazione che li conduce a resistere a un giogo altrimenti insopportabile e ad angherie che paiono tipiche di una società primitiva fondata sulla prepotenza e la prevaricazione.
E saranno le donne le vere superstiti; saranno loro a resistere alla contesa.
Tra di loro uno sguardo d’intesa riuscirà a suggellare ciò che la trivialità maschile non è mai riuscita a fare, privilegiando stoltamente il tranello e l’imboscata alla lealtà di un accordo che possa riuscire a conciliare due interessi eternamente antitetici.