Sono comodamente seduto alle terme, ben protetto dall’accappatoio azzurro cielo, in compagnia del consueto aperitivo, e sbirciando il giornale mi macero per la guerra in Ucraina… Ma c’è ben altro che tormenta me, regista che ha fatto del “cinema del reale” (che più nicchia proprio non si può!) il suo verbo, e riguarda i festival. Già, perché c’è guerra e guerra, e la mia, lo capirete subito, vale ben dieci mine nel Mar nero: prenderanno il mio prossimo filmetto al prestigioso e ambitissimo festival?
Non potete capire, amici spettatori! É un tormento che macera anima e corpo d’ogni cineasta. Promuoveranno sì o no la mia impareggiabile opera, frutto di mesi e mesi di duro travaglio? Ma che ne sapete voi cine-teleutenti, comodamente seduti nelle sale (una minoranza esigua, sic!) o sprofondati nelle vostre poltrone (i più, e di nuovo sic!) davanti alla tv ultimo modello da 72 pollici!? Notti insonni! E di giorno telefonate su telefonate fatte con malcelata indifferenza a direttori indaffarati, critici cinici, amici più o meno fidati…. La più brava è stata mammà, che rispetto a me di film ne vede in numero ben superiore: non ti crucciar, figlio mio bello, che per me tu rimani il più bravo di tutti! Anche se… Ed ecco incombere nomi imponenti che vanno da Bellocchio a Martone, da Roberto Andò a Pietro Marcello, e anche quella Rohrwacher non è niente male… Basta! Meglio il silenzio, mà, meglio il silenzio.
Grande amor proprio misto a una prosopopea degna d’un generale di Putin, questa è la caratteristica principe dell’altero e per questo insicuro regista, incompreso tra gli incompresi, e vittima sacrificale della figura più potente della macchina cinema (beninteso al pari di certi produttori e di alcuni intramontabili dirigenti Rai), il direttore di festival, sovente più creativo dei creativi: vulcanico, capriccioso, sornione, sfuggente, sommessamente sadico e chi più ne ha più ne metta. Nessuno, a parte noi poveri registi e le/i nostre/i malcapitati partner, è in grado di comprendere la macerazione del cineasta nei giorni che precedono la conferenza stampa di un qualsiasi festival. NESSUNO.
Telefonata tipo con il direttore artistico che conosci da tempo, ma con il quale non hai mai raggiunto quella che sarebbe un’utilissima e talvolta risolutoria confidenza: “Pronto, come stai? Non voglio disturbarti, ma puoi ben capire il motivo della mia chiamata…” – E l’altro: “Fermati, non l’ho ancora visto, sono a Buenos Aires, e poi mi aspettano a New York e a Parigi; al mio ritorno ti dirò…” (magari oggi dopo il covid i viaggi dei “facitori” di festival sono un po’ diminuiti, ma stiamo là.). Seguono giorni e giorni di attesa in cui non vuoi vedere nessuno salvo quelli che potrebbero aiutarti a capire cosa sta succedendo mentre lo sfuggente direttore completa il suo giro del mondo in 80 e più giorni. Il bello è che manca meno di una settimana alla conferenza stampa! Poi d’un tratto la telefonata: sì, il filmetto lo hanno visto, ma il direttore non ancora. “Chi, dunque?”, chiedo preoccupato. Ed ecco il nome che proprio non desideravi sentire. Sì, la tua amata opera l’hanno vista due selezionatori, uno di loro è il ben noto critico con cui condividi anni ed anni di onesta antipatia.
Ahiahiahi, che sfiga! Certo, poi il filmetto lo vedrà anche il direttore, che in nottata, mi dicono, sarà sbarcato da Tokio. E quando lo vedrà? Domani stesso, alle 8 del mattino insieme ad altre dieci opere in lizza. Si spera non sul computer e magari pure a doppia velocità, penso non senza malizia, toccato per l’ennesima volta da quell’amor proprio più croce che delizia del cineasta impavido. Nel frattempo con il produttore e i suoi sgherri tutt’intorno, preso da un’insanabile pessimismo cosmico, pensi a quale altra manifestazione cinematografica rivolgerti. Ce n’è una in Spagna dove di solito si iscrivono in pochi…, azzarda la giovane assistente, che sa tutto ma proprio tutto sui migliaia di festival che pullulano nel mondo al pari di un’isola di plastica nell’oceano mar. Ma non se ne parla proprio!, rispondo io piccato. Già, perché nel frattempo, più o meno superato il covid, ti accorgi che nel mondo i registi sono aumentati del 200% e che la coperta si sta facendo sempre più strettina per i festival importanti. In arrivo ci sono azzimati professori stanchi della sola cattedra universitaria, critici frustrati fin dalla prima pensosa recensione scritta anni addietro su una fanzine, nullafacenti che hanno ereditato ingenti somme da uno zio senza nome, imprenditori falliti convinti di aver ideato la storia più geniale mai concepita, visionari in pensione ansiosi di sputtanarsi la liquidazione; e naturalmente tanti giovani, agguerriti, cinefilissimi e soprattutto desiderosi di far fuori, possibilmente in modo cruento, le generazioni che li precedono. Il bello è che molti di loro li hai tirati su tu stesso in una delle numerosissime scuole di cinema che ormai proliferano più delle panetterie lungo lo stivale! Insomma, c’è un gran traffico (ti accorgi poi che un premio lo hanno preso tutti ma proprio tutti!). E capisci che, a parte i soliti nomi più o meno meritevoli, è assai difficile la scelta per un direttore di festival, fatti salvi quelli che, come scrivevo poc’anzi, si considerano più artisti dei registi, congegnando il programma della loro kermesse al pari di un’opera d’arte, e che di conseguenza procedono nelle scelte a modo loro, capricciosamente, veri e propri De Sade della settima arte, capaci di ridurre a un Fantozzi qualsiasi il più ottimista dei cineasti.
Ma ecco la telefonata, cui seguirà la consueta mail: sì, il mio filmetto è stato preso. Evviva! Giorni di gloria mi aspettano dopo un digiuno durato lunghi anni. Ma attenzione, una settimana appena ed eccoti di nuovo con la forza di gravità che impone una rocambolesca discesa al suolo, e senza paracadute: la tua opera, la tua ossessione, la tua amata creatura sarà presentata fuori concorso e programmata l’ultimo giorno del festival alle 16 del pomeriggio, poco prima della cerimonia finale. “No, non ci vado!”, urlo al mio produttore che al contrario prova disperatamente a vedere il mezzo bicchiere pieno. Ma poi penso al tappeto rosso, anche se ormai calpestato da migliaia di piedi più o meno gloriosi, agli amici e complici che ti circondano commossi (mai però quanto mammà!) e al critico con cui quasi quarant’anni addietro hai condiviso l’università e più di qualche sbornia; il quale in fondo alla pagina degli spettacoli di un quotidiano che leggeranno solo i quattro gatti che comprano ancora il giornale (ma vuoi mettere l’attenzione non appena le due righe saranno lanciate sui social!?, sorride mellifluo quello dell’ufficio stampa), ti riserverà una breve ma pur compiacente recensione. Allora il bicchiere mezzo pieno lo vedi anche tu, e chi se ne frega se il filmetto, al pari di tanti altri, sarà la solita lagna intimistico-diaristica-sentimental che con i giorni del (post)covid, della guerra e del gran caldo fuor di regola non ha proprio nulla a che fare!
Gianfranco Pannone, Roma, 16 giugno 2022