Nel settimo giorno del 24° Far East Festival, la sezione del Concorso si arricchisce, con il robusto film intitolato Kingmaker, di un connotato storico prezioso. Racconta gli sforzi del candidato presidente democratico Kim Woon-bum (nome immaginario che corrisponde al vero Kim Dae-jumg) di riuscire a ribaltare il regime del presidente Park Chung-hee, quando nel 1971 in Corea del Sud costui decise di indire “democratiche” elezioni, sicuro di ottenere una vittoria schiacciante su qualsiasi candidato.
Kingmaker – la trama
Nella Corea del Sud del 1971, la possibilità di arrivare a pubbliche elezioni, concesse dal presidente assolutista Park Chung-hee dopo esser salito al potere con un colpo di stato ad inizi ’60, spinge la frangia democratica a candidare un portavoce carismatico e corretto e di sani principi democratici, come Kim Dae-jung.
Si conosce meno la figura-ombra del consigliere e stratega che il candidato finì per scegliere al fine di riuscire nell’ardua impresa di scavalcare il suo potente avversario di regime.
Un personaggio realmente esistito, questo Seo Chang-dae, che poco si conosce e che pertanto permette agli sceneggiatori di sbizzarrirsi in particolari enigmatici che lo descrivono come un personaggio freddo e intelligentissimo, scaltro calcolatore e osservatore lungimirante, perfetto per scovare i punti deboli di un politico di regime intenzionato a proclamare le libere elezioni solo al fine di illudere il popolo di trovarsi in un regime di democrazia in stile occidentale.
Un uomo capace di intuizioni geniali che lo spingono a promuovere anche iniziative sbagliate per una giusta causa.
Un uomo celebre per frasi tipo:
“Più brilla la tua luce, più profonda risulta la tua ombra”,
“Un toro infuriato pensa solo a scagliarsi sul telo rosso, ma non pensa a chi lo sventola”,
che denotano la sua spiccata propensione verso machiavellismi che ne determinarono dapprima la fortuna politica, e poi la sua rovina, nei ranghi di un politico di fatto onesto che ha capito ad un certo punto la valenza di questo uomo taciturno e freddo, ma anche la sua insana pericolosità in seno a una opposizione di fatto onesta e motivata da sani principi di rivendicazione democratica.
Kingmaker – la recensione
Quarto lungometraggio del valido regista coreano Byung Sung-hyun, noto soprattutto a livello internazionale per il suo bellissimo action The Merciless, visto al Festival di Cannes nel 2016 nella sezione Séance de minuit e divenuto subito un cult, Kingmaster traccia i connotati di due uomini politici animati da uno stesso fine, ma caratterialmente molto diversi. Spinti uno al raggiungimento di un risultato popolare condiviso, l’altro ad agguantare la vittoria a qualsiasi costo, anche ricorrendo a sotterfugi degni del proprio avversario di chiara matrice antidemocratica.
Film robusto, sorretto da una sceneggiatura calibrata sui contrasti caratteriali e attitudinali dei due protagonisti, validamente interpretati da straordinari attori come Sul Kyung-gu (star meravigliosa diÊ Oasis di Lee Chang-dong, visto anche in The Merciless del medesimo autore) nei panni dell’aspirante nuovo presidente dell’opposizione al governo, e Lee Sun-Kyun, visto in Parasite di Bong Joon-ho.
In quelli decisamente più cinici ed enigmatici del suo consigliere, ex farmacista che sembra dosare con la medesima precisione parole e tattica politica per aggiudicarsi risultati che sulla carta parevano irrealizzabili a tutti gli effetti. 7/10