Asako in Ruby Shoes (Sun-ae-bo – Asako dalle scarpe color rubino), di E J-Yong, è stato proiettato al Festival del cinema coreano di Firenze (7-15 aprile). Il regista, secondo il programma della rassegna, è «uno degli esponenti più importanti della cinematografia coreana», ed è pure autore di An Affair, film «minimalista» con Lee Jung-jae, star ospite dell’evento.
Asako in Ruby Shoes, la trama
Corea del Sud, giorni nostri. Aya, studentessa, dichiara in apertura: «morirò in un mese». In classe, durante la lezione, trattiene il fiato fino a scoppiare. La nonna era una geisha, il nonno era un uomo tanto determinato da suicidarsi bloccando il proprio respiro. Sembra che la ragazza aneli allo stesso destino. Woo-in, avrà venti anni, è un generico impiegato comunale. Tanto laconico quanto indolente, il ragazzo vive solo e nutre una passione per le webcam erotiche; restio a pagare per la visione in un primo momento, in seguito cede e acquista per lo scopo una carta prepagata.
Aya ha bisogno di soldi per raggiungere il suo obiettivo, per questo insegue diversi lavori finché non posa per una piccola azienda erotica e diventa Asako. Intanto Woo-in conosce la collega Mia, e a partire dalla sua immagine costruisce e individua il suo nuovo modello di desiderio: scopre così la ragazza dai capelli rossi e dalle scarpe di rubino.
Due storie s’incontrano ma non si legano
Le vicende di Aya-Asako e Woo-in si svolgono in parallelo. Il collegamento narrativo tra i due racconti, cioè la trasformazione di Aya in Asako, avviene in anacronia: quando la ragazza veste i nuovi panni, il ragazzo ha già conosciuto la donna in webcam. Ciò non produce sorpresa, perché l’esito era prevedibile, e non mantiene neanche una linearità logica. In questo preciso snodo, a causa di un artificio impreciso, l’intreccio viene compromesso. Sarebbe stato sufficiente invertire i due momenti o posticipare la trasformazione attraverso l’analessi (cioè il flashback).
Una seconda considerazione narratologica: la storia di Woo-in è raccontata e svelata progressivamente; al contrario, nella vicenda di Aya, personaggio e narratrice coincidono (narratore omodiegetico). Questa discrasia, insieme allo scostamento temporale già osservato, impedisce alle due storie di essere solidali tra loro. Asako in Ruby Shoes è a tratti la somma di due film, o il loro accostamento, ma senza unione. Il problema, quindi, riguarda in apparenza il rapporto scrittura-montaggio.
Due storie si legano nelle immagini
La fabula in sé, d’altro canto, anche se non possiede sussulti comici o tragici, ha una sua compattezza. L’interpretazione dei protagonisti regge. Entrambi vivono esistenze immobili; l’oppressione domestica subita da Aya non proietta inquietudine all’esterno, si manifesta tutta nel cuscino, nel quale soffoca le lacrime, e nel palmo delle mani, dove sputa di nascosto il cocktail di farmaci. Tale condizione non ha neppure i tratti macabri delle vergini suicide di Sofia Coppola. Il voyeurismo di Woo-in, quando passa dal monitor alla fessura della porta del bagno, assume invece toni buffi. Il regista non sceglie alcuna connotazione per il suo film e racconta i personaggi così come appaiono, incapaci di vivere la realtà.
Sul piano visivo, sembra che E J-Yong abbia confidenza con inquadrature e movimenti di camera. Le sequenze sono agili e i personaggi, entrando/uscendo dalle inquadrature, rispettano l’equilibrio compositivo dell’immagine.