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‘Metal Lords’ il film Netflix scritto da D.B. Weiss
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3 anni agoon
Metal Lords è il nuovo film originale Netflix rilasciato nel catalogo l’8 aprile 2022. Un’opera fresca che si allontana dalla solita commedia per teenager, dove di solito le sottoculture metal o emo sono lasciate a personaggi-macchietta di sfondo. Qui invece sono i protagonisti, il centro nevralgico del film.
Scritto da D.B. Weiss, creatore della celebre serie Game of Thrones, il film è un coming of age di tutto rispetto. Racconta la formazione di una band, partendo dalla passione per un genere musicale non sempre sotto i riflettori, il Metal, e come questo venga vissuto dagli adolescenti.
Diretto da Peter Sollett, il regista di Nick & Norah, Metal Lords richiama a sé camei di vecchie glorie metal.
Metal Lords il film: nascita di una band
Già dalla prima sequenza lo spettatore viene immerso immediatamente in quello che è il clima del film. Il duo protagonista si sta cimentando in una prova del loro singolo con continue interruzioni.
La storia viene narrata dal punto di vista di Kevin, il membro più tranquillo e nerd dei due, interpretato da Jaeden Martell, già visto nella duologia di IT. Lui suona il tamburo nella banda ed è un batterista alle prime armi costretto a imparare a suonare dall’amico Hunter (Adrian Greensmith). Quest’ultimo è il vero appassionato di metal, totalmente vestito come un puro metallaro e con una profonda conoscenza della discografia e di quello che il genere rappresenta. Amici di lunga data, emarginati che vogliono diventare una importante band ed essere conosciuti a scuola. Sono convinti che, una volta consacrati al metal, nessuno potrà mai dire loro cosa fare, ed è per questo che si iscrivono alla Battaglia delle Band.
Al gruppo però manca un bassista. Durante le prove della banda della scuola, Kevin assiste alla rabbia inferocita di una nuova ragazza, Emily. Lei è la terza protagonista della storia, un’ottima violoncellista per la quale Kevin prende una cotta. Sentendola suonare durante una delle sue prove, nelle aule scolastiche, le porge lo spartito e lei improvvisa, convincendo Kevin sempre di più. Per la sua presenza e per l’insistenza di Kevin di farla entrare nel gruppo, il duo litiga in diverse occasioni. Non solo, se all’inizio è Kevin il bullizzato tra i due, durante le rotture, Hunter diventa il bistrattato per la sua diversità. La musica però è sempre al loro fianco, con la determinazione che solo un vero fan del metal può avere. Li porta avanti nel loro obiettivo, anche quando non risulta più realizzabile.
Le vibrazioni dei personaggi
La colonna sonora è la vera protagonista in questo film. Le scene si susseguono sulle note dei pezzi dei Pantera, Metallica, Guns N’ Roses, Ozzy Osbourne e non solo (soundtrack). Ma vi sono anche sinfonie classiche, o addirittura cover pop, perché, a seconda della diversità del personaggio in scena, la musica ci accompagna in modo descrittivo rispetto alla sua indole. Per esempio, la musica classica descrive il personaggio di Emily, che è fuori da quel mondo. Sono le vibrazioni che lei fa sentire a Kevin e allo spettatore, vibrazioni e personalità diverse, a volte addirittura fuori luogo, rispetto a quella di Hunter. La musica come tale funge quindi da ponte per accedere ai sentimenti e all’interiorità dei personaggi protagonisti della storia.
Ha quindi un ruolo preponderante per trasmettere le sensazioni allo spettatore. Così, la sequenza romantica dell’incontro nel parcheggio tra Emily e Kevin, acquista, grazie all’assolo di chitarra acustica di Dee di Ozzy Osbourne, un tocco di imbarazzo, ma di serenità, romanticismo e naturalezza tra loro.
Fin dall’inizio, infatti, nella sequenza iniziale, aiuta ad immedesimarsi nell’atmosfera del film. Apparentemente è costantemente di sottofondo, ma in alcuni momenti risulta essere diegetica; dopotutto, si racconta la vita di giovani musicisti.
La costruzione della sceneggiatura
La sceneggiatura è scritta da D.B. Weiss (showrunner della serie HBO, Game Thrones) accompagnato tra gli altri da Tom Morello, che ha partecipato anche alla creazione del singolo ufficiale della band, Machinery Of Torment. La trama è molto semplice e la sceneggiatura è totalmente didascalica, richiamando elementi già visti all’interno del genere teen. Una band di underdog che cerca di vincere una competizione per farsi sentire dal mondo, la band rivale e i bulli. Per non parlare della ragazza, a richiamare il tema Yoko Ono, una cotta che allontana i due migliori amici fino quasi alla rottura definitiva.
I personaggi non sono banali, hanno un’ottima costruzione, se pure avrebbero meritato più profondità. Il film, infatti, porta a galla tematiche che non vengono mai approfondite, laddove era importante affrontarle con maturità. Questo non solo ai fini della trama, ma anche per lo spettatore adolescente al quale il film stesso è dedicato.
I personaggi scritti però non raggiungono una competività nociva, rispetto ad altri film del genere; non esiste un vero e proprio nemico (se non il bullo che è lì presente come cliché, messo in mezzo in fatti più grandi di lui). Addirittura rendendo il film meno metal, in quanto rappresentativo del perbenismo e del compromesso. Dove pure il più metallaro di tutti deve ricostruirsi un proprio spazio all’interno del mondo, cercando di non irrompere nel quieto vivere altrui, facemdo accettare il cambiamento, rispetto a vivere la vita con l’integrità dei propri ideali. Costretto addirittura a cambiare il nome da Skullfuckers in Skullflowers.
La sceneggiatura e la preparazione ad alcuni avvenimenti, a volte passano addirittura inosservate, ma aiutano perfettamente lo spettatore a capire ciò che accadrà dopo.
La regia ai fini del racconto
La regia di Peter Sollett è, ai fini del racconto, semplice e complice della musica. Con la scelta di sequenze adrenaliniche e un montaggio molto frenetico, con cambi veloci influenzati dalla natura dei videoclip musicali, come si può vedere nella prima sequenza, passando dai dettagli delle casse e dei poster sui muri fino a raggiungere i personaggi. Ma anche nella sequenza dell’allenamento e dell’impegno del protagonista, con la volontà di imparare per il proprio amico.
La macchina da presa è sempre in agitazione come lo sono i protagonisti in un costante processo di crescita. Non stabilizzata, con micromovimenti, permettendo la presenza di movimenti a schiaffo che però non distolgono l’attenzione dall’inserimento del film.
La mimica espressiva
Isis Hainsworth, dà un’ottima interpretazione alla particolarità del personaggio di Emily. Ragazza che si sente fuori luogo anche quando, alla fine dei conti, non lo è pienamente. Tramite lo sguardo riesce a far intuire allo spettatore tutto ciò che prova. Il suo disagio in alcune situazioni o la sua poca autostima, sottolineando quanto lei si distacchi da quell’ambiente, ma ne sia allo stesso tempo affascinata.
Come del resto anche Adrian Greensmith che rende una serie di emozioni, che si susseguono velocemente una dopo l’altra. Rese da espressioni del viso in perfetta armonia con gli umori del personaggio.
Mentre il protagonista interpretato da Jaeden Martell dona una performance posata, senza grandi virtuosismi, immersa completamente nel personaggio impacciato, ma forse il più sicuro dei tre.
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