Agnès Jaoui, elegante e raffinata regista, attrice e sceneggiatrice, si presenta a Cannes all’incontro con il pubblico vestita molto semplicemente (questi incontri sono chiamati “master class” dall’etichetta cannense, anche se non hanno nulla a che fare con delle ‘lezioni’), sorridente, quasi intimidita. Non riesce a trattenere la commozione quando sente il calore degli applausi prolungati in una sala piena di giovani, oltre che di accreditati, professionali e giornalisti. Con le sollecitazioni di una giornalista, racconta le tappe principali della sua vita e della sua carriera artistica.
La Jaoui, classe 1964, nasce da una famiglia di origine ebraico-tunisina ma si trasferisce a Parigi all’età di otto anni. Il padre è uno psicanalista e la madre un’esperta di marketing, entrambi con una forte personalità. Fin da adolescente si manifesta la sua passione per la scrittura e inizia a sognare di lavorare in teatro: a 15 anni si iscrive al Cours Florent, una nota scuola teatrale indipendente di Parigi dove sarà la studentessa più giovane.
Alla domanda perché il sogno del teatro e di essere attrice e perché la scrittura, Agnès risponde:
“Piano piano ho capito il carattere fugace della vita e volevo che il mio passaggio sulla Terra non fosse inutile e dimenticato. Ho persino scritto un diario, come Anne Franck, dicendomi che come lei avrei lasciato una prova della mia esistenza. Sono arrivata alla regia e alla sceneggiatura attraverso il mestiere di attrice, il modo più semplice, rapido e fumoso per guadagnare la notorietà e dare senso al mio esistere in questa vita così breve. Sono venuta a Cannes a fare un corso di teatro, ero la più giovane, avevo 14 anni, gli altri avevano oltre 20 anni: in rue d’Antibes qualcuno in un caffè mi ha detto: “ti trovo troppo intelligente per essere attrice” (sono anche pretenziosa, scusate). Di fondo sono un’attrice che ha fatto poi tutte le altre cose, la regia, la sceneggiatura, ecc.”
Successivamente nel 1984 si iscrive al corso di arte drammatica di Les Amandiers a Nanterre, nella stessa scuola raccontata da Valeria Bruni Tedeschi nel suo film in concorso al Festival di quest’anno, Les Amandiers, ma si tratta di un ricordo diverso da quello della collega. Sembra infatti che la Jaoui non parli volentieri di questo capitolo della sua vita, qualificando il regista creatore della scuola, Patrice Chéreau, come un “guru che aveva bisogno di dividere per regnare meglio: questa esperienza mi ha fatto capire cosa fosse un abuso di potere e che non avrei mai potuto sopportarlo da nessuno”.
Ottiene il suo primo ruolo cinematografico proprio grazie a Patrice Chéreau che le offre un ruolo nel film Hôtel de France, dove conosce il suo futuro compagno, l’attore e sceneggiatore Jean-Pierre Bacri, con il quale inizia un duraturo sodalizio nella vita e nel lavoro, scrivendo con lui a quattro mani diversi adattamenti di pièce teatrale, come Cuisine et dépendances, fra le tante loro collaborazioni. La coppia è stata sposata dal 1983 al 2012 ed insieme i due hanno scritto e interpretato i cinque film da lei diretti: Il gusto degli altri (2000), Così fan tutti (2004), Parlez-moi de la pluie (2008), Quando meno te l’aspetti (2013) e Place publique (2018).
Rendez-Vous con Agnès Jaoui le dichiarazioni
“Io e Pierre – ha raccontato l’artista – abbiamo la stessa voglia e ‘rabbia’ nello scrivere: ho un amore folle per il mestiere di attrice, e per gli attori e le attrici, ma anche per la regia. Quando abbiamo iniziato a scrivere ho capito che c’era qualcosa di interessante che mi convinceva. Ho scritto per il teatro perché è il mio amore d’infanzia, è più artigianale e primordiale del cinema. Essere attrice è un po’ come essere un bambino piccolo che deve crescere, ma poi c’è un’evoluzione: scrivere infatti è come diventare adulti, mettere in scena, infine, è come diventare genitori, avere un progetto. Quindi anche io sono cresciuta e mi sono legittimata a fare cose nuove per verificare la mia immagine”.
Il suo lavoro più noto, come regista, è il film Il gusto degli altri, che ha vinto due David di Donatello ed ottenuto una candidatura all’ Oscar come miglior film straniero: Agnès Jaoui scava nelle psicologie dei personaggi e dirige un lavoro sorprendente per un’opera prima, che utilizza il “gusto”, a vari livelli, come parametro di sé, degli altri e dei rapporti sociali, come strumento attraverso cui ciascuno acquista coscienza del proprio io e del contesto di appartenenza, anche a livello ‘collettivo’..
“Ho molta passione per la psicologia, la sociologia e la psicoanalisi – prosegue Agnès – e sono sorpresa dal successo di un film rispetto a un altro, come nel caso di Il gusto degli altri. A volte mi è difficile capire il perché un film abbia successo, a volte come registi o sceneggiatori si è compresi, a volte no, comunque questo accade perché siamo vivi. Il gusto degli altri è un film corale: come registi si è più liberi di mettere in scena qualsiasi cosa, anche la violenza, si hanno molte possibilità in più”.
Rispetto alle donne, anche rispondendo ad una domanda del pubblico, non ritiene che siano in assoluto meglio degli uomini né il contrario. Si ritiene femminista se questo significa una donna che tiene a esistere senza dover dare conto delle apparenze. Racconta di come, prima di incontrare il marito, venisse rifiutata in tutti i casting cinematografici e avesse come l’impressione di trovarsi di fronte a una commessa del negozio che le faceva capire di non avere la taglia giusta!
“Sono a dieta da quando avevo 13 anni – prosegue la Jaoui – e oggi sto cercando di sostenermi invecchiando. Cerco di convincermi che non mi interessa, ma non è vero: è orribile sapere che stiamo diventando deperibili! Ho sempre combattuto le apparenze, vorrei infischiarmene completamente ma non ci riesco e tutto questo fa parte delle peggiori contraddizioni umane, vorrei essere perfetta ma in effetti non lo sono affatto, io detesto l’aggressività ed il fatto che spesso il genere maschile non vuole mostrarsi debole e tende a reprimere: questo mi appassiona. Ci sono parti di me che vogliono mostrare luoghi o persone che vanno guardate attraverso uno sguardo diverso, anche o proprio perché non sembra esserci bellezza. Ai giovani artisti, autori, dico di non tener conto dei commenti degli altri e dei loro gusti, ma di tenersi i propri.”
Alla domanda di una giovane regista che le chiede a cosa serva oggi, secondo lei, fare film, risponde: “Serve al mondo perché lo rappresenta, in tanti modi diversi, evidenziando le lotte personali e politiche o le storie di ogni genere. Comprendere gli altri è un po’ lo scopo della vita, il cinema migliora la vita e può aiutare anche a raggiungere la felicità.”
La Jaoui conclude esprimendo la propria gratitudine ai suoi genitori che gli hanno trasmesso la gioia di vivere, ‘l’appetito’ del vivere, cercando sempre il positivo, il bene in tutte le cose, con l’idea che ciascuno di noi possa fare tutto o quasi. L’importante è non aver paura di ciò che ‘passa’, non rincorrere le cose, ma essere qui ed ora, come dicono i saggi o i meditativi.
L’incontro si conclude con la citazione, da parte dell’artista, di una frase del poeta iraniano Omar Khayyan: “Sii felice per un istante, quell’istante è la tua vita”.