Presentato in anteprima al Festival del cinema tedesco La ragazza con le mani d’oro racconta l’importanza delle proprie radici ma anche della necessità di lasciarle andare. Del film abbiamo parlato con la regista Katharina Marie Schubert.
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Il focus del film di Katharina Marie Schubert
Il tuo è un film molto interessante e complesso anche nel rapporto tra testo e immagini. Alla linearità della forma fai corrispondere una profondità di significati che riguardano tanto i personaggi che il rapporto di questi con l’ambiente. In generale La ragazza von mani d’oro parla dell’importanza delle nostre radici, ma anche della necessità di lasciarle andare.
Hai compreso perfettamente il senso del film perché ciò che hai detto è proprio quello che avrei voluto sentir dire del mio lungometraggio. Con l’unione delle due Germanie nel mio paese abbiamo assistito a una situazione particolare in cui una parte rimproverava qualcosa all’altra. All’inizio l’Ovest disse alla controparte che ogni cosa fatta da loro era sbagliata, inutile. Quest’ultima era molto desiderosa di essere come chi la rimproverava, ma dopo dieci anni la diversa educazione e i continui insulti resero insostenibile questa unione. La stessa cosa succede tra le persone. Come madre e figlia posso dire che da giovani si pensa di poter far meglio dei propri genitori. Li si insulta e loro si chiedono il motivo di queste critiche e del perché la loro vita non piaccia ai giovani. Per questo la cosa migliore è quella di lasciar andare il passato.
La protagonista
Per Gudrun l’orfanotrofio rappresenta quel passato che in qualche modo le impedisce di vivere bene il presente. La ragazza dalle mani d’oro racconta la presa di coscienza e il superamento di questo blocco emotivo.
L’orfanotrofio è stato la sua infanzia e, sebbene questa non sia stata felice, lei vi si aggrappa perché questo è quello che facciamo: ci aggrappiamo alle nostre brutte abitudini, anche a quelle che non necessariamente ci piacciono. Le persone le chiedono continuamente perché vuole continuare a tenerlo, le dicono che non le fa bene a ostinarsi, ma questo è quello che la definisce. Lasciarlo andare significa perdere la sua intera personalità. Quando ho scritto la sceneggiatura ho capito che per lei le istituzioni erano la sua educazione: Gudrun non aveva famiglia e quindi il governo comunista era la persona che l’aveva educata. Per questo è molto legata allo Stato.
In treno i ragazzi parlano del luogo in cui è nata Gudrun come di una città fantasma dove nessuno dovrebbe vivere. Al contrario il film ci mostra come sia impossibile per la protagonista e per gli altri cittadini allontanarsene. Questo a testimonianza dell’attaccamento alle proprie radici.
Berlino è una città dove vivono persone di ogni nazione, ma poi se si va anche solo a mezz’ora di distanza trovi solo estremisti di destra o di sinistra o nazi fascisti e se sei gay è pericoloso andarci. Il giovane che parla indossa una maglietta e una giacca con scritte che inneggiano alla nuova ondata di nazionalismo.
La scena finale del film di Katharina Marie Schubert
La scena finale è emblematica perché è l’unica in cui nella stessa inquadratura compaiono tutti i membri della famiglia di Gudrun mentre nelle altre sono sempre separati. Non è un caso che questo avvenga mentre i tre osservano l’orfanotrofio in fiamme, ovvero quel passato che finalmente hanno deciso di lasciarsi indietro. Peraltro anche la costruzione narrativa divisa per capitoli, ognuno dedicato a uno dei protagonisti testimonia un sodalizio che era tale solo sulla carta.
Questo schema è tratto da una fiaba tedesca dei Fratelli Grimm. Nella Germania dell’Est la censura era molto forte così le fiabe erano tra le poche cose che si potevano raccontare. Per questo motivo l’ho inserita nel film. In essa si racconta di questa donna che fugge dal principe che per amore le ha donato delle mani d’oro in sostituzione di quelle che le hanno tagliato. Per sette anni lui ha dovuto cercarla e alla fine la ritrova madre di un bambino, e con le mani che le sono ricresciute. Per me questa è una rappresentazione della famiglia ed è molto importante che il padre, il principe, la cerchi per fare in modo che lei riacquisti quello che aveva perduto.
Succede così anche per Werner, il marito di Gudrun, per questo gli ho voluto dare un peso maggiore all’interno della storia. Lui è uno che cerca di fare bene ogni cosa, ma poi gli dicono che tutto questo non è sufficiente: il sindaco lo esorta a far tacere la sua donna e quello che lui fa è cercare una via d’uscita. La soluzione che trova secondo me è perfetta. In generale volevo dare a tutti una parte importante, e non solo alla protagonista. Se ci fai caso, nella seconda parte spostiamo l’attenzione degli spettatori verso la figlia: abbiamo ancora molte cose da dire sulla madre, ma lo facciamo mettendo un po’ di enfasi sulle vicissitudini della figlia.
Il montaggio
La condizione di solitudine dei personaggi scaturisce anche dalla particolarità del montaggio i cui tagli, specialmente nella parte iniziale, sono bruschi e improvvisi. Mi riferisco, per esempio, al passaggio dalla scena in cui Gudrun si trova in cucina a quella dove vediamo padre e figlia al supermercato. Il taglio secco da una all’altra restituisce l’esistenza di una forte separazione tra le parti in causa. Sono una famiglia, ma attraverso le immagini ci dici che ognuno di loro cerca di trovare una via per condividere le loro vite.
Sì, è vero. Lei esce dall’inquadratura da una parte e dall’altra entra lui. Penso che ognuno, specialmente la madre e la figlia, aspettino qualcosa dall’altro. Quando la figlia le dona il libro non le dice che lo scritto lei e di quanto sia felice che questo sia successo, aspettandosi che sia la madre a congratularsi con lei. La stessa cosa succede quando la figlia va a trovare Gudrun: questa le dice che non c’era bisogno di farlo mentre la figlia continua a dire di essere venuta perché sentiva di volerlo. Rimangono su posizioni opposte e questo dice tutto sulla qualità del loro rapporto.
Le immagini nel film di Katharina Marie Schubert
Il film racconta non solo con i dialoghi, ma anche con le immagini. Il personaggio di Gudrun è introdotto con una serie di sequenze che ci dicono molto del dinamismo e della voglia di fare della donna. Tu infatti la mostri spesso mentre pedala veloce in sella alla bicicletta. La sua propensione ad andare sempre avanti la dice lunga su come sia abituata a prendere di petto la realtà.
Sì, Gudrun non è abituata a stare ferma e quando questo succede – a causa dell’incidente – le conseguenze sono più pesanti del normale proprio per questo motivo.
A proposito dell’incidente quando Gudrun è costretta a fermarsi anche le immagini lo fanno. Le inquadrature diventano più statiche, meno mobili.
Sì, è vero. Però devo dirti che non avevo intenzione di farlo. Vi sono stata costretta perché non ho avuto molto tempo per preparare quella parte di film. Anche per quanto riguarda l’ospedale non abbiamo trovato quello che volevamo. Saremmo voluti rimanere di più al suo interno e invece abbiamo dovuto girare in tre differenti location. Nella prima parte la macchina è sempre con loro quindi si ha la sensazione di condividere la loro vita poi non siamo più riusciti a farlo. Dunque la differenza, che tu giustamente hai notato, è stato il frutto della casualità.
All’inizio ognuno di loro ha trovato la propria strada, ma la rivoluzione si compie nel momento in cui riescono a essere davvero una famiglia e cioè a condividere le rispettive esistenze. All’inizio Gudrun è una donna che fa molte cose e in qualche modo Werner è messo da parte. Al contrario nel momento più drammatico della storia quest’ultimo riesce a salire in cattedra facendo per la prima volta qualcosa di veramente forte, Questo in qualche modo bilancia la relazione tra lui e Gudrun.
Sì, penso che per Werner sia molto bello che lui trovi il modo per aiutarla e ancora di più che lei accetti il suo aiuto. Gudrun è una donna molto testarda nel respingere qualsiasi sostegno da parte degli altri. Werner riesce a farla ritornare sui propri passi.
I riferimenti di Katharina Marie Schubert
Parlando di riferimenti cinematografici La ragazza dalle mani d’oro mi ha ricordato Secrets and Lie di Mike Leigh.
Questo è veramente un grande complimento: mi piace molto Mike Leigh e mi piace anche Kieslowski.
Krzysztof Kieślowski è il mio regista preferito.
Di Kieślowski amo non solo i film, ma anche tutti i suoi scritti. Mi piacciono anche autori romeni come Mungiu e Puiu. Il mio cameraman ha girato Sierra Nevada e dopo averlo visto mi sono detta che lo avrei voluto con me perché volevo fare lo stesso tipo di riprese. Tra i registi che preferisco c’è anche Andrei Zvjagincev che ha diretto Leviathan.
Le riprese nel film di Katharina Marie Schubert
Volevo entrare nel merito delle riprese di cui parli per sapere come avete lavorato.
Volevo avere molte panoramiche e poco montaggio. Volevo lasciare gli attori liberi di recitare con buona possibilità di movimento e soprattutto non volevo molti primi piani perché in Germania quando guardi la TV ce ne sono sempre troppi. Usarli ti fa lasciare le cose importanti fuori dall’inquadratura. Al contrario nei film di Mike Leigh possiamo vedere sempre la realtà di quel preciso momento. Ne La ragazza dalle mani d’oro abbiamo un solo primo piano in cui Gudrun dorme per cui non recitando per me se ne può inquadrare il volto. Mi piacerebbe che la mdp fosse mossa dagli attori come in Leviathan, film che mi ha molto influenzato. Quando guardo un film sono come un detective, osservo ogni piccolo dettaglio e poi lo metto assieme. La stessa cosa mi piace fare con la mdp: vai qui e là e non vedi necessariamente ogni cosa, non vedi necessariamente quello che è importante, ma sei semplicemente lì e metti i pezzi assieme.
In qualche modo il tuo film è un thriller dell’anima perché, per esempio, a un certo punto vediamo la figlia che forse incontra il suo vero padre, ma su questo il racconto rimane comunque reticente creando il tipo di suspense presente in quel genere di cinema.
Sì, può essere che sia così ma non te lo dico (ride, ndr). Penso che sia proprio come hai detto e cioè che La ragazza dalle mani d’oro sia un thriller dell’anima.
Come accade nella vita, i personaggi nel corso del film cambiano i loro sentimenti dunque non tutto può essere spiegato o ancora essere consequenziale a ciò che si vede.
È così perché nella realtà non sai se nel giorno successivo tutto sarà sempre lo stesso. Si tratta di momenti che cambiano al pari della vita.