‘I wish i knew’: il travagliato passato e l’euforico presente di Shanghai
La drammatica e toccante esperienza degli eventi più drammatici di una delle città industriali più importanti della Cina rivive nella memoria vivida di alcuni testimoni non più giovani, ma lucidi e toccanti, nella testimonianza di cui si fanno interpreti, lungo un film che alterna tali interventi a visioni di un presente tecnologico affascinante quanto irreale e futurista.
Da qualche giorno è presente su MUBI, uno dei film meno noti, almeno in Occidente, del grande regista cinese Jia Zhang-ke, dal titolo I wish i knew.
Un’opera che, non a caso, si rifà all’omonima canzone del grande Chet Baker, che nel film abbiamo anche occasione di sentire, cantata, in modo piuttosto disinvolto ed intonato, da uno dei personaggi che intervengono a raccontarsi e a riferire indizi personali sulla genesi della grande metropoli di Shanghai.
I wish i knew – l’ibrido che spazia tra intervista intima e una narrazione che si nasconde nel documentario
Sul modello un po’ ibrido sperimentato con successo nel 2008 in 24 City, con I wish I knew il gran regista cinese Jia Zhang-ke si prodiga, due anni dopo, in un approccio della metropoli sempre in movimento e in eterna costruzione, come appare da sempre Shanghai.
Un formicaio di umanità raccontato per l’occasione innanzi tutto attraverso una serie di interviste di personaggi per lo più anziani, testimoni diretti, o per interposta persona, dell’evoluzione degli ultimi 80 anni della grande città cinese.
Si inizia dai tempi in cui il grande centro urbano costituiva il porto franco di collegamento con i commerci verso l’Occidente, fino ad arrivare alla fondazione, negli anni ’20, del Partito Comunista Cinese, per poi raggiungere gli anni in cui, in pieni ’70, Shanghai divenne il primo grande nucleo urbano a spingersi verso economie di mercato di stampo occidentale.
Il tutto senza dimenticare l’esperienza della città in ambito cinematografico, che la vide, già dagli anni ’30, epicentro di una macchina produttrice di opere fondamentali per la cinematografia dell’intero immenso stato-continente.
I wish i knew – la presenza dell’angelo che osserva e passa avanti
La musa del regista, ovvero l’attrice e compagna Zhao Tao, fa da trait d’union alle diciotto interviste che caratterizzano il percorso del film. La bella attrice percorre silenziosa i centri urbani di una città che alterna apparati industriali altamente specializzati a dinamiche architettoniche all’avanguardia, come un angelo osservatore muto, testimone di un processo di evoluzione che ha visto stravolgere i connotati, fisici e geometrici, della grande metropoli in pochi decenni.
I wish I knew è un film di memorie, quasi sempre drammatiche e macchiate di sangue in capo a famiglie spezzate e divise, sia di alto rango, sia di origini popolari, sconvolte dai forti scombussolamenti storico-politici che hanno fondato quella che oggi si presenta come una città-baluardo dell’economia sempre in crescita di una nazione come la Cina.
Non è un caso che, proprio nell’anno di realizzazione del film, la città abbia accolto la manifestazione clou delle dinamiche commerciali e produttive a livello mondiale, ovvero l’Expo 2010, di cui il film si fa promotore e paladino.
Jia Zhang-ke è un maestro nel celebrare la possanza della struttura urbana, accomunata alle sorti di singoli individui e famiglie, che intervengono con testimonianze di vita drammatiche e struggenti. Dal loro racconto trapela l’emozione di ricordi che l’intervista fa tornare in vita in tutta la loro potenza evocativa di un passato turbolento pieno di contraddizioni e violenza.
La capacità di coniugare riprese e visuali tecnicamente perfette, che sanno trasformare in poesia la perfezione geometrica di una urbanizzazione che unisce presente e futuro attraverso una sky line a dir poco avveniristica e in continua mutazione, ai sentimenti e all’introspezione, rende particolarmente emozionante questo viaggio bi-direzionale, che parte da distante per arrivare all’oggi, e viceversa.
Molto spazio è dedicato al cinema, alle produzioni degli anni ’40 e ’50, attraverso il coinvolgimento di star ormai mature capitate per caso a far parte del mondo del cinema.
Fino a ritrovare il gran cinesta HouHsiao-hsien, impegnato a raccontarci la sua esperienza diretta con la città, maturata a fine anni ’90 ai tempi della lavorazione del film Fiori di Shanghai (1998), in concorso al festival di Cannes quello stesso anno, girato negli studi cinematografici della metropoli, dove sono stati ricreati interi quartieri cittadini che ospitavano i vecchi bordelli di lusso conosciuti come “case dei fiori”.
Più che un vero film, I wish I knew si rivela una toccante esperienza, in cui la memoria introspettiva del racconto si presta a dare ausilio al processo di trasformazione che ha reso possibile la trasformazione radicale di Shanghai. 8/10