Presentato in anteprima al 75 Festival di Cannes, Gagarine – Proteggi ciò che ami trasfigura la realtà in poesia.
Di seguito la conversazione con Fanny Litard e Jeremy Trouilh.
Distribuito in Italia da Officine Ubu , Gagarine – Proteggi ciò che ami è uscito in sala dal 19 maggio ed è ora su Mubi.

Gagarine – Proteggi ciò che ami secondo i registi
Sovrapporre il destino del protagonista e degli altri abitanti a quello del complesso residenziale in via di demolizione fa sì che, nella narrazione, realtà e metafora vadano di pari passo. In questo senso demolire l’abitato significa anche uccidere la memoria e i sentimenti del corpo sociale che lo abitava.
Filmando la distruzione fisica di questo enorme immobile vogliamo anche rappresentare quella che è la distruzione di un’utopia, magari un po’ datata, ma comunque positiva perché legata all’idea di poter vivere felicemente insieme in un luogo come quello. Peraltro ciò pone anche altre domande e cioè se quello che si ricostruisce è in grado di ricreare condizioni di vita altrettanto soddisfacenti. È lecito domandarsi quali sono le nuove utopie della convivialità, della coabitazione e della convivenza in comune.

Con questo film abbiamo voluto rendere omaggio a queste comunità: non solo a quella di Gagarine, ma anche alle altre che abbiamo conosciuto per realizzare i nostri cortometraggi. In quel frangente ci siamo resi conto che, nonostante le difficoltà, materiali, fisiche e pratiche della vita in questi quartieri c’era un’energia e una solidarietà soprattutto da parte delle donne. Erano loro a essere al centro della comunità e a incoraggiare i giovani ad andare avanti. Con Gagarin – Proteggi ciò che ami abbiamo voluto rendere omaggio a queste collettività, al loro spirito di solidarietà, così forte e necessario.

La città ideale
Gagarine – Proteggi ciò che ami riprende l’utopia non così comune, ma presente nel cinema come quello della città ideale. Penso a The Florida Project di Sean Baker che, alla pari del vostro, parte da un fatto reale per ragionare sul sogno di vivere in una comunità pensata per elevare la qualità della vita attraverso una convivenza felice. In entrambi i film gli esiti non sono all’altezza delle promesse, ma sufficienti per continuare a ispirare le persone.
Il fatto di aver utilizzato un tono quasi da film di fantascienza è stato il modo per rappresentare la maniera in cui le persone cercano di vivere all’interno di una comunità. In questi film personaggi all’interno della navicella spaziale sono in genere isolati e si devono organizzare per condividere questa condizione così strana e particolare. Ho risposto in maniera non proprio diretta per dire che Gagarine – Proteggi ciò che ami mette in discussione e pone delle domande sulla maniera in cui ci si organizza per vivere insieme. In tale processo rientrano gli aspetti legati alla questione urbanistica, come pure quelli riguardanti il modo in cui la società decide l’organizzazione della vita collettiva.

Allargando il discorso, il film non si concentra soltanto sulla quotidianità all’interno di Gagarine ma anche sul rapporto tra la città, il centro, la periferia, considerando che il quartiere del film è abbastanza vicino al centro di Parigi. C’è lo sguardo che la gente di solito rivolge alle periferie, ma anche quello interno delle persone che ci vivono. Gli stereotipi utilizzati per descrivere queste aree possono rappresentare degli handicap per lo sviluppo e la crescita delle persone che ci vivono. Abbiamo voluto spazzare via i cliché per mostrare che in quei luoghi, nonostante le difficoltà, c’è posto per la poesia. Ci sono tanti sogni, tanta solidarietà e molta forza.

Dalla realtà alla poesia
Partite dalla realtà per sconfinare nel cinema e nella poesia. Nel farlo il film intercetta in tempo reale le vicissitudini degli abitanti e il procedere degli sgomberi. Il risultato è molto forte e ricorda un po’ quello di Laura Poitras in Citizen Four, in cui la regia finiva addirittura per contribuire al divenire degli eventi. Con Gagarine – Proteggi ciò che ami vi ritrovate coinvolti nello svolgersi degli accadimenti per cui volevo chiedervi quanto vi ha influenzato quello che stava accadendo e quanto le persone sono state condizionate dalla vostra presenza?
Sicuramente c’è stata questa porosità, il magico, meraviglioso continuo e reciproco influenzarsi di realtà e finzione. Quando abbiamo cominciato a scrivere il film Gagarine era ancora completamente abitato, piena di vita e di gente, poi l’abbiamo visto piano piano svuotarsi. Sapendo che il quartiere sarebbe stato demolito le persone hanno cominciato ad andare via mettendoci a parte delle loro paure. Ci hanno raccontato quello che sarebbe successo e tutto questo è entrato naturalmente a far parte del film. Abbiamo avuto la fortuna di girare mentre il quartiere esisteva ancora. Quindi abbiamo convissuto con gli operai addetti alla demolizioni che erano vestiti come degli astronauti poiché si occupavano di portare via l’amianto. Si è trattato di un parallelismo pazzesco perché noi avevamo il nostro cosmonauta vestito come tale e gli operai che indossavano tute simili.

Il risultato è stato un mix pazzesco di verità e finzione. Per quanto riguarda le scenografie, come spesso succede quando si abbandonano le case senza che vengano affittate ad altri, le persone tendono a lasciare degli oggetti, dei mobili, delle cartoline che noi abbiamo riutilizzato all’interno del film. D’altronde il motore della nostra voglia di fare cinema è questo essere così ancorati e vicini alla realtà. È l’energia dei luoghi e delle persone e dei rapporti che abbiamo stabilito con loro a ispirarci. Dopo aver trascorso tanti mesi a scrivere da soli in ufficio tornare lì e incontrarli ci dava veramente la forza e l’energia per andare avanti. Poi ci sono gli attori che ci mettono il loro cuore e la loro faccia. Quello che ci piace e ci nutre è proprio questo: stare molto in contatto con la realtà perché è questa a fornirci il materiale per la finzione.

La resa visiva di Gagarine – Proteggi ciò che ami
A proposito della scenografia, a essere straordinario è come siete riusciti a trasformare oggetti di uso comune in accessori tipici di una base spaziale.
È stato molto divertente chiederci come avremmo potuto costruire questa navicella. Ci siamo chiesti come poterlo fare lasciandoci ispirare dai film di fantascienza, ma anche da documentari in cui c’erano delle vere navette spaziali. A un certo punto ci siamo detti che l’unico che la poteva costruirla era Jury, il nostro protagonista. Ci siamo poi domandati dove poteva trovare i materiali per fabbricarla, ma anche per arredarla. Pensando al bisogno di aria e di acqua ci siamo inventati l’idea di fare queste specie di serre in grado di generare l’acqua. Ne è venuto fuori un ambiente magico in cui ci si può anche stendere e fare la mappa delle stelle.
Gagarine Uno straordinario viaggio visivo