The Natural History of Destruction fa sua la riflessione dello scrittore tedesco W.G. Sebald (già caro al regista ucraino con Austerlitz) su come la distruzione di massa della popolazione civile tedesca nella seconda guerra mondiale sia stata completamente ignorata dalla cultura di quella Nazione. Incapace di raccontare e riflettere su una devastazione esorcizzata dalla coscienza collettiva, sovrapposta da un ricostruire che non ha avuto il coraggio di voltarsi indietro.
Una riflessione indispensabile
Questo coraggio, diventato necessità, lo prende Sergei Loznitsa nel suo potente ed evocativo lavoro di montaggio che fa di The Natural History of Destruction una riuscita e corale visione sulla tragedia della nostra umanità.
Si parte dalla costruzione: gli anni ’30, prima dell’invasione della Polonia. Campagna, città, un popolo florido, che riempie gli spazi di attività, abitazioni, persone: l’operosità del fare e del vivere. Ma il tarlo del male (Michael Haneke e Il nastro bianco) aleggia in tutta quella bellezza e produttività: le bandiere con la svastica non tardano ad arrivare. La guerra richiama il caos e tutto si trasforma. Da ambo le parti del conflitto, la collettività intera è al servizio della distruzione: dalla costruzione di bombe, proiettili, ai biplani. E la distruzione arriva. Una devastazione feroce ed implacabile, rimarcata da ciò che resta.
Un grande lavoro d’archivio
The Natural History of Destruction è un’opera certosina da ‘amanuense’ visivo: Sergei Loznitsa ha fatto incetta negli archivi inglesi e tedeschi, dando vita ad un vero e proprio lavoro di composizione e raccordo temporale, ben chiaro nelle intenzioni. Estremamente rigoroso, ‘puro’, con l’unica contaminazione di una colonna sonora originale di Christiaan Verbeek e l’utilizzo del colore volutamente intersecato in una grammatica filmica prevalentemente in bianco e nero.
Pur se concepito prima della degenerazione della crisi Ucraina, The Natural History of Destruction ha la capacità di universalizzare la presa d’atto della negatività del cd. tempo di guerra, della sua non indispensabilità ad ogni costo.
Un cinema documentaristico nuovo, esplosivo nella forma, che ridà altra vita e altra veste ad un materiale per lo più statico, accentuandone l’aspetto evocativo in una maniera dirompente: avvertiamo dentro ogni fotogramma la enormità da catastrofe nelle conseguenze.
Di sicuro The Natural History of Destruction è un’operazione visiva impegnativa anche per chi guarda, costretto a misurarsi con un tempo del cinema, con azioni, ridondanze, non semplici da assorbire.
Sergei Loznitsa ci costringe ad un esercizio visivo alto. Una costrizione-costipazione dalla quale non possiamo trarre che grandi benefici nella capacità di percezione, attenzione, interpretazione dell’immagine sempre più necessaria nel tempo plastico, ultraveloce a cui siamo sottoposti in questa contemporaneità sempre più refrattaria al pensiero critico.