Agender – Cinema Queer/Future Arts: “Abbiamo un problema” di Canecapovolto
Canecapovolto, l’autore del film, agisce in presa diretta, sperimentato i gap comunicativi che l’espediente brusco dell’intervista può provocare e regalare, irrompendo con il dubbio e l’ambiguità nella bipolare dicotomia verità/finzione così come in quella sull’etero/omosessualità
Abbiamo un problema, o forse no. Ce lo siamo inventato. Leggendo Jonathan Ned Katz, o anche Louis Georges Tin, veniamo a sapere (a scoprire?) che l’eterosessualità e la sua cultura sono una costruzione tardo ottocentesca, prima coniata a indicazione di una patologia (la perversione della ricerca di un piacere non riproduttivo) e poi assurta a norma (normalità e normalizzazione della sfera sessuale). Ne consegue che anche qualunque discorso sulla definizione o sulla presunta origine dell’omosessualità non possa prescindere da questo dato di fatto, ancora una volta una costruzione. Il risultato d’un discorso tendenzioso e discriminante e non un dato di natura. [verrebbe da chiedersi, sconfinando da qui, se anche il cinema narrativo di cui siamo sommersi in questi tempi andati non sia anch’esso sciaguratamente preso come dato di natura…].
Intorno a questo intricato discorso il gruppo di Canecapovolto si aggira per Catania, intercettando tra le strade, nelle spiagge, addosso ai volti dei passanti, nella villa Bellini, sulle panchine, il sentimento popolare, l’orrore comune, il gioco dello smarcarsi e quello della rivendicazione, tra pensieri di volta in volta imbevuti di carità cristiana (uno dei sacerdoti e la gran parte degli anziani), d’orgoglio differente, di prudenza democratica o di radicalità rabbiosa e coraggiosa.
Canecapovolto agisce in presa diretta, sperimentato i gap comunicativi che l’espediente brusco dell’intervista può provocare e regalare, irrompendo con il dubbio e l’ambiguità nella bipolare dicotomia verità/finzione così come in quella sull’etero/omosessualità. E creando un ironico e ricco collage audiovisivo in cui tra i catanesi coinvolti si insinuano frammenti di found footage, lo shockumentary TomBoy, il gioco inconsapevole dei corpi in spiaggia, i raccordi di sguardo omosex nel cinema classico hollywoodiano, gli scatti e gli abbracci tra militari, le gentili effusioni tra amiche, il tutto indagato con eccentricità percettiva e manipolazione dei materiali.
Compiendo un excursus socio-politico all’interno del quale si tenta una parziale e non tendenziosa decostruzione del rapporto tra chiesa e omosessuali, tra cultura di destra e gay, tra idea di famiglia, tradizione, norma e diritto, tra integrazione e rifiuto, tra paura e morbosità, la fabbricazione del nemico omosessuale, così viene annunciata nei titoli, emerge sabotata e contraffatta, risulta un monstrum partorito da una baruffa del Potere, nella paura ancestrale del diverso/identico, per un’esigenza di controllo e di rinuncia alle forme disturbanti e minoritarie. Provocatoriamente, come dichiara lucidamente WarBear, «omosessuali si nasce, gay si diventa?». Ulteriormente, contro il rifiuto di una visione non riproduttiva (e quindi “inutile”, non inseribile nella catena della produzione) della vita, contro l’intolleranza verso gli stati eccedenti la regola, contro una illusoria e rovinosa eugenetica della mente.