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I 100 anni di Ugo Tognazzi raccontati dal figlio Ricky in un documentario

A 100 anni dalla nascita di Ugo Tognazzi, il testimone passa al figlio Ricky

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Un’intervista a Ricky Tognazzi per raccontare il padre e spiegare la sua più recente fatica registica, il documentario La voglia matta di vivere. Il 23 marzo 2022 Ugo Tognazzi avrebbe compiuto 100 anni e, per celebrarlo, il Prato Film Festival ha organizzato uno speciale incontro (che anticipa la kermesse estiva, dal 30 giugno al 3 luglio) con il figlio. Questi, insieme ai fratelli, ha infatti realizzato un documentario incentrato sulla poliedrica figura del padre.

Ricky Tognazzi e il suo rapporto col padre

Qual è l’eredità di Ugo Tognazzi? Qual è quel qualcosa che porti sullo schermo e nella vita che hai fatto tuo, ma che, in qualche modo, deriva da lui?

Ho intitolato il documentario che ho realizzato su di lui La voglia matta di vivere perché io vorrei avere il 10% delle energie e della voglia di vivere che aveva lui. Era un appassionato, di tutto ciò che poteva appassionare. Iniziava al mattino divorando i giornali, poi si metteva in cucina e voleva fare la ribollita, una frittata di cipolle o qualsiasi altra cosa. Poi si metteva sulle sue sceneggiature, a leggere, e concludeva la giornata con qualche ospite a cena. Era sempre attivo e aveva una gran voglia di vivere (quella matta voglia alla quale faccio riferimento) e io ho sempre guardato a tutto questo con enorme stupore. Io penso di poter affermare che non ho nemmeno il 10% della sua energia, però ho acquisito la voglia di essere così. Lui era un uomo molto curioso. Mi ricordo che da bambino mi portava in giro e avevo imparato a riconoscere alcuni luoghi, come, per esempio, le gallerie d’arte nelle quali mi portava spesso. Perché, tra le tante cose, era anche un appassionato d’arte. Poi adorava il cinema, andava a teatro, leggeva. Mi piace, quindi, l’idea di questa sua bulimia, una grande voglia di godersi la vita.

Le passioni di Ugo Tognazzi

Una delle sue grandi passioni, alla quale hai fatto riferimento, era anche la cucina.

Esattamente. E, più che la cucina, direi che amava il convivio proprio come momento di fraternità. La passione per la cucina era quasi una scusa. La verità è che lui non amava stare solo e voleva sempre gente intorno. Per questo si era inventato la passione per la cucina che aveva, in qualche modo e per certi versi, quasi sostituito il teatro. Da parte sua c’era come una voglia continua di esibirsi di fronte agli altri, di ricevere un applauso a scena aperta. Diceva sempre che il cinema era fantastico, ma, vedendo il prodotto finale sullo schermo, mancava il calore del pubblico. Ed ecco, quindi, che spiegava l’amore per la cucina e il fatto stesso di cucinare come qualcosa che gli serviva per ottenere il consenso e sentirlo addosso, circondato da amici.

Poi un’altra caratteristica straordinaria che aveva era la capacità di entrare in intimità anche con persone sconosciute, che magari incrociava al bar. Aveva un modo di fare che permetteva alle persone di entrare subito in sintonia con lui e di aprirsi e raccontarsi: le prendeva sottobraccio, gli raccontava qualcosa e rimanevano tutti basiti ad ascoltare e poi a parlare.

Ricky Tognazzi e la sua voglia matta di vivere

Tornando al documentario La voglia matta di vivere che hai firmato con i tuoi fratelli, volevo chiederti se nasce espressamente per celebrare i 100 anni di Ugo Tognazzi (lo scorso 23 marzo, ndr) o se l’idea era comunque nata prima.

Innanzitutto c’è da dire che di documentari su Ugo Tognazzi ne hanno fatti molti. Il primo e il più bello lo ha fatto mia sorella Maria Sole. Si intitola Mio padre, le ha portato grande fortuna e le ha permesso di iniziare una brillante carriera. Poi in questi 30 anni dalla morte di mio padre anche la Rai, Sky e molti altri hanno lavorato in questa direzione perché Ugo Tognazzi è una figura che viene voglia di raccontare. Anche perché lui non è solo la persona e l’attore che tutti abbiamo conosciuto, ma è anche tutti i personaggi che ha fatto per il cinema. E soprattutto lui ha raccontato l’Italia, ma non l’italiano medio. Ed è forse l’aspetto più interessante: lui era l’italiano straordinario e particolare. Si è sempre concentrato in questo perché aveva la voglia di sorprendere e di cercare personaggi nuovi e diversi da raccontare.

Com’è nata l’idea di realizzare questo documentario?

Quando mi sono accorto che stava arrivando il centenario e che la sua figura stava, in qualche modo, scomparendo ho pensato che fosse il momento per proporre questo documentario. L’idea di rinnovare la sua memoria, di riscoprirlo, di rinnovarne la memoria negli spettatori, per me, è diventata una sorta di necessità. E, infatti, credo che i film spesso siano necessari. Fellini, per esempio, con tutte le debite proporzioni perché non vorrei mai paragonarmi a lui, diceva:

Non sono io che scelgo i film, sono i film che cercano me.

E credo proprio che avesse ragione. Ci sono certi film che sono necessari e che vengono incontro urlando raccontami e questo, tra i tanti che ho fatto, che affrontavano determinate tematiche è uno di questi.

Documentario o serie tv?

Alla luce di quanto affermato e della poliedricità dell’artista Ugo Tognazzi perché non pensare a un prodotto seriale che magari avrebbe potuto incentrare ogni episodio su un argomento ben preciso? Qual è il rapporto di oggi tra cinema e televisione? E quale quello di Ricky Tognazzi?

Domanda scomoda (ride, ndr). Per il momento mi sono sentito di realizzare questo documentario. Chissà che per il futuro non riesca a trovare la sintesi perfetta per raccontarlo in forma di fiction. In generale io adoro le biografie, mi piacciono molto e ne ho fatte parecchie. Il problema, però, di lavori come questi è che succede spesso che nella biografia ci si riduca a raccontare in modo cronologico la nascita, l’ispirazione/il cambiamento e la fine. Nella mia carriera, per esempio, mi sono appassionato a raccontare la storia di Giovanni XXIII tanto da realizzarne un documentario. Anche perché adoro le biografie dove viene raccontato un personaggio in tre giorni. A tal proposito potrei citarne uno sulla regina Elisabetta dalla morte di Lady Diana fino al funerale. Con quel documentario, vedendo la vita della regina in tre giorni, ho imparato molto di più che con tutte le serie che ho visto sull’argomento.

Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

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