Da oggi disponibile su MUBI, il primo film del regista girato in Inglese, che completa una trilogia sul maschio contemporaneo iniziata con Forza Maggiore ( seguita da The square, ) Triangle of Sadness questa volta fa capolino nel mondo della moda.
Triangle of sadness: la moda: il nuovo mostro
L’incipit di Triangle of Sadness è uno spot perfetto sul cinico valore economico della bellezza (uno dei pochi trampolini sociali lasciati ancora disponibili alle classi più basse per riuscire ad elevarsi).
Un gruppo di modelli maschili è sottoposto a casting fotografici. Un mondo, soprattutto quello della moda, che fagocita ideali, topic del momento quali ambientalismo, multiculturalismo, trangenderismo, per i suoi esclusivi scopi economici. Il corpo è merce, le pose di maniera (per Balenciaga) o allegre (per i brandi più cheap come H&M) non significano niente. Tutto è forma, apparenza, inganno.
Il triangolo della tristezza tra le sopracciglia e il naso è la parola d’ordine che gli esaminatori rivolgono ai giovani aspiranti modelli: ‘rilassalo’ (altrimenti compariranno presto le prime rughe e tutto sarà finito).
Carl e Yaya sono una giovane coppia di modelli: uno dei nostri iniziali fari che introiettano un po’ di cliché (specie Yaya). Sono invitati a partecipare ad una crociera di lusso con la compagnia di un gruppo tanto eterogeno quanto assurdo di ricconi. Tutto pare andare a gonfie vele per gli ospiti fino a quando prima una tempesta, poi un saccheggio/attentato della nave trasformerà la crociera in un incubo: l’isola a cui approderanno i superstiti ribalterà i rapporti di classe in nome della sopravvivenza.
Triangle of Sadness, dopo un iniziale ‘contenimento’, rompe presto i suoi argini, strabordando, incontrollato, per tutta la sua durata. Ruben Östlund (forse volutamente) ne perde il controllo, anche se rimane la scomposizione narrativa in capitoli. I temi messi sul fuoco sono tanti, forse troppi, per condensarli in un’unica visione.
Carl e Yaya – scontro tra genere e stereotipi economici
Giovani e belli, entrambi modelli, sono a cena dopo una sfilata di lei. Yaya è più ricca e famosa di lui, ma è sempre Carl a pagare. Yaya non ci prova nemmeno, ad offrire. Questo atteggiamento irrita Carl (Harris Dickinson) e genera uno scontro un po’ naif su come, di fatto, la cd. parità di genere faccia fatica ad imporsi in tutto e per tutto, specie dal lato economico, anche nella mentalità femminile. Nel mondo della moda l’uomo è il più debole: pagato di meno, con alternative a fine carriere poco prospere rispetto alle donne (sposare un uomo con un gran portafoglio).
La crociera
Il vero Östlund nelle sue provocazioni visive, nelle sue caratterizzazioni estreme, lo troviamo esattamente a metà film. Lo yatch utilizzato per gli esterni è il Christina O, il vecchio yacht Onassis, un simbolo forte dell’élite degli anni ’60 e ’70. I suoi ospiti super ricchi incarnano tra gli altri: un oligarca russo e degli amabili ed educati vecchietti trafficanti d’armi a cui si contrappone un capitano alcolizzato (Woody Harrelson), che cita Karl Marx e ascolta l’Internazionale.
L’iniziale e chiaro ordine di classe ben suggellato da uno staff più che servile (a cui gli amabili ospiti, annoiati al sole, non sapendo come passare il tempo, propongono di lasciare per un momento l’uniforme ed il lavoro e farsi un tuffo al mare ed in piscina) comincia a scricchiolare nell’esilarante e magnifico momento della cena per festeggiare il capitano.
Il regista sfodera il suo cinismo senza farsi alcuno scrupolo di questi poveretti, letteralmente massacrati in sequenze più che esilaranti, ridotti a corpi che scaricano ovunque tutto il loro marciume in una liberazione fisica e morale. Ci fanno quasi pena, i trafficanti d’armi, gli oligarchi, mentre non riusciamo a trattenere le lacrime di un riso, anche per il pubblico, liberatorio.
L’isola
Giungiamo alla resa dei conti qui, sull’approdo che ha portato i superstiti al saccheggio/atto terroristico, in salvo. La donna delle pulizie è l’unica capace di pescare un polipo, di procurare il cibo a se stessa e agli altri. Può sottometterli, soddisfare voglie e capricci, dominarli. Il richiamo a Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmüller è inevitabile. Ci si chiede perché ‘sovrascriverlo’ in maniera così sfacciata e qui un appunto sulla originalità un po’mimetizzata di Triangle of Sadness non può non generarsi per chi guarda. Si scivola nel prevedibile quando il cerchio si chiude.
Con tutti i limiti di esorbitanza, ridondanza, confusione, dal calderone di Triangle of Sadness ne usciamo comunque pieni e carichi di una serie di stimoli sulla natura umana, sulle contraddizioni del potere e della ricchezza, sul vuoto di ideali, di ambizioni concrete, che regge il nostro terribile e devastato mondo.
Da oggi su MUBI, la commedia grottesca che vi farà girare la testa… letteralmente.