Arriva, mentre scrivo proprio questo pezzo, una notizia che si insinua da sè, come raffronto reale di riflessioni ispirate dal fondatore della psicanalisi e da un regista nipponico. Oggi 6 dicembre 2011, Erika De Nardo, è libera. Mentre osservo le foto di questa giovane donna che esce dalla comunità Exodus, faccio fatica a sovrapporre ciò di cui è stata carnefice (e vittima): l’assassinio nel 2011, a 16 anni, di sua madre e di suo fratello…
Intenta a leggere Il disagio della civiltà e altri saggi* di Sigmund Freud in questi giorni. Illuminazioni in divenire sulle nevrosi contemporanee di cui l’essere umano è affetto. Miro dall’alto e ancora troppo in superficie il mondo dell’inconscio, del rimosso, che ci lega a filo doppio con gli impulsi primordiali, vanamente-inettamente ristretti-costretti-compressi nel buco nero della nostra stessa essenza così misteriosa, dalla cd. civiltà… Viaggio affascinante… Mi imbatto in esso dentro la legge dell’ambivalenza emotiva (certamente di dispiego più illimitato nel primordiale), che domina i nostri sentimenti verso le persone da noi amate (e ciononostante anche estranee e odiate).
Freud ci dice che davanti alla morte della persona amata (il vero evento traumatico-conflitto emotivo per l’essere umano) non solo sono nate la dottrina dell’anima, la credenza nell’immortalità e la radice prima del senso di colpa negli uomini, ma anche i primi comandamenti morali. E la prima e più importante interdizione della coscienza morale in divenire: “Non uccidere”. Tale auto – imposizione si costituì come reazione al soddisfacimento dell’odio, occultato dal lutto, provato nei confronti del morto amato (“caro morto, che però era anche stato estraneo e nemico, suscitando sentimenti ostili”), e fu progressivamente estesa agli ‘estranei indifferenti’, e infine allo stesso nemico. Nell’inconscio dell’uomo moderno (evolutivamente stratificato dai tentativi di gestione dell’ambivalenza emotiva), lo scontro interiore così delineato non genera una dottrina dell’anima o dell’etica (già sviluppate e ‘implose’, ormai), ma dà avvio alla nevrosi: il sintomo di un eccesso di tenera preoccupazione per l’incolumità dei congiunti, oppure autoaccuse assolutamente ingiustificate per la morte di una persona amata. Ad eccezione di pochissime situazioni, spiega Freud, i nostri atteggiamenti amorosi anche più teneri e intimi contengono una qualche sia pur lieve componente ostile, suscettibile di provocare un inconscio desiderio di morte.
Cinematograficamente, un assist a tutto questo mi arriva dal vincitore della Sezione Orizzonti (la più avanguardistica) della Mostra del Cinema di Venezia 2011: Shinya Tsukamoto e il suo Kotoko (2011).
Kotoko è l’ultimo prodotto di un percorso, espressione visiva e corporea delle nevrosi contemporanee, delle metamorfosi dell’uomo avvinghiato-imploso nella civiltà, specie tecnicotecnologica. Metamorfosi del corpo (vedi Tetsuo, 1989, primo lungometraggio, autoprodotto e realizzato da Tsukamoto con pochi spiccioli e tanta sostanza creativa), folgorazioni di allucinazioni, pulsioni. A cominciare dal ‘feticista del metallo’ (alias Tsukamoto medesimo), demiurgo tecnologico che infetta al suo passaggio un essere comune , trasformandolo in macchina-umana, dotata di una forza suprema, violando la dimensione mortale nel corpo e nella psiche. L’uso dello stop-motion fissa e anima le scissioni mentali e le loro degenerazioni come quadri deliranti di un inconscio che si ribella alle ‘inversioni-rinnegamenti’ subìti e spinti oltre il limite. L’enfatizzazione sonora, da sempre marchio tangibile delle visioni di Tsukamoto, amplifica l’inconscio nella cassa di risonanza di un grido interiore che esplode, irrefrenabile. Un sentire ancestrale.
Kotoko (girato interamente in digitale) affronta il tema dell’ambivalenza emotiva dentro uno dei rapporti più significanti ed empatici che un essere umano possa provare: il legame con il proprio figlio. É una madre l’eroina-mostro del film, Kotoko (la cantante pop Cocco, performer anche nella pellicola e production designer di parte dei suggestivi-infantili-onirici interni), vittima della sindrome dello sdoppiamento visivo, incapace di assembrare vita e morte, amore e odio, (come a noi è stato geneticamente trasmesso), nevrosi che nasconde-rivela il rapporto estremamente conflittuale della donna con la sua prima genitura. L’esorbitante ‘istinto protettivo’ che Kotoko manifesta verso la propria creatura compensa l’inconscio odio nei suoi confronti: il vedere negli uomini e nelle donne che incrocia possibili e tangibili minacce per l’incolumità del figlio, devia in Kotoko all’esterno ciò che dentro di sé la donna vorrebbe fare e di cui ha inaudito terrore. Solo nel canto o nel recupero estremo di un contatto con la realtà, attraverso i tagli che si produce sul corpo per spezzare il delirio di cui è vittima, Kotoko è in grado di sotterrare le proprie pulsioni dentro una rappresentazione unificata e pacificata.
Quando le viene tolto il bimbo, affidato a sua sorella, il dolore e il delirio della donna si scontrano con il masochismo di Tsukamoto stesso (introdottosi nella storia e nel film dentro la figura, a tratti anche paradossalmente comica per ciò che accetta di subire, di uno scrittore che ambisce a salvarla, accogliendo per intero e sul proprio corpo, l’ambivalenza che Kotoko esprime in primis verso se stessa). La camera a mano, che intensamente ricalca la nevrosi visiva e fisica della donna enfatizzata da un suono (l’inconscio) sempre più acuto e stordente, riproduce efficacemente lo spaesamento, l’alienazione degli esseri umani in piena confusione emotiva e percettiva dentro una società che ha letteralmente fagocitato la loro essenza.
Con Kotoko Tsukamoto pare aver completato il progressivo distacco dal cyberg-uomo, (di cui ancora, stilisticamente, ritroviamo echi ridondanti in questa pellicola), andando a toccare-confrontarsi direttamente con gli ‘ancestri’ del rimosso.
Maria Cera
* Il disagio della civiltà e altri saggi (Ediz. integrale di Freud Sigmund, 2010, Bollati Boringhieri)
Shinya Tsukamoto – FILMOGRAFIA
Genshi San Tsubasa (cortometraggio), 1974
Jigokusho Shoben Geshuku Nite Tondayo (cortometraggio), 1979
The phantom of Regular Size (cortometraggio, 1986)
Le avventure del ragazzo del palo elettrico (mediometraggio, 1987)
Tetsuo (1989)
Hiruko the Goblin (Yokai hanta – Hiruko, 1990)
Tetsuo II: Body Hammer (1992)
Tokyo Fist (1995)
Bullet Ballet (1998)
Gemini (Sōseiji, 1999)
A Snake of June (Rokugatsu no hebi, 2002)
Vital (2004)
Haze (mediometraggio, 2005)
Nightmare Detective (2006)
Nightmare Detective II (2008)
Tetsuo: The Bullet Man (2009)
Kotoko (2011)
LETTURE su Shinya Tsukamoto :
Shinya Tsukamoto. Dal cyberpunk al mistero dell’anima di Andrea Chimento e Paolo Parachini, 2009, Edizioni Falsopiano
Il cinema di Shinya Tsukamoto di Fontana Andrea, Tarò Davide, Zanello Fabio, 2010, Ass. Culturale Il Foglio