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‘On call- La Permanence’ Recensione

Il documentario di Alice Diop riprende la quotidianità di un ambulatorio alla periferia parigina dedicato ai nuovi immigrati. Con realismo e tanta delicatezza

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On call-La Permanence è un documentario francese del 2016 di Alice Diop che MUBI offre dal mese di giugno, all’interno di una retrospettiva sulla regista, che comprende anche Danton’s Death, Towards Tenderness, RER B e Nous-We.

On call-La Permanence e la retrospettiva MUBI su Alice Diop

Insieme a On call-La Permanence, un breve elenco degli altri film su MUBI:

Danton’s Death (2011): Steve, un venticinquenne di colore della periferia parigina, vuole scappare dalla violenza del suo quartiere studiando recitazione in una delle migliori scuole del Paese. Ma presto scopre che il mondo del teatro vuole relegarlo solamente a ruoli “neri” (dal sito ufficiale MUBI).

Towards Tenderness (2016): Quattro ragazzi della periferia parigina parlano del loro ambiguo rapporto con la virilità. Dietro alla maschera del machismo e ai comportamenti che la società e i loro amici si aspettano da loro in quanto uomini, si cela un desiderio fondamentale d’amore che emerge attraverso intensi monologhi (dal sito ufficiale MUBI).

RER B (2017): Nella luce fioca del tramonto, l’artista francese Benoît Peyrucq osserva e dipinge il treno RER B in movimento da un ponte di Drancy. Inaugurata nel 1977, la tratta dell’RER B attraversa l’area metropolitana parigina da nord a sud, trasportando ogni anno oltre un milione di passeggeri (dal sito ufficiale MUBI).

Nous-We (2021), presentato alla Berlinale 2021: Un ritratto caleidoscopico di abitanti della periferia parigina, delle loro vite e del loro luogo di lavoro, collegate dal treno pendolari RER B che attraversa la città da nord a sud. Una signora delle pulizie, un meccanico, uno scrittore, persino la regista stessa: tutti formano i “noi” del titolo (dal sito ufficiale MUBI).

Alice Diop in concorso alla 79ma Mostra di Venezia

Alice Diop sarà presente alla 79ma mostra di Venezia con Saint Omer in concorso. Non più un documentario, bensì un film processuale, presentato come opera prima. La storia della Diop non si sottrae alla trattazione di un tema scottante. Una giovane scrittrice, Rama, assiste al processo di una donna accusata di aver ucciso la figlia di quindici mesi, abbandonandola su una spiaggia al nord della Francia (dal sito ufficiale MUBI). Tema scabroso, e, ahinoi, attuale!

On call-La Permanence: trama

Una scena del film On call-La Permanence

Da uno studio medico della periferia di Parigi esce ed entra una miriade di immigrati, la cui sofferenza non si ferma al viaggio compiuto per arrivare in Francia, ma è intensificata dalla precarietà della loro vita quotidiana. Un medico e una psichiatra provano a curare il corpo e la mente (dal sito ufficiale MUBI).

On call-La Permanence Il setting

L’ambulatorio che si fa setting del film On call-la Permanence è situato all’interno dell’ospedale di Avicenna a Bobigny, confinante con la periferia parigina. Una stanza che sa di vecchio, come la porta scrostata di fronte a noi e alle spalle dei pazienti, o le immagini stinte alle pareti. Poca luce in questo ambiente a dir poco essenziale.

Passano da qui uomini che portano il peso di un passato recente: il viaggio e ancor prima, le violenze fisiche da parte degli eserciti locali, per alcuni di loro. Uno zoppica, altri due accusano dolori persistenti alle ossa e tutti riferiscono difficoltà nel dormire. Il medico prescrive così gli antidepressivi, mentre dice alla psichiatra quanto queste ricette evidenzino la loro impotenza. Soccorrere i rifugiati è un dovere professionale che si fa anche politico, nella consapevolezza dei limiti e dell’importanza del proprio lavoro.

I pazienti si raccontano

La scelta iniziale della regista di presentarci il dottore e la psichiatra solo attraverso le loro voci (di lui si vede la schiena, di lei le braccia e il corpo ma non il viso) è funzionale a non distogliere la nostra attenzione dagli stranieri e dalle loro difficoltà estreme. Sono immigrati da poco. Alcuni non sanno dove dormire e sono lì anche per elemosinare un certificato che possa fargli ottenere un posto letto in una qualunque struttura. Dormono alla stazione, o sul pavimento ospitati da amici, anche coloro che presentano dolori diffusi in tutto il corpo per le percosse di qualche mese prima.  Non hanno casa, non hanno lavoro, non hanno parenti, e neppure la salute.

Il più ottimista, quello che zoppica parecchio, e viene dallo Sri Lanka, ottiene l’asilo tanto atteso. È felice, nonostante il dottore gli dica che ora deve imparare la lingua, altrimenti non troverà lavoro. Ma lui è fiducioso: gli manca un’istruzione, non sa usare internet, non sa, appunto, il francese. Che ne sarà di lui? Non possiamo fare a meno di chiedercelo.

Poche donne in ambulatorio

Nella sala medica, tanti uomini, alcuni per incontri ripetuti e pochissime donne. Chissà se perché la frequentano meno o perché poi non hanno dato il permesso di comparire. L’ultima paziente è una giovane che ha lasciato in Sud Africa tutti i figli e si presenta con un bambinetto che la guarda con gli occhi dell’innocenza, mentre lei non riesce a dar voce al suo passato. Ma i documenti parlano al suo posto e quando viene colta da un pianto convulso, il dottore chiede a qualcuno (che non si vede) di abbracciarla mentre lui sbriga le carte necessarie.

Nel suo lavoro è accompagnato da due donne: l’assistente sociale e la psichiatra. Ognuno di loro tre svolge la propria parte di lavoro, nel rispetto estremo dei ruoli e dei pazienti.

Una realtà fatta di competenza, rispetto ed empatia

Il dottor Jean-Pierre Geeraert riesce a conciliare perfettamente i suoi compiti: sa accogliere, ascoltare, fare le domande giuste al momento giusto, senza mai perdere la calma, anche se la sala d’attesa  è piena. Trasformando la stanza squallida in luogo di contenimento della sofferenza, in cui ci si possa fidare ed affidare.

Tante narrazioni nel documentario di Alice Diop

Ci sono tante narrazioni in questo documentario, che si somigliano e che sono ciascuna diversa dall’altra. Raccontate tutte con garbo, sobrietà, e senza inutili pietismi, senza giudizi e senza pregiudizi. In momenti di accettazione psicologica e aiuto concreto, chissà quanto preziosi per chi ne ha così tanto bisogno.

Non a caso il film di Alice Diop si apre con una intensa citazione di Fernando Pessoa:

“Ho sentito parlare di popoli e di umanità.

Ma non ho mai visto né popoli né umanità.

Ho visto ogni genere di persone, sorprendentemente dissimili.

Ognuno separato dall’altro in uno spazio disabitato”.

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