‘Siberia’ – un viaggio fisico e della mente verso l’origine dei propri turbamenti
Il grande regista Abel Ferrara affronta un viaggio allucinato e metafisico, attraverso il quale il protagonista ripercorre i traumi suoi e del padre. Quelli di guerra che dilaniano la mente, insieme a una sessualità che travolge come il più genuino dei sentimenti.
Siberia è un film controverso e affascinante di Abel Ferrara, datato 2020, in programmazione su MUBI.
In una terra desolata e ghiacciata che corrisponde a un luogo geografico e della mente, un uomo solitario di nome Clint, che si trova a mandare avanti uno sperduto locale di conforto e rifornimento per passanti, decide di abbandonare tutto e intraprendere un viaggio, duro e tormentato, sia dal punto di vista fisico, sia da quello psicologico.
Un viaggio alla ricerca delle proprie origini, di quelle del padre e degli episodi più drammatici e significativi che hanno segnato la sua esistenza e quella di entrambi.
Siberia – la trama
Lo stimolo al viaggio nasce dall’incontro con una bellissima viandante incinta (interpretata dall’attrice Cristina Chiriac, moglie del regista e ultimamente spesso interprete delle sue più recenti produzioni italiane), attraverso il ventre della quale l’uomo comprende che è venuto il momento di capire la vera essenza delle sue origini.
Un percorso accidentato compiuto in slitta (che ci fa ritrovare Willem Dafoe nelle medesime situazioni del tuttavia ben differente e favolistico Togo della Disney), in cui Clint ripercorre i traumi suoi e del genitore, prigioniero di guerra dinanzi a esecuzioni sommarie e altre immani violenze, e rivede se stesso alle prese con il desiderio e la sessualità che esplode talvolta come il più genuino e travolgente dei bisogni.
Siberia – la recensione
Il viaggio allucinato del protagonista non si differenzia troppo dai percorsi deliranti dei personaggi che hanno reso definitivo e memorabile il cinema di Abel Ferrara (Il cattivo tenente, King of New York, The Addiction).
In questa sua opera Ferrara si adopera a descrivere un luogo lontano per definizione, che costringe a una esplorazione tormentata e rischiosa, ancor più per i recessi impraticabili della mente, che per le difficoltà rappresentate da un clima ostile e all’ esistenza umana.
Se la simbiosi del regista con il suo attore feticcio, William Dafoe (col quale condivide la passione e il desiderio di trovare in Italia la residenza dove vivere ed esprimersi attraverso il cinema), trova con Siberia, subito dopo Tommaso (2019), il più genuino vaso comunicante necessario e ottimale per tradursi narrativamente e scenicamente dinanzi alla macchina da presa, Ferrara non si dimentica di essere cittadino di un mondo.
Un viaggiatore che intende ripercorrere in lungo e in largo un pianeta tutto da scoprire, traducendo le immagini adeguate per la Siberia della mente (che riproduce nelle foreste bavaresi e del Trentino), e persino quelle più antitetiche ed assurde di un Messico di sabbie e deserti, con i fedeli e stupendi cani da slitta sempre incoerentemente ma fascinosamente al seguito.
Soluzioni sceniche stravaganti, e anfratti utili e necessari per raccontare il viaggio della mente prima che del corpo che si rivela eccentrico e sconvolgente, verso la ricerca della propria storia, indispensabile e agognata, per quanto devastante e drammatica o controversa essa possa rivelarsi.
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