Al Certain Regard di Cannes 75 arriva un curioso e colorato film pakistano: Joyland, opera prima nel lungometraggio del regista Saim Sadiq.
Una storia in cui la severa tradizione legata ai riti della famiglia patriarcale pakistana locale si scontra con le prese di consapevolezza e l’accettazione delle proprie attitudini che costringono, chi si trova a dover mediare tra due aspetti così antitetici, a venire allo scoperto per non vivere nella contraddizione e nella frustrazione di dover ricorrere a soli sotterfugi e trame nascoste.
Joyland – la trama
La nascita dell’ennesima nipote femmina, se da un lato predispone alla tenerezza l’anziano capofamiglia Rana, dall’altro lo rende esigente col secondo figlio ( sposato ma senza ‘discendenti maschi’) affinché sia lui a regalarglielo dopo le quattro femmine del fratello maggiore.
Ma Haider, a cui è richiesto questo compito, non solo non mostra quelle doti spiccatamente mascoline che lo rendano il tipico esempio di garante della molteplicità familiare, ma addirittura sembra propenso ad occuparsi più di svolgere compiti domestici che di lavori tipicamente maschili.
Haider coltiva, inoltre da tempo un hobby segreto che si rivela sempre di più un sogno irrinunciabile quanto difficilmente condivisibile con ognuno dei membri della sua famiglia. L’uomo è appassionato di coreografie e danze erotiche e ha intenzione di frequentare le lezioni che impartisce una bella ballerina transessuale, di cui inevitabilmente il ragazzo si innamora.
Tutto questo complica sino all’inverosimile una storia di famiglia ove ognuno aspira a cose che gli altri non vogliono (o non ritengono accettabili) o per cui non sono adeguatamente motivati ad impegnarsi per ottenerle.
Joyland – la recensione
Il film d’esordio di Saim Sadiq è una commedia scatenata nelle coreografie e nei colori dei balletti attraverso cui il protagonista si appresta a far sua quella che appare l’aspirazione più sentita e genuina, quanto inconfessabile.
Una scelta, quella del timido ma tutt’altro che rassegnato Haider, che appare brillante e gioiosa di vita, nonché manifesto di intransigenza d’azioni e comportamenti che risultano inevitabili per il raggiungimento di quella soddisfazione personale delle proprie attitudini comportamentali e caratteriali.
Una scelta che diviene tale in quanto riflette con lucidità e concretezza di veduta la crudele incompatibilità che spesso si crea tra ciò che l’etichetta sociale si aspetta dal singolo e quelle che invece si rivelano le singole aspirazioni. Si crea così una distonia che non può dar vita ad altro se non a frustrazioni e a spiacevoli sensazioni di irrisolutezza e negazione di se stessi.
Il declinare queste argomentazioni su una società spesso intransigente e chiusa come quella pakistana non fa che gettare benzina sul fuoco con il risultato di moltiplicare da una parte l’effetto intolleranza ed il rifiuto dall’altra ad adeguarsi a comportamenti volti a seguire la regola perentoria a salvaguardia dei diritti della famiglia tradizionale.
Il film riesce a districarsi bene tra la drammaticità di fondo, che si avvinghia sul destino incerto ed impossibile del protagonista, e l’avverarsi, scatenato e brillante ( oltre che coloratissimo e scintillante) del suo sogno di far parte di una coreografia impeccabile.
Circostanza, quest’ultima, che apre contemporaneamente al protagonista anche la via di un amore finalmente sincero e genuino non più frutto di accomodamenti tra famiglie, ma trionfo di un sentimento che nasce spontaneo e che non si blocca dinanzi a burocrazie sentimentali e barriere imposte da etichette sociali sempre più incongrue.