Da 28 aprile scorso MUBI, il sito streaming per il cinema d’autore, dedica attenzione a uno degli attori europei più apprezzati dell’ultimo periodo: il tedesco Franz Rogowski.
La rassegna sull’attore trentaseienne ormai assai celebre anche nel nostro paese, soprattutto dopo l’interpretazione del malvagio ufficiale tedesco nel film di Gabriele Mainetti intitolato Freaks Out, lo definisce, non certo a caso, uomo del momento“.
L’occasione è utile anche per poter vedere, all’interno della rassegna dedicata al bravissimo interprete, un piccolo film poco noto, piuttosto anomalo, ma interessante, intitolato Figaros Wolves, girato in un bianco e nero, dal forte fascino e ed efficace stile.
Figaros Wolves – la trama
Colette vive su un tetto e si nutre di luce.
Periodicamente tre balordi che lavorano o bazzicano tra le attività commerciali che il palazzo ospita, salgono sul tetto dove la ragazza “giace” e, con la scusa di fumare nelle pause consentite, approfittano per abusare di lei.
Colette lascia fare, non incoraggia ma nemmeno fa nulla per impedire che i bruti la utilizzino come pura valvola di sfogo. Questo almeno finché, su quello stesso tetto, non appare un altro individuo: un ragazzo in camicia bianca che inizia timidamente a interloquire con la ragazza, guadagnandosi la sua fiducia.
Tra i due nasce un innamoramento contemplativo, che rende entrambi più sereni e realizzati, e che non implica una reciprocità di domande, e relative risposte, inerenti il motivo per cui ognuno si ritrova in quello strano posto che sovrasta il mondo.
Quell’angelo discreto e sensibile si troverà poi pure lui nella condizione di incontrare i tre bruti, finendo malmenato e umiliato dinanzi alla ragazza.
Ma non senza riuscire a procurarsi un piano per ristabilire quella giustizia che le rare immagini a colori della seconda parte del film ci inducono a comprendere, circa il drammatico destino a cui è andata incontro la giovane Colette.
“Penso che le parole siano pronunciate ma non capite. Per entrare a comprendere il significato oscuro che c’è dietro, devi entrare nel regno delle esperienze con me.”
Figaros Wolves – la recensione
Nell’opera d’esordio del regista e sceneggiatore Dominik Galizia, sopra i tetti piatti dei palazzi vivono angeli che assomigliano a quelli sopra il cielo di Berlino di Wenders, e che spuntano all’improvviso per assistere anime misteriose afflitte da cupe storie di sopraffazione.
E il tetto, come un campo di battaglia, diviene il territorio dove si disputa una risoluta battaglia dei sessi, in cui chi sopporta fino alla sottomissione finisce per dimostrarsi molto meno indifeso di quel che sembra.
L’intervento messianico poi finisce per risolvere una volta per tutte quella storia di odiosa sopraffazione e prolungata violenza che la brutalità del branco esercita con la naturalezza di un diritto acquisito.
Galizia non ha mai intenzione di rendersi accattivante, e il suo film surreale, crudo ma in fondo anche poetico e romantico, non fa nulla per soggiacere ai favori di un pubblico che, non senza comprensibili motivazioni, corre il rischio di rimanere stordito tra la violenza sessuale che il film si preoccupa di rappresentare come un abituale esercizio di potere, e gli slanci di tenerezza che quello strano messia riesce a provocare nei confronti della protagonista e vittima.
Nei panni dell’eroe suo malgrado, un po’ angelo, un po’ uomo qualunque uscito da chissà quale contesto, il bravissimo Franz Rogowski è il valore aggiunto di una strana favola un po’ brutale, un po’ tenera, che trabocca umori cinefili, e forse anche di qualche vezzo autoriale un po’ troppo sfrontato e accumulato un po’ scaltramente lungo il corso dell’esile vicenda. 6/10