Johnny Depp vince la causa per diffamazione contro l’ex moglie Amber Heard. Un processo durato sei settimane in cui sono emersi i retroscena e i dettagli di un matrimonio che si è rivelato un inferno.
Un processo mostra semplicemente due parti che competono nel raccontare la storia migliore, o meglio la versione più credibile di una stessa storia. Sette giurati dichiarano quale delle due sia la più plausibile, emettono un verdetto e la dichiarano vincitrice. E quella storia diventa giustizia.
Johnny vs Amber: il processo
L’11 Aprile 2022 inizia il processo mediatico più sconvolgente e seguito degli ultimi tempi: Johnny Depp dà il via a una battaglia legale, senza esclusione di colpi, contro la sua ex-moglie, Amber Heard. Si tratta di una causa per diffamazione: nel dicembre del 2018 il Washington Post pubblica un editoriale di Amber:
«Ho parlato contro la violenza sessuale e ho affrontato l’ira della nostra cultura».
Depp non viene esplicitamente nominato ed è a questo a cui si aggrappa la strenua difesa dell’attrice texana e dei suoi avvocati in tribunale a Fairfax, in Virginia. Ma il riferimento è abbastanza esplicito; sentiamo lo stridio delle unghie di Amber sugli specchi sin da qua.
La star di Pirati dei Caraibi aveva già precedentemente intentato e perso una causa, sempre per diffamazione, nel 2018, contro il tabloid britannico The Sun che lo aveva definito “wife beater” (picchiatore di mogli), basandosi sulle dichiarazioni rilasciate dalla Heard.
Appena dopo il divorzio, avvenuto nel maggio del 2016, l’attrice texana comincia una campagna diffamatoria contro l’ex marito, rovinandogli la reputazione e la carriera.
La ex coppia ritorna in tribunale per ben sei lunghe settimane, questa volta a telecamere accese: milioni di visualizzazioni giornaliere sui canali Youtube che trasmettono il processo, pole position tra i trend social, pagine e pagine di commenti, testimonianze, cronache quotidiane del processo. Non si parla d’altro.
Un circo che, non solo metaforicamente, si accampa fuori da quelle aule, una sorta di show dentro lo show, tra navi dei pirati, alpaca e cosplayer che sfilano dietro i cancelli del tribunale, facendo il tifo come a una partita di calcio.
Una storia morbosa di passione, droga, alcol, sesso e soldi, violenza e bugie. Un uomo e una donna, un tempo follemente innamorati (o patologicamente ossessionati), l’uno contro l’altro: un reality a metà tra un remake contemporaneo de La Guerra dei Roses e un documentario crime.
Johnny era ben consapevole della miccia che avrebbe acceso dichiarando “guerra” a quella che, un tempo sua moglie, oggi è diventata la sua acerrima nemica. Ma il “gioco” sì, ne valeva la candela.
L’intento di Depp, nel processo in Virginia, è quello di raccontare la sua verità, ridare dignità al suo nome, “ripulire” la propria reputazione.
Come lui stesso ha dichiarato di fronte al mondo, seduto sul banco dei testimoni, lo deve a se stesso, ai suoi figli, alle persone che lo amano e lo seguono da tutte le parti del globo.
Questa volta la bilancia della giustizia pende a suo favore. La sua vittoria è schiacciante, nell’opinione pubblica prima del verdetto, e dopo, a sentenza finita, quando le telecamere del tribunale si sono spente sulla sconfitta della Heard.
Il tribunale riconosce a Depp 10 milioni di dollari di risarcimento e 5 milioni in danni punitivi: 15 milioni in totale contro i 50 richiesti.
La Heard, a sua volta, ottiene un risarcimento pari a 2 milioni di dollari per una contro-querela nei confronti di Adam Waldman, ex avvocato di Johnny, che definì una “frode” le sue accuse di violenza domestica.
Dichiarazione che la giuria ha ritenuto sostanzialmente vera, dato il risultato del verdetto, tranne in un’affermazione in cui Waldman accusa Amber di aver teso un’imboscata all’ex marito, simulando con i suoi amici la “scena di un litigio” per poi chiamare gli ufficiali della polizia.
Questi ultimi chiamati a testimoniare, hanno asserito di non aver visto, in quell’occasione danni consistenti alla proprietà né segni di violenza sul volto di Amber.
La vittoria di Depp: le ragioni del verdetto
Perché Johnny ne è uscito vittorioso? Tralasciando le analisi pseudo-sociologiche e i fastidiosi rigurgiti di un femminismo malsano che imperversano sui social, guardiamo all’unica cosa che conta in un processo: i fatti.
E i fatti smentiscono Amber, su tutta la linea. Procediamo per ordine, analizzando il processo, considerando i vari punti su cui i sette giurati hanno elaborato la sentenza.
Per ogni dichiarazione rilasciata dalla Heard, Johnny ha dimostrato che:
– erano effettivamente rivolte a lui. E su questo non ci piove: sebbene nell’articolo del Washington Post, l’attrice non menzioni direttamente l’ex-marito, il riferimento appare piuttosto ovvio.
– erano false. Lo mostrano le testimonianze oculari, la mancanza sostanziale di prove e di referti medici che attestino le presunte violenze e gli abusi dichiarate dalla Heard, le incongruenze dei suoi racconti, le registrazioni vocali che riportano le conversazioni della coppia.
– avevano implicazioni diffamatorie per Depp
– erano state deliberate con l’intenzione di essere diffamatorie
L’attore e i suoi avvocati hanno dovuto, inoltre, dimostrare tramite chiare e convincenti prove che la dichiarazione della sua ex-compagna era stata rilasciata con “actual malice”, ovvero malizia effettiva, sapendo di asserire il falso o essendo sostanzialmente consapevole della probabile falsità della sua asserzione.
No, la giuria non aveva aprioristicamente deciso che Amber fosse l’abusante e Johnny l’abusato, come molti malpensanti dicono. La verità è che è stata la stessa Heard a distruggere la propria credibilità durante il processo.
Sul banco dei testimoni, Depp non si è mai mostrato come la vittima e tantomeno come un santo. Si è messo a nudo, spogliandosi anche di quell’aura magica e inviolabile che circonda e illumina le celebrità.
Ha messo da parte la sua nota ritrosia nel parlare della propria sfera privata e ha ripercorso con dolore un’infanzia segnata dagli abusi della madre e dalla fuga del padre, una vita costellata di eccessi tra droghe, alcol e farmaci, i tentativi di disintossicazione e la conseguente discesa verso gli inferi.
Ha dato voce persino a quelli che lui chiama i propri “demoni”. Ha avuto coraggio nel raccontarsi:
«L’unica persona di cui ho abusato in vita mia sono io».
Nella scelta di non guardare più negli occhi la sua “avversaria” come le aveva promesso. Nell’umiltà di mostrarsi come un essere umano e pertanto imperfetto:
«Nessun essere umano è perfetto, certo che no. Nessuno di noi lo è. Ma in tutta la mia vita io non ho mai commesso abusi sessuali e violenza fisica. Mai».
Johnny non nasconde le sue fragilità e i suoi errori; alla domanda dell’avvocato della controparte che gli domanda se è un uomo infelice, lui risponde con una sincerità spiazzante e dolorosa («I’m not unhappy, i’m insane»).
Amber non ha perso semplicemente perché ha vestito i panni della crocerossina innamorata che voleva salvare quel “mostro” del marito. Non ha perso perché ha trasformato la sua testimonianza in un teatrino da drama queen, cercando continuamente con lo sguardo la compassione della giuria, simulando pianti asciutti, soffermandosi sui dettagli più cruenti dei presunti abusi subiti, con il solo scopo di impressionare.
Non ha perso per il sorriso beffardo e lo sguardo da sfinge mentre ascolta le parole dell’uomo che ha sposato. O perché ha defecato nel loro letto per dispetto, attribuendo la colpa al loro piccolo yorkshire. Non ha perso per le registrazioni vocali in cui lei istiga Johnny e lui la prega di allontanarsi o per il suo continuo uso di sostanze stupefacenti e alcol in presenza di un marito che si sta disintossicando. O meglio, non ha perso SOLO per questo.
Ha perso per mancanza di prove e testimonianze deboli, per le sue contraddizioni e i suoi scivoloni. Persino il suo avvocato difensore, Elaine Bredehoft, a un certo punto non sa più come riformulare le domande («let’s try, let’s try again») per non mettere in difficoltà la sua cliente. Perché una cosa è certa: la verità è una e non cambia, le bugie, in quanto tali, non reggono a lungo una narrazione coerente.
La ricostruzione dei numerosi episodi di abusi e violenza riportati dall’attrice di Aquaman non è stata supportata da prove in linea con la sua testimonianza.
Il team legale della donna ha presentato alla giuria una quantità infinita di documenti tra sms, mail, foto, registrazioni, video. Nessuno davvero rilevante. Nessuno che mostrasse i segni di quella violenza così minuziosamente raccontata, come fosse la sceneggiatura di un film.
Amber descrive i numerosi litigi con l’ex-consorte: schiaffi, pugni, spintoni per mano di un uomo che indossa sempre, e lei non lo nega, degli anelli di un certo peso che non possono non lasciare delle contusioni evidenti. Racconta i dettagli di una notte da incubo, quella in cui Depp l’avrebbe stuprata con una bottiglia, senza nessun referto medico che lo confermi. La stessa in cui Johnny, supportato da valide testimonianze, sostiene di essere stato ferito con una bottiglia di vodka dalla stessa donna, così violentemente da perdere un dito.
Narra di un’altra memorabile litigata sulle scale di una delle mansion di Depp, in cui interviene sua sorella Whitney, tirando in ballo un episodio in cui Kate Moss, ex dell’attore, sarebbe stata spinta giù proprio da una scala da quest’ultimo anni or sono. Peccato che a smentirla, sotto giuramento, compare, a sorpresa, la modella inglese che ricostruisce le dinamiche di quello che fu soltanto un brutto incidente, in cui tra l’altro venne soccorsa proprio da Johnny.
Ricorda con sconcertante lucidità un’altra serata degli orrori che le avrebbe lasciato dei segni violacei sul viso, segni che scompaiono il giorno dopo quando partecipa come ospite allo show di James Corden. Addirittura mostra la palette del trucco che avrebbe cancellato i lividi dal suo volto, come per magia (una trousse per il make-up messa in commercio solo un anno dopo gli accadimenti narrati).
E poi arrivano le smentite più clamorose della sua versione dei fatti: la testimonianza di un dipendente della TMZ, Morgan Tremaine, il quale dichiara di aver ricevuto direttamente dalla fonte, ovvero dalla Heard, un video (opportunamente editato) diventato virale, in cui Johnny danneggia alcuni mobili della cucina.
Non solo, Tremaine conferma che è stata la stessa Amber a comunicare alla TMZ la data in cui avrebbe presentato un’ordinanza restrittiva contro il consorte, per essere fotografata dai paparazzi, all’uscita del tribunale, con un livido in volto. Livido che, misteriosamente sparisce, il giorno successivo quando l’attrice senza trucco viene immortalata sorridente con un’amica.
La dottoressa Shannon Curry delinea un quadro clinico dell’attrice, supportato da test e valide argomentazioni: Amber presenta due disturbi della personalità (borderline e istrionico) ma nessun disturbo post-traumatico da stress come l’attrice sostiene per avvalorare le presunte violenze subite.
Nessun testimone abbraccia completamente la causa di Amber, nemmeno l’amica del cuore Raquel Pennington che viveva con il suo compagno in una delle residenze di Depp, senza pagargli un dollaro di affitto. Solo sua sorella Whitney, anche lei ospite non pagante di Johnny, conferma la sua versione, mostrando, comunque, qualche incertezza nell’unico episodio narrato che la vede testimone oculare.
Non ultimo, la Heard si mette in imbarazzo da sola quando, neanche troppo velatamente, accusa di spergiuro i testimoni a favore di Depp, sostenendo che ha già sentito dire il falso per coprire le malefatte di uomini di potere. Cavalca l’onda del femminismo imperante per portare avanti la sua campagna denigratoria nei confronti dell’ex ma, come asserisce, l’avvocato Ben Chew
«si tratterebbe del primo caso di #metoo senza un #metoo»
tenendo conto che nessuna delle donne coinvolte in precedenti relazioni con l’attore ha mai mosso un’accusa contro di lui.
Come l’avvocatessa Camille Vasquez ha smentito la Heard
Camille Vasquez, l’avvocato di Johnny, ha un ruolo decisivo nel far crollare inesorabilmente il castello di bugie, su cui l’attrice ha costruito la sua difesa: in primis, svelando che la Heard non ha mai devoluto i 7 milioni di dollari vinti nella precedente causa contro il marito alle associazioni benefiche da lei menzionate, smentendola clamorosamente davanti alla giuria; in secondo luogo, mostrando un video, ripreso dalla telecamera di sorveglianza dell’ascensore di casa Depp, in cui la Heard mostra atteggiamenti equivoci con James Franco, il giorno stesso in cui ha richiesto l’ordine restrittivo.
Provvedimento che, tra l’altro, appare privo di senso, dato che, all’epoca, il divo del cinema si trova in giro per un lungo tour europeo con la sua band Hollywood Vampires.
E nuovamente i fatti non coincidono con la testimonianza di Heard: è lei stessa a volere un incontro privato con Depp, dopo che l’ordinanza è stata rifiutata. Quale vittima di abusi cerca un incontro col proprio aguzzino?
La Vasquez, nella sua appassionata arringa finale, è decisa a fugare ogni dubbio della giuria:
«C’è un aggressore in quest’aula, ma non è Johnny Depp. C’è anche una vittima di violenza domestica, ma non è la Heard»
Ma è Amber stessa a cadere inesorabilmente nella trappola che lei stessa ha costruito: è infatti una registrazione vocale tra lei e il suo ex- marito a farle perdere ogni credibilità:
«Dillo al mondo, Johnny. Diglielo. Dì: “Io, Johnny Depp, un uomo, sono vittima di violenza domestica”. Dillo, e vediamo quante persone ti crederanno o saranno dalla tua parte»
La sentenza emessa non è “un passo indietro per le donne” come sostiene Amber, al contrario, rivela due verità fondamentali: la prima che la violenza non ha genere e la seconda che un uomo con problemi di dipendenza non è necessariamente un abusatore.
Rivela anche che alcune storie d’amore non sono che l’incontro tra due patologie, l’incastro perfetto e malato in cui il più debole soccombe al più forte, ripetendo un pattern di comportamento che ha radici remote e riattiva un antico trauma.
Alla fine Johnny Depp ha mantenuto la sua ultima promessa a Amber Heard: ha detto al mondo la sua verità e il mondo gli ha creduto.