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‘Mariner of the mountains’: un viaggio lento e contemplativo

Un toccante e splendido documentario

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Su MUBI da pochi giorni è finalmente disponibile l’ultimo film di Karim Ainouz, intitolato Mariner of the mountains, presentato al Festival di Cannes nel 2021 Fuori Concorso.

Si tratta di un toccante documentario vissuto in prima persona dal regista de La vita invisibile di Euridice Gusmao (2019, Premio Un Certain Regard a Cannes, e di Praia do Futuro (2014).

Mariner of the mountains: un viaggio toccante vissuto in prima persona

Il regista brasiliano Karim Ainouz sceglie un vecchio battello arrugginito per attraversare l’Atlantico e raggiungere la terra di un padre mai conosciuto. Mentre egli era ancora nel grembo materno, l’uomo aveva deciso di rientrare in patria dal Brasile per far parte della Resistenza durante la guerra civile algerina, finendo per non dare più notizie di sé.

Il regista alla morte dell’ adorata madre Iracema, intraprende questo viaggio volutamente lento per non arrivare troppo presto a destinazione, per sondare poco per volta il processo di avvicinamento ad una terra che, inevitabilmente, lo lega nel sangue e nell’indole e che lo induce a scoprire o a cercare notizie il più possibile attendibili sulla sorte del misterioso genitore.

Lì, tra incontri più o meno fortunati e più o meno evocativi, le memorie paterne riescono ad individuarsi o anche un po’ ad immaginare, in una commistione che il documentario sa fondere privilegiando il sentimento, la “saudade” di un uomo che si sente cittadino del mondo, ma anche senza una vera patria su cui poter davvero contare.

Mariner of the mountains: la recensione

La voce appassionata e pacata di Ainouz ci fa vivere in prima persona l’ansia di un uomo alla ricerca di notizie sulle proprie origini paterne.

Un uomo che porta costantemente una cinepresa con sé per riprendere, senza nemmeno saper bene come utilizzare ciò che si adopera a filmare.

Eppure Karim Ainouz, nel suo toccante documentario autobiografico, riesce ad infondere al racconto personale e privato una forza narrativa che lo rende più efficace di un film a soggetto, mantenendo vivo il sentimento genuino di chi sta per vivere il momento che si accinge a documentare.

Giunto ad Algeri, per la prima volta ho pronunciato il mio nome per intero, senza dover fare lo spelling e mi hanno subito capito”.

Il sensibile cineasta brasiliano si spinge con curiosità verso una radice algerina che porta evidente nel nome e cognome, ma di cui conosce così poco. La sua curiosità intelligente e acuta si distingue per un atteggiamento da una parte risoluto a scoprire tracce della sua origine sconosciuta, dall’altra quasi indagatore e un pizzico colpevolista nei confronti di un genitore che certo ha deciso di rendersi utile fino ad immolarsi per il suo paese, ma al prezzo di abbandonare il suo unico figlio.

“Ti saluto, mia amata Iracema, con grande nostalgia e gioia, il tuo marinaio delle montagne.”

Lo sguardo del regista è volto anche alle sue spalle, nella terra d’origine propria e soprattutto materna e il diario del marinaio improvvisato dalle sacre circostanze è dedicato prima di tutto alla donna straordinaria e amata che lo ha reso uomo. Foto del passato, documenti sgranati si alternano al diario di una ricerca che, comunque possa andare, si rivela in grado di colmare la sete di consapevolezza di un’origine mai conosciuta appieno come senz’altro avrebbe meritato.

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