Harrison Ford compie 80 anni. Un traguardo importante per uno degli attori più amati dello star-system hollywoodiano, protagonista di una carriera costellata da grandi successi e personaggi iconici. Eppure gli inizi non sono stati affatto facili per il giovane Harrison, se è vero che questi, dopo alcuni ruoli cinematografici e televisivi minori, decide di sbarcare il lunario affiancando al percorso artistico quello di falegname.
Gli inizi
Il cinema però resta la sua passione. Ed è grazie alla sua perseveranza che dopo altre piccole parti – tra cui quella di un giovane studente in Zabriskie Point (1970) di Michelangelo Antonioni – finalmente la lunga, faticosa semina comincia a dare i suoi primi frutti.
Siamo nel 1973: non è l’anno della svolta vera e propria, ma da lì inizia per l’attore americano un’inversione di rotta che lo condurrà dritto verso il successo. È allora, infatti, che Ford ha l’occasione di lavorare con George Lucas in American Graffiti, dove interpreta la parte di Bob Falfa.
Non si tratta di un ruolo particolarmente importante, ma quel film sancisce la nascita di un connubio artistico tra l’attore americano e il regista originario di Modesto che si rivelerà fondamentale.
Sarà lo stesso Lucas, infatti, quattro anni più tardi – dopo che Ford avrà recitato anche in una piccola parte nel mai abbastanza celebrato La conversazione (1974) di Francis Ford Coppola – a offrirgli il ruolo di Ian Solo in Guerre Stellari (1977).
Un successo clamoroso
Il successo è clamoroso. Guerre Stellari sbanca al botteghino e diventa un autentico fenomeno di massa che ancora oggi fa risuonare forte la propria eco. È un racconto di fantascienza di “tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana”, che vede protagonisti Luke Skywalker (Mark Hamill) e i suoi compagni d’avventura (tra cui lo stesso Solo) impegnati a combattere le forze di Dart Fener (David Prowse) – fedele al malvagio imperatore della galassia – e a salvare la principessa Leila Organa (Carrie Fisher), a capo delle forze ribelli.
Il personaggio di Ian Solo, eroe suo malgrado, è tra i più acclamati. La figura di questo pilota di navi spaziali spavaldo e fascinoso è perfettamente incarnata dall’attore statunitense che, smarcando il personaggio stesso dal rischio di una caratterizzazione monodimensionale, riesce a conferirgli spessore e credibilità.
Grazie alla popolarità ottenuta, Ford verrà nuovamente chiamato a ricoprire il ruolo di Solo nei sequel della pellicola di Lucas – L’Impero colpisce ancora (1980) e Il ritorno dello Jedi (1983) – che così daranno inizio ad una feconda, lunghissima saga.
Harrison Ford può dire di avercela fatta. Finalmente è riuscito a dimostrare al grande pubblico le sue capacità attoriali.
Ma il meglio deve ancora venire.
Dalla consacrazione con I predatori dell’arca perduta ai thriller degli anni ‘80-‘90
Dopo essere stato nuovamente chiamato da Coppola a vestire i panni del colonnello Lucas in Apocalypse Now (1979), Steven Spielberg lo vuole con sé ne I predatori dell’arca perduta (1981) per interpretare il ruolo del protagonista: Harrison Ford sarà Indiana Jones, arguto e atletico archeologo che dovrà vedersela con uno stuolo di nazisti desiderosi d’impossessarsi dell’Arca dell’Alleanza, contenente i frammenti dei dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè.
Il cappello dalle falde larghe, lo spirito impavido e l’immancabile ironia sembrano ritagliati apposta per l’attore statunitense, che interpreta il personaggio con una naturalezza tale da consegnare all’immaginario collettivo una figura presto destinata a diventare un’autentica icona cinematografica. Il successo del film è tale da dar vita ad una tetralogia (prossima a diventare pentalogia, per come diremo in seguito) che, partendo da Indiana Jones e il tempio maledetto (1984), passando per Indiana Jones e l’ultima crociata (1989) e arrivando a Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008), vedrà sempre lo stesso Ford ricoprire il ruolo dell’eroico protagonista.
Raggiunta la consacrazione con I predatori dell’arca perduta, per l’attore americano è la volta di indossare i panni del detective Rick Deckard, cacciatore di replicanti in Blade Runner (1982). Dopo i funambolismi iperdinamici di Indiana Jones, Ford viene chiamato a una interpretazione dai toni malinconici e introspettivi. Il suo Deckard è una sorta di Humphrey Bogart scaraventato in un futuro distopico e decadente dalle atmosfere cyberpunk. La pioggia incessante, la notte infinita fanno da sfondo alla sua storia d’amore con la replicante Rachael (Sean Young) e alle venature esistenziali di cui è intriso l’intero racconto. Siamo agli antipodi di Indiana Jones; eppure anche qui Ford fornisce una prova d’attore eccelsa che contribuisce a far assurgere il film diretto da Ridley Scott ad opera fondamentale della settima arte.
Nel 1985 l’attore di Chicago prende parte a Witness – Il testimone, diretto da Peter Weir (con cui girerà l’anno successivo anche l’ecologista Mosquito Coast), in cui indossa i panni del detective John Book, chiamato a risolvere il mistero di un omicidio di cui è testimone il piccolo Samuel Lapp (Lukas Haas), appartenente alla comunità amish.
Per questa interpretazione, Harrison Ford riceve l’unica candidatura all’Oscar come miglior attore protagonista della sua carriera; un Oscar che tuttavia non riesce a vincere. È un rapporto difficile quello con la statuetta hollywoodiana. Un rapporto che comunque non gli impedisce di continuare a seminare successi e lavorare con i più importanti registi. Ne è un esempio Frantic (1988), solido thriller in cui viene diretto da Roman Polanski. Qui l’attore americano incarna il personaggio del chirurgo Richard Walker che, giunto a Parigi con la moglie, si vede costretto a indossare i panni dell’investigatore per ritrovare quest’ultima misteriosamente scomparsa.
La struttura del thriller e della detection ricorre spesso nella filmografia anni ‘90 di Ford. Ne sono un esempio pellicole come Presunto innocente (1990) di Alan J. Pakula, Giochi di potere (1992) e Sotto il segno del pericolo (1994), entrambi per la regia di Phillip Noyce.
Appartiene al genere anche Il fuggitivo (1993) di Andrew Davis, in cui l’attore statunitense impersona il chirurgo Richard Kimble che, ingiustamente accusato dell’assassinio della moglie, è costretto a fuggire per trovare le prove della sua innocenza. È qui evidente il rimando al cliché usato in Frantic; quello di una persona comune, del pater familias agiato d’un tratto costretto ad assumere le vesti del detective eroe chiamato a salvare sé e gli altri da intrighi e complotti. Si tratta senz’altro di una formula vincente, evidente espressione dell’archetipo dell’uomo e della sua eterna lotta contro le avversità del fato.
Sempre in questo periodo, Ford gira un film che almeno in parte si discosta dal percorso anzidetto e che assume prevalentemente i toni di un dramma familiare giocato sui temi della redenzione e della seconda chance. Parliamo di A proposito di Henry (1991) di Mike Nichols, storia di un cinico avvocato di successo che, dopo essere stato gravemente ferito in una sparatoria, comprende il vero valore delle cose e decide di cambiare vita.
Harrison Ford e il terzo millennio
Il terzo millennio si apre con Le verità nascoste (2000) di Robert Zemeckis, un thriller-horror dalle atmosfere hitchcockiane in cui Ford interpreta l’ambiguo professor Norman Spencer che, assieme alla moglie Claire (Michelle Pfeiffer), deve far fronte a misteriosi fenomeni all’interno della propria abitazione.
L’attore americano gira in questo periodo molti altri film, tra cui K-19 (2002) diretto da Kathryn Bigelow, Crossing over (2008) di Wayne Kramer, sul dramma della immigrazione irregolare, e 42 – La vera storia di una leggenda americana (2013), di Brian Helgeland, basato sulla vita del giocatore di baseball di colore Jackie Robinson e sulla sua lotta contro le discriminazioni razziali.
È però la necessità di riallacciare i fili con i successi cinematografici del proprio passato a caratterizzare la filmografia fordiana del nuovo millennio. Da qui, il già citato Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008), quarto film della saga, dove un Indiana invecchiato ma non troppo, oltre a vivere le sue solite, funamboliche avventure, scopre di essere padre di Mutt (Shia LaBeouf), avuto da Marion (Karen Allen), sua storica fiamma dai tempi de I predatori dell’arca perduta.
Ma è soprattutto Blade runner 2049 (2017), diretto da Denis Villeneuve, sequel del capolavoro del 1982, a destare l’interesse di pubblico e critica.
Ford, seppur in un ruolo minore rispetto al film precedente, torna ad indossare i panni di Deckard, improvvisamente riapparso dopo trent’anni di eclissi e pronto ad aiutare il protagonista, Agente K (ottimamente interpretato da Ryan Gosling), anch’egli cacciatore di replicanti, a svolgere una delicata indagine che potrebbe rivelare segreti molto scottanti.
Pur splendidamente fotografato da Roger Deakins (che per questo film riceverà l’Oscar 2018 per la miglior fotografia), il “replicante” dell’opera di Scott non raggiunge, né sfiora, il livello artistico del suo antesignano. Ma ciò non priva il film di Villeneuve di un certo fascino perlopiù legato alle atmosfere rarefatte e al sontuoso, potente impianto visivo.
Naturalmente, se si parla di un percorso fordiano di riconnessione con le sue migliori opere, non può mancare il collegamento con la saga di Guerre stellari, a cui l’attore americano torna a prestare il volto di Ian Solo dapprima in Star Wars: il risveglio della Forza (2015) e quindi, seppur in un breve cameo, in Star Wars: l’ascesa di Skywalker (2019), entrambi diretti da J. J. Abrams.
È invece prevista per il 2023 l’uscita del quinto capitolo della saga di Indiana Jones. Nei panni dell’iconico archeologo, naturalmente, ci sarà ancora l’amato attore statunitense. La novità di rilievo, invece, sta nel passaggio di mano della regia del film che da Spielberg va a James Mangold.
In attesa di poter ammirare la sua nuova fatica cinematografica e auspicando di poter assistere a molti altri suoi nuovi lungometraggi, non ci resta che fare all’inossidabile Harrison Ford i nostri più affettuosi auguri di buon compleanno.