La cerimonia dei David di Donatello 2022 si è svolta negli studi di Cinecittà il 3 maggio 2022.
Tutto previsto, tutto calcolato.
Si è svolta la cerimonia di premiazione dei David di Donatello 2022 a Cinecittà, con diretta su RaiUno e presenti sul palco Carlo Conti e Drusilla Foier.
Le candidature rese note erano già all’insegna delle più scontate previsioni: ben sedici le nomination su E’ Stata La Mano Di Dio di Paolo Sorrentino e Freaks Out di Gabriele Mainetti, e subito dopo Qui Rido Io con quattordici candidature, e Ariaferma di Leonardo Di Costanzo Diabolik dei Manetti Bros, con undici
Il regolamento di Piera Detassis, che ha innescato una piccola ma significativa rivoluzione nel 2019, sembra continuare a garantire maggiore penetrazione e diversificazione, riequilibrando i pesi tra il cinema candidato e i rappresentanti della cultura.
Una mossa che al di là di ogni dietrologia ha dato i suoi frutti: resterà probabilmente nella storia la presenza sul palco di Luì e Sofì (al secolo Luigi Scalagna e Sofia Scalia), i due ragazzi di Me Contro Te, che ricevono il David del pubblico per gli strabilianti risultati del loro film Il Mistero della Scuola Incantata.
Giusto? Sbagliato?
Se i David devono allora rappresentare il cinema italiano, e tutto quello che ne consegue (presenze in sala, successo al botteghino, incassi, e quindi non solo espressione di qualità), la risposta non può che essere positiva. Il Mistero della Scuola Incantata ha portato 4.8 milioni di euro al box office, superando addirittura il Black Widow della Marvel.
Ma la circostanza più importante è osservare la tipologia di pubblico accorsa in massa a vedere il film: ovvero quella degli under 7, una fascia quasi totalmente dimenticata dal cinema se non con il contentino di qualche film di animazione. Luì e Sofì, con buona pace dei soloni, hanno cominciato dal basso, hanno costruito e accarezzato il loro pubblico, hanno beneficiato dei mezzi più moderni (youtube e i social, in questo caso) e alla fine hanno trionfato.
Senza dire che loro il posto non lo rubano a nessuno: la presenza massiccia nei cinema del loro film certamente prende spazio, ma a cos’altro potrebbe essere dedicato, questo spazio, in questo periodo? Al meraviglioso Marx Può Aspettare, di Bellocchio? Alla sorpresa del 2022, quel A Chiara di Jonas Carpignano (miglior attrice protagonista, Swamy Rotolo, 17 anni), che ha incassato 138 mila euro?
Davvero c’è qualcuno che crede che, in assenza dei Me Contro Te nei multisala, i genitori sarebbero costretti dai loro figli di 4, 5 o 6 anni a portarli a vedere qualcos’altro? Combattere per il cinema, per la sua fruizione, per la sua resistenza, oggi non vuol dire barricarsi su una torre e pontificare sul gusto altrui: ma preparare il terreno, tastare il pubblico, crescerlo (!), indagando sui suoi gusti, magari reindirizzandoli leggermente. E di sicuro, battersi perché il cinema sia insegnato nelle scuole, perché è da là che dovrebbe partire tutto.
Non è cinema propriamente detto, si potrebbe obiettare: ma non lo è probabilmente neanche Natale Sul Nilo, eppure entrambi sono prodotti di massa che danno respiro -come d’altronde lo dà il pur criticatissimo Checco Zalone– alla sala, all’esercente, a chi di ingressi al cinema vive. E a proposito di esercenti.
La serata di RaiUno si apre con Carlo Conti che invita sul palco il ministro Dario Franceschini. E che a sorpresa (considerando la forte ingessatura del suo stile di conduzione) gli chiede se le mascherine si potranno levare in sala un po’ prima del 15 giugno.
Risposta inevitabile, ruffiana e pericolosamente sbagliata: perchè il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo risponde di no, chi vuole andare al cinema vuole farlo in sicurezza e quindi in un luogo affollato -si, ha accostato la sala ad un luogo affollato…- preferisce farlo ancora con la mascherina. Come se invece andare al supermercato, in un centro commerciale o in un bar significhi andare nel deserto, potendo affrontare questi luoghi con il viso libero.
Tornando ai premi.
Come si diceva in apertura, i film che avevano barricato le nomination hanno preso pressocchè tutti i premi più pesanti, ma con importanti e vistosi distinguo.
Qui Rido Io, a parere di chi scrive il miglior film dell’anno e anzi degli ultimi anni, si deve accontentare di due statuette, per i migliori costumi e per il miglior attore non protagonista, Edoardo Scarpetta; Ariaferma, altro gioiello splendente, altre due, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore, Silvio Orlando; Diabolik si ferma ad una, premiando però un cantautore eccellente come Manuel Agnelli per la sua La Profondità Degli Abissi.
Fanno però caso a parte, su cui discutere, sono Freaks Out ed E’ Stata La Mano di Dio.
Il film di Sorrentino, premiato a Venezia nel 2021 e candidato agli Oscar come miglior film internazionale, porta a casa ben quattro premi (miglior film, miglior regia, miglior attrice non protagonista a Teresa Saponangelo, David giovani): tutti meritati?
È indubbio che il suo nono sia probabilmente una rinascita rispetto alla sua filmografia che andava soffocando, e un film dolorosamente personale ed emozionante: ma è altrettanto sicuro che l’autore partenopeo, sicuramente uno dei più grandi cineasti del nostro tempo, abbia creato intorno a sé un’aura di autocompiacimento che lo porta ad avere una sorta di credito emotivo nei confronti della critica.
Come se un regista candidato agli Oscar non possa non vincere un David per la regia. Dare il riconoscimento a Mario Martone sarebbe stato probabilmente più appropriato: anche lui napoletano, anche lui tra gli autori più influenti in Italia, coltissimo, dalle profondità abissali, è fermo al 2011 con i David di Donatello (quando ne ricevette ben tre per il suo Noi Credevamo, dopo averne vinti già due per l’esordio con Morte di un Matematico Napoletano e nel 1995 per L’Amore Molesto).
Eppure si sa, in Italia se abbiamo un fuoriclasse dobbiamo innescare il meccanismo di gloria perpetua.
Diverso discorso per Freaks Out.
A fronte di un investimento di undici milioni di euro, ne ha incassati quasi tre, ma di questa circostanza sembra se ne siano dimenticati un po’ tutti.
Presentato a Venezia, è sembrato a tutti un po’ fuori luogo: la critica più sincera ne ha giustamente evidenziato i (tantissimi) limiti e i (pochi) pregi, mentre quella più ufficiale e da salotto lo ha esaltato dimenticando la sua lunghezza elefantiaca e pleonastica, la scarsa funzionalità di tutto il secondo tempo, il poco equilibrio con cui sfrutta i suoi quattro protagonisti.
Nella serata dei David, messo a stretto confronto con l’altro cinecomic nostrano –Diabolik dei Manetti-, deve far riflettere però su una cosa (oltre alla peculiare assonanza dei nomi dei registi): l’uno e l’altro film -entrambi fallimentari, in termini di spesa e guadagno, al box office, con numeri più o meno uguali- sono i due modi esattamente, diametralmente opposti di intendere l’adattamento dai fumetti, e tutto il -sotto- genere ormai diventato noto.
Dove Diabolik (come La Terra Dei Figli di Cupellini, altro adattamento dei fumetti tutto italiano) è algido e prosciugato nelle emozioni, Freaks Out è ridondante; dove il film dei fratelli Manetti è pieno di classe, intelligenza di scrittura, attenzione ai tempi dilatati, riflessione meta letteraria su un testo di partenza mentre lo rielabora lasciandone inalterate le caratteristiche, quello di Mainetti è sbracato, troppo lungo sul finale, inutilmente assordante, troppo aderente a modelli fumettistici non dichiarati ma evidenti (gli X-Men e i Marvel in genere).
Insomma, il primo è la vera proposta italiana al cinecomic, il secondo un tentativo di scimmiottare lo stile Marvel Studios senza però averne capito il senso. E infatti, il primo vince ai David per la canzone originale, il secondo sulla parte tecnica.
Chiudiamo con qualche nota brevissima.
1, alla fine della fiera, con buona pace del Ministro Franceschini e dei proclami di Carlo Conti su tornare in sala, ai David di Donatello 2022 sbanca un film distribuito da Netflix. Che per carità, non deve essere vista come la piattaforma nemica del cinema, però se sei un giurato e sai che E’ Stata La Mano Di Dio in sala c’è stata solo una manciata di giorni un pò dovresti rifletterci su.
2, la totale assenza nelle nomination di un capolavoro come Leonora Addio (primo film di Paolo Taviani senza il fratello, un’opera che parla del presente che scompare e che abbraccia le ceneri di un ricordo, all’ombra di un gigante come Pirandello) e de L’Ombra Del Giorno di Giuseppe Piccioni, che pure contava su un’interpretazione eccellente di Benedetta Porcaroli.
3, la -anche questa, prevedibilissima- inevitabile noia delle quattro ore di trasmissione: che probabilmente sembrano anche il triplo, nella percezione dello spettatore, per la presenza di Carlo Conti, goffo e fuori fuoco, alla cui conduzione vecchia e senza nessuna suggestione non è bastato neanche la presenza di Drusilla Foer, anche lei prevedibilmente eccellente pur se rimasta nelle righe.
4, alla fine, solo un lungo applauso ad uno degli attori italiani più bravi di sempre, Silvio Orlando. Che suggella il suo premio con lacrime sincere e con una frase lapidaria: “dedico questo premio a mia moglie Maria Laura, la persona migliore che abbia mai conosciuto in vita mia”