Di Nuovo Armenia abbiamo parlato cinque anni fa. Nel 2017 l’iniziativa cinematografica dell’associazione era del tutto nuova. Si chiamava Cinema di Ringhiera perché utilizzava come location delle proiezioni i cortili di Milano, in una zona semicentrale (o semiperiferica: è tutto relativo!). Con le tipiche case milanesi di ringhiera, costruite in modo da creare al suo interno uno spazio che favorisce la condivisione.
Qualche incontro, all’inizio dell’estate, con proposte di film provenienti da tutto il mondo. Un luogo piccolo, fin da subito portavoce di storie e voci lontane, che diventavano vicine in quei cortili così pieni di vita. I film preceduti da piacevoli spuntini offerti dagli abitanti e dai volontari. Cibo e cinema: cosa c’è di meglio per una serata estiva in compagnia!
Ora Nuovo Armenia è in grado di offrire una programmazione cinematografica e di concerti dal 18 maggio al 3 ottobre, il bar ristorante nel verde, un’atmosfera di simpatica accoglienza. E qualche film della rassegna recuperabile su Mymovies.
Nuovo Armenia Il nome
Il nome è un omaggio all’Armenia Films, la casa di produzione e distribuzione fondata da Johannes H. Zilelian nel 1917. Nasceva su alcuni spazi della Milano Films, del 1909, a sua volta nuova denominazione della casa fondata nel 1907 dal fotografo Comerio. Nel ’33, Armenia Film assorbe la Milano Films per diventare Elios. Pare proprio che Luchino Visconti abbia girato lì il suo primo film, di cui purtroppo non ci sono più tracce.
Il mistero del film (scomparso) di Luchino Visconti – Alla ricerca di Luchino Visconti (alla-ricerca-di-luchino-visconti.com)
Degli studios milanesi rimane oggi solo il perimetro della facciata, in via Baldinucci, con la scritta in alto ben visibile. Bisogna saperlo, però, perché lo sguardo del passante frettoloso possa soffermarsi.
Nuovo Armenia La storia fino ad oggi
Il progetto di Nuovo Armenia nasce dopo l’esperienza del film Io sto con la sposa di Antonio Agugliaro, Gabriele Del Grande e Soliman Al Nassiry. E dopo i due anni trascorsi ad accompagnarlo nelle sale, nelle scuole, ai festival, in Italia e nel mondo. Il bando del Comune di Milano per l’assegnazione di uno spazio cittadino, vinto dai fondatori di Nuovo Armenia, fa loro pensare subito alla scuola di italiano per stranieri, Asnada. Sarà il progetto del Cinema di Ringhiera, altro bando vinto, e il suo successo, a incoraggiare l’associazione, che ha rilevato uno spazio fatto di rifiuti e detriti per trasformarlo nel luogo di aggregazione culturale che è ora.
Nuovo Armenia I film
Viene promossa la conoscenza dei film di Africa, Asia e America Latina, che, a parte l’ampio spazio del festival milanese, trova poca rispondenza nella programmazione delle sale. “In un mondo sempre più interconnesso, globalizzato e su molti temi necessariamente collaborativo, è fondamentale imparare ad essere cittadini del mondo oltre che del proprio territorio. Ecco perché, a nostro avviso, non è più possibile ignorare la produzione cinematografica di circa metà pianeta. (Si legge sul sito di Nuovo Armenia).
I film sono sempre proiettati in lingua originale con i sottotitoli in italiano (anche su Mymovies), per favorire la conoscenza tra comunità e fungere da cassa di risonanza delle tante culture e lingue presenti nel territorio.
Ci piacerebbe parlare di tutti i film programmati e già proiettati. Ne abbiamo scelti appena tre, con l’intenzione di tornare a parlare di questa iniziativa, unica nella nostra città.
Fataria di Walid Taya (2019), Tunisia
Locandina del film ‘Fataria’ nella programmazione di Nuovo Armenia 2022
A Tunisi, in un’atmosfera resa frenetica da un vertice di capi di stato, i personaggi cercano di risolvere i loro problemi personali, tra un quartiere disagiato, un ospedale, un edificio fatiscente, un teatro. Hamadi, elettricista, deve riparare un sistema di alimentazione di un condominio fatiscente. È attratto da Naziha, una divorziata sulla cinquantina che vive nell’edificio.
Salha sta cercando in tutti i modi di guadagnarsi da vivere per provvedere alla sua famiglia. Può essere una professionista del lutto e piangere nelle case dei defunti e poi, subito dopo, animare le feste di matrimonio. Nadia, coreografa, prova con i suoi ballerini nonostante il frastuono insopportabile del vicino cantiere edile tenuto da un uomo corrotto. Ammar infine cerca cure presso l’ospedale pubblico, ma viene maltrattato e sballottato da un ufficio all’altro.
Il vertice arabo è un successo, mentre i personaggi combattono per la sopravvivenza. (Dal sito di Nuovo Armenia).
Fataria, Qualche riflessione
Quanto sono stravaganti e scombinati i personaggi di Fataria! La più bizzarra è senza dubbio Salha che corre da una casa all’altra, trasformandosi come un gioco di prestigio, da direttrice del coro funebre a quello dionisiaco. Basta cambiare il senso del foulard, festoso da una parte, luttuoso dall’altra. E se ne va sempre di corsa, badando, nelle rare pause, alla sua rivendita clandestina di alcolici e droghe leggere, per non precipitare nella miseria.
Sono tutti prigionieri di una ricerca estenuante. Hamadi e Nazhira sembrano abitare un Condominio dei cuori infranti maghrebino. Stralunati, si avvicinano tra loro goffamente, lei con le pose da navigata seduttrice, lui reso afasico dallo stupore dell’inaspettato corteggiamento.
La coreografa Nadia e l’anziano Ammar, indomiti, continuano per la loro strada, lei nel voler a tutti i costi portare a termine il suo spettacolo di danza, lui nel far valere il diritto di essere guarito, nonostante venga ignorato o ascoltato solo per rabbonirlo.
È il caso di precisare che nessuno di loro riuscirà nei propri intenti?
Ci sarebbe tanto materiale per un film drammatico, ma le situazioni, che si fanno buffe e divertenti nel loro ripetersi, accentuano l’effetto straniante, grazie anche all’ottima recitazione e al tocco di una regia partecipe e distaccata quanto basta.
Suk Suk di Ray Yeung (2019), Hong Kong
All’inizio del film lo spettatore fa la conoscenza del tassista Pak (Tai Bo) mentre va a prendere la nipotina a scuola e poi si gode un pasto con la moglie e i figli di mezz’età. Ma quando Pak è al lavoro, si prende qualche pausa per andare a rimorchiare uomini nei bagni pubblici. Durante una di queste spedizioni incontra Hoi (Ben Yuen), un pensionato che se ne sta seduto tranquillamente in un parco, e vengono piantati i semi di una relazione. Ben presto cominciano i messaggini, l’uscita in un bar e in una sauna frequentata da anziani gay. Mentre fiorisce la loro storia d’amore, ciascuno dei due avverte il richiamo della famiglia. Far funzionare questa relazione non sarà semplice. (Dal sito di Nuovo Armenia).
Suk Suk: Qualche riflessione
Suk Suk significa proprio persona anziana. E sulla terza età si costruisce la vicenda del film, su due temi delicati come l’omosessualità e la vecchiaia. Il secondo è stato per molto tempo un tabù delle narrazioni letterarie e cinematografiche. Perché non era ritenuto piacevole mostrare rughe, inestetismi, e gli inciampi dell’età. Ma negli ultimi due decenni i vecchietti si sono presi di diritto lo schermo (e la pagina scritta), con storie struggenti. Amour, Youth – La giovinezza, The father, solo per citarne alcuni.
Nel cinema orientale forse non ci sono state le stesse remore del nostro passato, ma il connubio tra l’essere uomini in età e omosessuali è qualcosa di nuovo, assolutamente. Anche per noi, a parte la serie americana Grace and Frankie, con un approccio intelligente, ma ironico, divertito, come se i due modi di essere, insieme, potessero affrontarsi solo così.
Ray Yeung lo fa sempre con pudore e senza falsi pudori, con garbo e una tenerezza che attraversano tutta la narrazione. Pak e Hoi sono ripresi sempre molto da vicino, in espressioni sofferte a rendere il conflitto tra l’amore e i doveri familiari. Nonostante Hoi viva con un figlio svalutante e Pak in un rapporto coniugale di stanche abitudini. Oppure li vediamo insieme nella stessa inquadratura, a sottolineare la loro vicinanza.
Ci si aspettano da un momento all’altro svolte drammatiche che non arrivano, in una tensione che sale dall’innamoramento alla difficile gestione del rapporto.
“Mi sono convertito pure io perché mio figlio mi ha detto che quando non saremo più in vita, per le nostre anime sarà più facile ritrovarsi”: una delle dichiarazioni d’amore più struggenti del film.
Suk Suk è ispirato al libro Horal Histories of older men gayin Hong Kong del sociologo Travis Kong.
Three summers di Sandra Kogut (2019), Brasile
‘Three Summers’ nella programmazione di Nuovo Armenia 2022. La foto è tratta dal Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina
Una commedia che si svolge nell’arco di tre estati consecutive, dal 2015 al 2017, e che racconta la storia di Madá (Regina Casé), custode di mezz’età di una villa di lusso. I proprietari, Edgar e Marta, ogni Natale organizzano una sontuosa festa nella loro residenza estiva. Ma nel corso di tre anni, le loro vite cambieranno radicalmente.
Cosa accade agli invisibili che vivono nell’orbita dei ricchi e dei potenti quando tutto crolla? Attraverso il loro sguardo, si assiste alla progressiva disintegrazione del Brasile alla vigilia del 2018.
Three summers Qualche riflessione
Anche Regina Casé, la domestica tuttofare di Three Summers, non è giovanissima, ma interpreta un personaggio con una verve fuori dal comune. Madà ha in mano la responsabilità di tutta la villa: la gestione delle feste, l’organizzazione della servitù, l’umore dei ricchi proprietari. Eppure, le è riservato un trattamento che va dall’indifferenza alla condiscendenza. Quando parla a Marta dei suoi problemi economici e del bisogno urgente di soldi, la padrona continua a regalarle vestiti che non usa più, senza minimamente preoccuparsi di ascoltare, neppure di far finta.
Madà si salva in qualche modo grazie alla sua intraprendenza, affittando la villa come resort di lusso, quando i proprietari l’abbandonano: Edgar fuggito per corruzione, Marta sbarcata addirittura in America, lontana anche dal marito.
Tutta la vicenda di queste tre estati, che sono una testimonianza di resistenza agli imprevisti, è una chiara denuncia di un sistema sbagliato, del benessere dei pochi che si costruisce sulle difficoltà della moltitudine.
Madà e il resto della servitù trovano una maniera sana per resistere, aiutati soprattutto dalla vitalità di lei che non si arrende. Solo verso la fine, in un disperato monologo, ci racconta il suo passato. Suo o delle donne che come lei hanno dovuto vivere privazioni, prevaricazioni, miseria e prepotenze.
Ma il tono torna subito frizzante, perché anche in una commedia come questa si possono denunciare i guasti di una società che frana sulle sue stridenti contraddizioni.
Altri futuri film
Chi scrive si è limitata a brevi riflessioni sui film visti su Mymovies. Sperando che, superata la fase personale del covid (è proprio vero, ahinoi!, dobbiamo passarci tutti), di tornare a parlare di qualche altro film visto dal vivo, per assaporare l’atmosfera e la convivialità di Nuovo Armenia.
Una delle prossime proiezioni: Lunana: il villaggio alla fine del mondo, candidato all’Oscar. Segue la recensione di Antonio Maiorino.
‘Lunana: il villaggio alla fine del mondo’, dieci e lode alla scuola da Oscar in Bhutan