Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!
Quando la sera dell’11 luglio 1982 la voce del telecronista Rai Nando Martellini scandì per tre volte queste parole, e sul teleschermo apparve il volto sorridente ed esultante del Presidente Sandro Pertini, molti italiani – e, fra questi, chi scrive – provarono una felicità incommensurabile. Sicuramente esagerata se, a mente fredda, si valuta ciò per cui l’Italia stava impazzendo: il trionfo in un semplice, seppur importante, evento sportivo.
Tuttavia, la vittoria della Nazionale di calcio ai mondiali giocati in Spagna, arrivata battendo la Germania dopo aver eliminato, fra l’altro, Brasile e Argentina, contribuì a sviluppare, negli italiani, un senso di appartenenza a una nazione che raramente si era verificato sino ad allora.
Questa idea viene resa bene nel documentario di Gianluca Fellini e Michela Scolari Paolo Rossi – L’uomo. Il campione. La leggenda, che sarà nelle sale italiane a partire dal 5 luglio, in concomitanza con il quarantennale della sfida contro la Nazionale carioca, nella quale Paolo Rossi segnò tre gol permettendo all’Italia di proseguire il suo cammino mondiale.
Il film di Fellini e Scolari vede Paolo Rossi – che della vittoria mondiale fu tra i massimi artefici e che, purtroppo, ci ha lasciato nel 2020 – aprirsi al pubblico raccontando quella che è stata la sua personale avventura calcistica e umana. Sin da quando, bambino in un quartiere periferico della sua Prato, cominciava a maturare il sogno di diventare, un giorno, un calciatore professionista.
Immagini di repertorio e molte interviste ci conducono in un viaggio attraverso un mondo ormai scomparso
Spesso inquadrato con un primissimo piano su sfondo nero, il sorriso accattivante del campione ci conduce attraverso gli anni Settanta e Ottanta, a riscoprire un mondo ormai irrimediabilmente cambiato, così come radicalmente cambiata è l’intera nostra società.
Per narrare la vita e l’evoluzione sportiva di Paolo Rossi – che sin dai mondiali giocati in un’Argentina oppressa dalla dittatura venne chiamato con il nickname di Pablito – i due registi fanno ampio ricorso a immagini di repertorio e a numerosi interventi di vari personaggi. Come quelli di calciatori quali Maradona, Boniek, i brasiliani Falcao, Junior, Zico e Pelé, i compagni di squadra Tardelli, Zoff, Cabrini e Antognoni e, ancora, Platini, Rummenigge, Roberto Baggio. Giornalisti come Gianni Minà e Alberto Cerruti. Ex dirigenti sportivi quali Luciano Moggi, Andrea Agnelli, Giussy Farina, presidente di quel Lanerossi Vicenza in cui Rossi esplose), Franco Carraro, allora presidente della Federazione Gioco Calcio e della Lega Calcio.
Il documentario si snoda tra i ricordi e gli episodi salienti che hanno caratterizzato la carriera di Paolo Rossi, da quelli più belli come l’esordio in Serie A e la vittoria nella Coppa del Mondo, sino a quelli più dolorosi, come la finale di Coppa dei Campioni all’Heysel con la maglia della Juventus o la squalifica per due anni a seguito dello scandalo del calcio scommesse, per il quale Rossi si dichiarò sempre innocente.
Gli agganci alla contemporaneità
Non mancano agganci con la vita del paese, in anni caratterizzati dagli omicidi delle Brigate Rosse e dalle stragi di stato, da piazza Fontana alla strage della stazione di Bologna, con le strazianti immagini dei morti e dei feriti.
Gianluca Fellini e Michela Scolari, con Paolo Rossi – L’uomo. Il campione. La leggenda, riescono, così, a smuovere i ricordi di molti di noi, capaci di commuoversi di fronte alle immagini di Pertini esultante e felice.
Peccato per il finale, accompagnato da una musica esageratamente ridondante e retorica, ma che, tuttavia, non inficia quanto di buono i registi sono riusciti a fare per omaggiare un uomo e un campione amato e apprezzato da molti.
Infine, sui titoli di coda, vediamo Paolo Rossi indossare, insieme ad alcuni bambini, il naso rosso simbolo della Fondazione Parada di Bucarest, a sottolineare il suo impegno sociale a fianco dei bambini rumeni, che lo aveva tenuto impegnato negli ultimi anni della sua vita.