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Retour à Seoul: l’insistente ricerca delle proprie origini lontane

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Nella sezione Un Certain Regard di Cannes 75 si è fatto notare, per finezza di sentimenti e capacità di non cadere dentro inutili trabocchetti dolceamari, Retour à Seoul, il film opera terza del regista franco cambogiano Davy Chou conosciuto proprio a Cannes 2016 con la sua interessante opera prima Diamond Island.

Retour à Seoul: la trama di un film che commuove senza retorica

Verso la fine di questi nostri primi anni 10, la francese Freddie torna per la prima volta in Corea del Sud, paese d’origine da dove, ancora in fasce, venne adottata da due coniugi francesi.

Oltre che trovare alcuni suoi amici corrispondenti, la ragazza si è recata nella capitale coreana per cercare di avere informazioni sui suoi genitori naturali. Per fare questo si reca nell’istituto da cui  la adottarono.

Grazie ad un numero di codice su una foto, una gentile segretaria riesce ad avviare la complessa pratica di ricontatto dei genitori.

Tuttavia, solo il padre si farà vivo cercando, tra l’altro di convincere la ragazza, senza successo, a fermarsi a vivere da lui.

Dopo cinque anni ritroviamo Freddie in Corea, con un nuovo lavoro non proprio ordinario (si occupa del commercio di missili) e un nuovo fidanzato e, due anni dopo, la ritroveremo ancora a Seoul per il fatidico incontro con la misteriosa madre, che finalmente ha trovato il coraggio e la forza di rivedere sua figlia.

Retour à Seoul – la recensione

Retour à Seoul possiede innanzi tutto la forza e l’originalità di trattare argomenti piuttosto a rischio di sfociare in derive melense e stucchevoli. Il regista Chou riesce a governare il tutto con una salda sceneggiatura e con la costruzione di personaggi risoluti e ben cesellati. Caratteri  in grado di esprimere il rigoglio dei sentimenti che li animano senza rinunciare ognuno alla risolutezza del proprio pensiero e della cultura che ha finito per appartenere ad ognuno.

Se si analizzano le incongruenze che si evidenziano in modo lampante tra la protagonista ed il padre naturale, si comprende come, per quanto la tenerezza reciproca costituisca una parte del tutto indelebile dei sentimenti che animano i due, padre e figlia non possano che farsi una ragione del non poter ricostituire un nucleo familiare sradicato sul nascere oltre un ventennio orsono.

La commozione palpabile, ma misurata e sapientemente trattenuta lungo le quasi due ore di durata del film, che quel riavvicinamento assai graduale con le proprie origini riesce a portare a termine nell’arco di un decennio di racconto, consente allo spettatore di apprezzare l’accuratezza composita con cui la storia viene portata avanti percependone altresì le sfaccettate dinamiche di evoluzione.

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