Stranger Things 4 è la nuova stagione del serial di culto ideato e diretto dai fratelli Duffer e distribuito da Netflix. I primi sette episodi sono disponibili dal 26 maggio 2022, gli ultimi due arriveranno il 1 luglio.
La trama
Sono passati sei mesi dalla battaglia di Starcourt che ha portato terrore e distruzione a Hawkins. Mentre affrontano le conseguenze di quanto successo i protagonisti si separano per la prima volta, e le difficoltà del liceo non facilitano le cose.
Will (Noah Schnapp), sua madre Joyce (Winona Ryder), Jonathan (Charlie Heaton) ed Undici (Millie Bobbie Brown) si sono trasferiti in California. Le vacanze di primavera sono l’occasione giusta perché Mike (Finn Wolfhard) raggiunga l’amico e la fidanzata. Ma presto si rende conto che le cose stanno diversamente rispetto a quanto credeva.
Ad Hawkins, intanto, una nuova minaccia giunge dal Sottosopra, legata a un terribile omicidio del passato per cui è stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico Victor Creel (Robert Englund). Gli amici devono unire nuovamente le forze per capire come fermare questo nuovo nemico. Dalla Russia, infine, Hopper (David Harbour) -sopravvissuto al finale della terza stagione- cerca di avvertire Joyce che è ancora vivo…
La recensione
Stranger Things 4 è dedicato, quasi espressamente, a tutti coloro -pochi, a dire il vero- che nutrivano ancora qualche dubbio sulla sostanza di una serie nata per rievocare gli anni ’80 con rimandi più o meno espliciti (stilistici o narrativi) a un periodo d’oro per certo cinema e certa letteratura, Steven Spielberg e Stephen King su tutti: un decennio anche martorizzato dall’edonismo reaganiano ma che oggi sta vivendo un periodo di piena maturità di rivalutazione.
Perché sì, la serie ideata dai fratelli Duffer è stato ed è tuttora, in crescendo, un fenomeno globale che, come le migliori opere seriali del nuovo secolo, ha da una parte riassunto e dall’altra rimasterizzato tutto un immaginario ponendosi come pietra angolare di un universo narrativo; in quanto tale, ha fatto durante gli episodi delle prime tre stagioni -nella terza soprattutto, forse la meno bilanciata- parecchie concessioni all’easy telling e strizzatine d’occhio al pubblico.
Ma i sette episodi della prima parte di questa penultima stagione (con gli ultimi due in uscita il 1 luglio) rivelano le potenzialità e la fenomenologia di un’opera che ha saputo raccontare gioie e dolori dell’adolescenza con tocco delicato e mascherato con il genere -horror e fantascienza-, e con una leggerezza nei sentimenti e nella descrizione dei caratteri invidiabile.
Sette episodi che confermano come la struttura fosse ben chiara fin dall’inizio, visto e considerato che la storia dei quattro ragazzi protagonisti prosegue confermando di seguire non solo la loro infanzia ma anche la loro adolescenza.
Restando nella metafora: se le prime due stagioni legate a filo doppio come fossero una erano allora il level one, la terza era il naturale prosieguo mettendo in scena con tutta la stupida (ma mai sciocca) e stupita tragicità i dolori della crescita. Questa quarta si avvicina al game over, sale un gradino di più e miracolosamente si ricollega alle sue suggestioni senza rinnegarle e proietta i personaggi nell’età adulta, adottando un mood drammaturgico più oscuro.
Perché se sopra si parlava di edonismo reaganiano, non si può non pensarlo in rapporto a uno dei miti cinematografici fondanti di quell’epoca, ovvero Nightmare di Wes Craven: che è anche innegabilmente il nume tutelare di Stranger Things 4 che abbandona i Goonies per arrivare alla paura pura, teso a focalizzarsi su un racconto che si arricchisce di sfumature, e non si preoccupa più di tradurre tutto in una messa in scena al servizio della storia ambiziosa per il suo intrecciare i vari segmenti della trama inspessendo la struttura, innervandola di ombre notevolmente più cupe.
Stranger Things 4 é una dimostrazione vigorosa di maturità espressiva, che attinge a piene mani dall’immaginario più oscuro degli anni 80.
Non è forse questa la maturità? L’età adulta, piena di preoccupazioni e tragedie, di nostalgia, di tensione che corre sotterranea per esplodere a tratti. I fratelli Duffer decidono intelligentemente di cambiare il passo, di prendersi il tempo per un racconto ricco che necessita di pause e accelerate, approcciandosi ad uno sviluppo ragionato, meticoloso, calcolato, ben strutturato, che si rivela nel mirabile incastro delle varie storyline e nella storia che va avanti mentre si riallaccia anche al passato (gli anni ’50), formando un mosaico composito e appassionante, esaltante e come sempre colorato minuziosamente dal look con spalline, paillettes e capelli cotonati, dalla musica che anticipava l’elettronica fusa al pop, da Dungeons & Dragons che fa da sfondo e da contraltare al nuovo (?) villain.
Certo, il senso di vuoto, di perdita e di colpa sono sempre là che aleggiano su Hawkins e che avvolge la città e noi che guardiamo, ma sempre con quella dolcezza malinconica che stempera la sofferenza. Una sofferenza quindi pop, ma nel senso più alto. Perché la cultura pop(olare) è l’insieme di tradizioni, saperi, idee e usanze e altri aspetti religiosi che rientrano nelle tendenze dominanti della comunità in cui vive il villaggio globale.
Trovarne i paradigmi e i simboli non è cosa da poco e neanche inutile. Il pop siamo noi.