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‘Life – Non oltrepassare il limite’: quando esseri umani ed alieni lottano per sopravvivere in un mondo che non tollera coesistenza.

Una sfida tra due specie che non possono coesistere

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Dai primi giorni di aprile è disponibile su Netflix il film di fantascienza di Daniel Espinosa (il regista del cinecomic Marvel Morbius, attualmente in sala) intitolato Life – Non oltrepassare il limite.

Il “limite” del titolo viene superato quando una navicella spaziale in viaggio raccoglie reperti marziani che contengono tracce di vita aliena: una scoperta senza precedenti, e di devastante pericolosità.

La conseguenza inevitabile sarà una sfida tra due specie che non possono coesistere, nonostante gli sforzi.

Un film non privo di una certa tensione che certo presenta appigli smaccati, e duri da sostenere, verso capisaldi inimitabili del genere fantascientifico.

Life – Non oltrepassare il limite – la trama

In una stazione orbitale sopra le nostre teste, una squadra affiatata di sei persone di varie nazionalità è impegnata nel difficile compito di catturare una sonda di ritorno dal pianeta Marte che contiene materiali rinvenuti nel pianeta, utili ad essere studiati.

La capsula va raccolta a causa di una deviazione pericolosa causata da una pioggia di detriti.

Riusciti ad assicurarsi l’importante bersaglio, gli studiosi cominciano ad effettuare studi e prelievi sul materiale terroso prelevato dai macchinari della sonda.

Trovano all’interno una cellula di un organismo vivente e, dopo vari tentativi, riescono a riportarla in vita, con la soddisfazione di tutto il mondo che dal basso li segue con ansia, attribuendo altresì un nome all’apparentemente simpatico e minuscolo “alieno” ritrovato ed accudito, studiato e osservato con un interesse spasmodico.

Quando tuttavia la riproduzione cellulare conduce in poco tempo ad ottenere un essere vivente decisamente più conformato, autonomo e consapevole, e questi comincia a manifestare impellenti istinti di sopravvivenza, ecco che il miracolo si trasforma in una minaccia impellente.

L’alieno infatti si sviluppa a vista d’occhio e comincia a fuggire, a cibarsi prima di una cavia da laboratorio, poi dei membri dell’equipaggio.

I sopravvissuti si impegnano in una affannosa ricerca, poi, trovatolo, lo inseguono, ma non riescono né a catturarlo né a eliminarlo, costringendo l’intero equipaggio a esiliarsi in uno stato di quarantena necessaria per non pregiudicare gli equilibri del pianeta sottostante.

Avrà inizio una sfida incalzante per la sopravvivenza, non solo dell’equipaggio, ma di tutto il pianeta da una parte, e di un essere alieno dall’altra che agisce a salvaguardia istintiva delle sue pur legittime ragioni di sopravvivenza.

Life – Non oltrepassare il limite – la recensione

Daniel Espinosa, regista di origine svedese, pur se con nome smaccatamente ispanico, ancora piuttosto giovane (classe 1977) ma con alle spalle già 3/4 blockbuster di un certo richiamo (Child 44 e Safe House in particolare), e responsabile della recente non particolarmente esaltante trasposizione del controverso eroe Marvel Morbius (attualmente nelle sale), si avventura in un thriller fantascientifico teso e a tratti affascinante.

Un prodotto di puro consumo che pesca senza preoccupazione, forse anche senza ritegno, da una saga caposaldo della fanta-fiction ancora viva e vegeta oggi dopo quasi quarant’anni (si sta parlando di Alien e dei suoi fratelli-cloni, ovviamente).

Ma si notano anche comunanze con recenti blockbuster d’autore pluripremiati come Gravity di Cuaron.

Tensione e problematiche di coesistenza nello spazio profondo

Il risultato è alla fine un filmone per nulla vergognoso o insostenibile, anzi di buon livello tecnico e buon budget, dignitoso almeno dal punto di vista della suspense, a tutti gli effetti assicurata.

Tuttavia LifeNon oltrepassare il limite si guasta non poco lungo il corso della vicenda, soprattutto a causa di una sceneggiatura zeppa di dialoghi banali improntati al piagnisteo o tendenziosamente invocanti un disperato, eroico tentativo di mutuo soccorso tra superstiti. Tutti destinati a un penoso sacrificio a prezzo di un curioso e scorretto sberleffo finale.

Frasi imbarazzanti come “passami il defibrillatore” andrebbero vietate, tanto più all’interno di una navicella spaziale.

Infatti, senza voler aggiungere nulla alla piccola sorpresa finale, la soluzione della vicenda lascia abilmente aperti scenari apocalittici devastanti, che si spera restino tali e non suscitino tentazioni di eventuali futuri e magari lucrativi sequel forzati.

Il cast multirazziale risulta piuttosto affiatato, e vede coinvolte in particolare due star maschili piuttosto intercambiabili quanto a versatilità ed avvenenza: la coppia Jake Gyllenhall-Ryan Reynolds.

Stavolta, tuttavia, e per la prima volta dopo tanto tempo, Ryan Reynolds si accontenta, rispetto al suo socio, di un ruolo secondario e sacrificato, pur se fondamentale per lo sviluppo narrativo della vicenda.

Affianca i due divi una dimessa ma tenace Rebecca Ferguson, pure lei svedese come il regista, ma già avvezza alle super produzioni made in Usa. 6/10

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