Cast di volti noti (Karen Gillan, Pedro Pascal, David Duchovny…) per l’ultima fatica di Judd Apatow, Nella bolla (The Bubble). Una satira ai tempi del covid su Hollywood e i blockbuster, troppo dispersiva però per incidere davvero. Disponibile su Netflix.
Trama
Durante il primo lockdown l’industria cinematografica mondiale è in ginocchio. Al fortunato franchise di Cliff Beasts (giunto al sesto sequel) e al suo cast tecnico e artistico spetta il compito di salvare il cinema e di donare una distrazione all’umanità. Riuscirà questo gruppo di eroi, segregato in una lussuosa tenuta – rigorosamente covid free – nella campagna inglese, a portare a termine l’ardua e ingrata impresa?
Cinema, pandemia e piattaforme
Cosa resta del Cinema dopo due anni (e più) di pandemia? Cosa resta di un’industria dopo un evento epocale che l’ha stravolta sin dalle fondamenta? È significativo e ironico al tempo stesso che Judd Apatow si ponga queste domande proprio all’interno di una realtà come Netflix. Dentro, cioè, una delle piattaforme che più hanno tratto beneficio dalla pandemia a scapito dell’industria cinematografica. Ma è proprio così facendo che il regista si garantisce la possibilità di sparare a zero su quel mondo, sui suoi vizi e la sua follia. Nella bolla è in fondo questo. Una satira sul cinema al tempo del covid. La farsa su un mondo che proprio la pandemia ha messo in crisi, facendone emergere brutture e criticità.
Personaggi assurdi in un mondo ancora più assurdo
Dopo decenni a inseguire personaggi più o meno improbabili ma, per quanto possibile, sempre immersi nella (a)normalità del quotidiano, questa volta Apatow si confronta – guardando a esempi felici come Tropic Thunder – con il mondo dello star-system e di chi lo abita: esseri totalmente svincolati dalla realtà, tra manie di grandezza, deliri paranoidi e dipendenze varie. Un’operazione senza dubbio anomala per il regista, da sempre abituato a cimentarsi con commedie più intime e più vicine alla vita di tutti i giorni. Ma non per questo una cesura vera e propria con quel mondo. Perché è come se quei personaggi immaturi, irresponsabili e mai cresciuti che il cinema del regista, da 40 anni vergine a Il re di Staten Island, si porta dietro rivivessero anche qui, trasportati a forza, però, sul set di un film che non è altro che una gigantesca satira metacinematografica.
Tra individui con ogni tipo di dipendenza, fondatori di sette religiose e ambientalisti di facciata con il pallino per le adozioni, va così in scena il bozzetto di un’umanità fuori dal mondo (in ogni senso) e completamente in balia di se stessa. Una teoria di personaggi bizzarri all’interno di un’industria altrettanto assurda, che per non perdere i propri privilegi insegue tiktokers adolescenti (Iris Apatow, figlia minore del regista), mentre registi indie acclamati dalla critica (Fred Armisen) fanno a gara per dirigere film che dire discutibili è poco.
Un caos non programmato
Un altro film in perfetto stile Apatow, quindi? Non proprio. Perché nel passaggio a una grande produzione come Netflix pare che il regista si perda nel mare di possibilità che il soggetto gli garantisce e nella libertà assoluta che la piattaforma gli consente. Il risultato è così un film poco centrato che, cercando di parlare di tutto, finisce col parlare di niente (e spesso di non far ridere: le battute e le gag su tamponi, quarantena e distanziamento, seppur insolite per una grande produzione, sembrano ormai irrimediabilmente datate).
Resta il cast di volti noti e spesso, nonostante tutto, irresistibili (da David Duchovny a Keegan-Michael Key, passando per Pedro Pascal), con qualche cameo e qualche intuizione esilarante. Eppure a questo incubo farsesco, che sfotte i cinecomics e le produzioni milionarie disposte a tutto, manca qualcosa per essere realmente graffiante e genuinamente divertente. Come se Apatow, indeciso se inseguire i suoi soliti personaggi irrisolti o la satira di costume, il mondo del cinema o quello della pandemia, finisse col mescolare tutto in un vortice confusionario e poco divertente. Un vero peccato, visto il materiale di partenza e i lavori precedenti del regista.
Forse, alla fine, l’arduo compito di offrire all’umanità una distrazione da questi tempi bui, non è poi così facile come sembra.