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‘Mancino Naturale’ le borgate e il calcio italiano

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Mancino Naturale, film di Salvatore Allocca, è una storia che tratta di pallone e di “periferie”.

Il film è stato recentemente rilanciato su Raiplay. Vi basterà iscrivervi gratuitamente per vederlo.

La trama

Isabella è una giovane vedova che vive da sola in un quartiere popolare di Latina con il figlio Paolo, un ragazzino di dodici anni che sembra avere un grande talento calcistico. La madre ogni giorno rincorre la missione di garantirgli l’avvenire migliore. La carriera calcistica con il suo sinistro infallibile sembra l’unica via percorribile per un futuro di successo. Il mondo del calcio però, fin dalle giovanili, si rivela tutt’altro che semplice: un ambiente non alla portata di tutti, dove persone spietate lucrano sul talento dei giovani e sugli sforzi delle loro famiglie.

Il contesto è quello popolare e precario, persone e famiglie in difficoltà che hanno un’ultima chance e poco più per riscattarsi, o forse nemmeno quella. Un sogno, quello del calcio, per elevarsi dal basso delle loro vite risicate, costretti in case grandi come camere di motel o poco più. Una madre sola che punta ogni cosa sul figlio per sconfiggere la situazione di precarietà economica e morale che l’attanaglia. Un desiderio di riscatto che passa per i propri figli e per il loro futuro.

Non siamo nella Tor Pignattara di Fortunata di Sergio Castellitto, ma con quel contesto e con quella storia troviamo delle similitudini. Non c’è la ricerca di indipendenza che passa da sé stesse, ma c’è un “macigno” che viene sganciato sulle spalle di un figlio ancora troppo giovane. Il mondo del calcio professionistico attende, dove il talento non basta ma serve qualcosa di più. Il sogno di diventare un giocatore di un top club europeo, di diventare il prossimo Totti o Del Piero coinvolge moltissimi giovani e moltissimi genitori illusi che i propri figli possano proiettarsi nell’olimpo del calcio.

Il mondo del calcio, fabbrica di illusioni

La verità è che l’industria del calcio cannibalizza le vite e la quotidianità di famiglie intere che dedicano tutto alla possibilità dei loro figli di sfondare. Ancore di salvezza per famiglie povere che vedono in quel mondo, nel talento e nelle doti naturali, come il sinistro di Paolo, l’unico sogno praticabile. I genitori sono più accaniti perseguitori dei figli, di quel desiderio di fama e successo. Ed ecco che arrivano gli osservatori e i talent scout pagati per dare una chance ai propri figli, o i procuratori o approfittatori che speculano sui sogni dei più giovani e dei loro famigliari.

Poi ci mettono del loro anche i genitori che vessano i giovani figli se non giocano bene, perché ognuno ha l’obbligo di diventare un campione. In questo Mancino Naturale, Isabella sottolinea continuamente a Paolo l’importanza di allenarsi, vuole che sfondi a tutti i costi, anche se c’è da mettere da parte lo studio e la scuola. Lei è una madre forte e determinata, dedita al figlio, che riversa su di lui tutte le sue speranze. É tanto determinata nel proteggerlo quanto è, al contempo, frustrata e arrabbiata, schiava di un’ossessione: suo figlio può diventare una stella del calcio. Una conseguenza questa dei sensi di colpa del suo passato o una valvola di sfogo per perdonarsi i propri errori? Quel sogno forse nasce da un rimpianto? Riuscirà a lasciare Paolo libero di scegliere il suo futuro, senza pressioni?

Madre, figlio e un procuratore senza scrupoli

Mancino Naturale ci porta in evidenza due temi principali: una famiglia in difficoltà e un sistema malsano, questa potrebbe essere una sintesi. Claudia Gerini è molto brava nell’interpretare una delle vittime di questo sistema: Isabella, madre tenace e disperata che si aggrappa con le unghie a un sogno per suo figlio e lo difende come fosse l’unica cosa percorribile al mondo. Non importa se lui non lo ha scelto, se magari voleva fare il musicista, ma ha quel dono della natura, un sinistro speciale. Il personaggio di Isabella si impone come potente e sicuro, ma al contempo scopre delle crepe, delle debolezze. Alla fine scopre le sue fragilità, che prima maschera con la prepotenza e l’aggressività “coatta”, e poi invece riconosce e interpreta con consapevolezza. Una crescita del personaggio che si prende la scena in modo credibile e convincente, appassionando lo spettatore.

Il figlio Paolo è un bravo ragazzino, un po’ solo. Per le compagne è troppo asociale, non può perdere tempo con i suoi amici e neanche con la scuola, perché deve dedicarsi al calcio. Il giovanissimo Alessio Perinelli ne incarna benissimo la malinconia.

Marcello D’Apporto, un procuratore senza scrupoli. Il personaggio interpretato da Massimo Ranieri è l’incarnazione del male: sporco, trasandato, meschino e manipolatore. Approfitta economicamente dei genitori che vogliono che i figli sfondino nel calcio, in una rappresentazione fatta persona di un mondo malsano.

L’importanza della cultura al fianco dello sport etico

Gli antidoti possono essere la scuola e la cultura che devono affiancare lo sport e non sottostargli. Una chiave importante per comprendere la vita e difendersi. In questo, Fabrizio, uno sceneggiatore sottopagato ingaggiato da Isabella per dare ripetizioni al figlio, ha un ruolo cruciale nel riportare il figlio e anche la madre sui giusti percorsi. Ottimo Francesco Colella, calato perfettamente nei panni del professore e della guida. Il suo mondo, quello dell’arte e dello spettacolo, non è proprio esente da oscurità come quello del calcio e lo scopriremo nel film. Insieme però sapranno superare le criticità e a sconfiggere gli sciacalli che approfittano dei più deboli.

Una menzione speciale ai suoceri di Isabella, i nonni Maria (Katia Ricciarelli) e Gerardo (Alessandro Bressanello) che da Vicenza danno soccorso alla famiglia e alle reali necessità del piccolo Paolo. Insieme a Fabrizio, anche se con modalità diverse, aiutano la madre a superare i suoi fantasmi. Due figure paterne che arricchiscono la trama dell’opera in modo cruciale e indispensabile.

Una storia reale e concreta, non solo un film sullo spietato mondo del calcio

Salvatore Allocca, con coraggio e con personaggi credibili porta il mondo del calcio giovanile al cinema. Un film che trova la sua posizione e la sua unicità di sguardo sul tema, nonostante opere recenti che già hanno cavalcato il tema calcistico come Il Campione, la serie di successo Speravo de morì prima e svariati biopic più o meno riusciti.

Mancino Naturale è una commedia drammatica che racconta di periferie e di disagio. Non siamo di certo davanti a una commedia; bensì a un dramma contemporaneo che non disdegna il lato comico del reale. Qualche ispirazione attinge al grande bagaglio del nostro cinema della commedia all’italiana. A parte il focus calcistico, ritornano temi universali non nuovi per un film non sofisticato ma che riesce ad essere vero e autentico. Un film equilibrato che racconta storie concrete, i personaggi sono reali con le loro contraddizioni e i loro chiaroscuri. Non c’è un cast così vasto, ma tuttavia è molto efficace. L’approccio neutro e realistico della regia, pulita, lineare, classica, non sovraccarica l’opera che lascia espressione alla storia e agli accadimenti. Inoltre, l’utilizzo di una linea musicale contemporanea, con molti artisti emergenti di oggi, caratterizza, non a caso, il film e il registro dell’opera che vuole parlare ai giovani.

Mancino Naturale, dunque, ha il pregio di essere un film semplice, ben messo a fuoco sui giusti nuclei tematici, dotato di una progettualità senza essere velleitario. Un film concreto che parla del reale e di alcune problematiche con il giusto livello di impegno e dissacrante leggerezza.

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