Tra le nuove proposte action di Netflix, Interceptor di Matthew Reilly ha tutte le carte in regola per offrire una serata di totale relax. Poche pretese ma tanta adrenalina sono gli ingredienti base del progetto. I nomi di Elsa Pataky e di Luke Bracey lo rendono maggiormente appetibile. Ovviamente ci troviamo dinanzi a qualcosa di semplice, scontato: per poterne godere, si deve avere consapevolezza di ciò.
Se un missile nucleare, lanciato dalla Russia, impiega circa 24 minuti per raggiungere il suolo statunitense, il governo ha la metà del tempo per abbatterlo. Il compito è affidato ai cosiddetti “interceptor”. Sul suolo a stelle e strisce ne esistono solamente due: uno a Fort Greely, in Alaska, e uno su una piattaforma galleggiante chiamata SBX-1.
Quando il capitano J.J. Collins (Pataky) viene richiamata in servizio, a bordo di quest’ultima, non immagina cosa la aspetta. Ben presto si troverà a dover fronteggiare una minaccia più grande di lei, che metterà a dura prova le sue competenze e a rischio l’intera popolazione statunitense.
Siamo gli unici che separano gli Stati Uniti dall’Apocalisse.
Infiltratosi tra l’equipaggio della stazione, Alexander Kessel (Bracey) sta per lanciare ben 16 missili contro alcune delle maggiori città, al solo scopo di radere al suolo per poter rifondare una nuova società.
Dalla legge alla regia, un esordio convincente
Dopo aver studiato legge all’università, Matthew Reilly ha intrapreso la strada del romanziere. Se, inizialmente, la fortuna ha tardato a mostrarsi, è riuscito poi a farsi notare e a scalare le vette delle classifiche, in madre patria e fuori. Interceptor nasce appunto da uno dei suoi scritti, tramutatosi nella sua prima prova dietro la macchina da presa.
Mai smettere di lottare.
Tutto sommato, la pellicola riesce nell’intento di intrattenere, esibendo la figura di una donna alquanto portentosa e affascinante. Il volto e il fisico della Pataky fanno tanto, perfetta variante femminile sul tema. In fondo, l’attrice australiana, nota per le sue apparizioni nel franchise di Fast & Furious e come consorte di Chris Hemsworth – presente in un cameo e in veste di produttore esecutivo – deve aver avuto, nel suo passato, buoni maestri d’action.
Interceptor ricorda molto, in qualche modo, i film con Steven Seagal o, volendo, con il Nicolas Cage dei tempi d’oro. Una linea narrativa alquanto basica, battute a effetto ma banalotte, botte da orbi e uscite di scena spettacolari. Inserti dallo stile videoludico completano il quadro, venato da accenni allo storico scontro tra USA e Russia.
La critica agli USA
In realtà, nel corso dei quasi 100 minuti di durata, la critica che viene mossa più spesso è proprio quella agli Stati Uniti e al suo modo di gestire alcune situazioni. Tra razzismo, maschilismo, tradimento, senso del dovere e diritto alla felicità, tantissime sono le questioni sollevate dalla pellicola.
Schierati su due fronti opposti, ma molto più simili di quanto si considerino, Collins e Kessel combattono una guerra che sentono loro, ma che sembra essergli stata imposta. Costretti a mettere in campo ogni risorsa a loro disposizione, anche la più crudele e apparentemente inumana, i due sono ancora alla ricerca di un posto che li accetti e che sappia soddisfarli.
È l’America a tradire.
Quando il lavoro dei sogni viene contaminato dalla corruzione, da un atto ignobile e vergognoso, da una bugia di proporzioni incontenibili, qualcosa dentro si spezza. La fiducia in un’idea, in un Paese come gli Stati Uniti, viene meno. E, con essa, anche la volontà, il desiderio, la gioia di restarvi fedele. Certo, a fare la differenza sono le scelte compiute da ciascuno, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà e dubbio.
Nel confronto/scontro tra Collins e Kessel, emergono due possibilità. Da un lato la giustizia a tutti i costi, il sacrificio, la rinuncia e l’accettazione che alcune cose non potranno mai essere cambiate. Dall’altro la violenza, la morte di persone innocenti, la distruzione e, in extremis, il terrorismo.