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Interviews

Alessandro Melazzini racconta la sua ‘Italo Disco’ che sta facendo il giro del mondo

Il documentario del regista italiano che vive a Monaco da più di 20 anni ha chiuso la rassegna di cinema tedesco nella capitale italiana

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Un interessante fenomeno quello raccontato dal documentario di Alessandro MelazziniItalo Disco, presentato al Festival del cinema tedesco 2022 di Roma. A spiegare il perché dell’importanza di questa parte della storia della musica è lo stesso regista (e produttore!) del film.

La genesi di Italo Disco di Alessandro Melazzini

Com’è nata l’idea di questo film? E soprattutto quanto ha influito il fatto che tu sia un italiano con la cittadinanza tedesca e che questo film abbracci in qualche modo entrambi i paesi?

Come hai detto, vivo da 22 anni in Germania; ho la doppia cittadinanza e la mia carriera documentaristica l’ho iniziata proprio in Germania. Quindi c’è un elemento tedesco, anche perché collaboro con Arté, il canale franco-tedesco di documentari e quindi quando faccio questi lavori il mio sguardo è verso l’Italia, che cerco di raccontare al di là degli aspetti classici. Mi piace trattare temi che inizialmente possono sembrare superficiali mostrando quello che c’è dietro. Per esempio ho fatto un documentario su Cicciolina che in Italia è passato su Sky e per il quale ho lavorato in questa direzione.

alessandro melazzini italo disco

Italo Disco è stato un ritorno all’aspetto pop delle mie tematiche. Lo trovo interessante perché piuttosto misconosciuto in Italia. Pochi lo conoscono e spesso viene considerato un fenomeno di trash o comunque qualcosa di passato. Invece il mio interesse era dimostrare che questa musica ha varcato le Alpi negli anni ’80 e, tramite la Germania, è andata nel mondo. E c’era tutta una serie di elementi per renderlo divertente, ma anche internazionale. Facendo documentari dalla Germania che guardano all’Italia con una distribuzione internazionale, devo necessariamente trovare temi che possano interessare vari pubblici. E questo film mi sta dando ragione perché sta girando bene il circuito dei festival, anche se è un documentario televisivo.

Le figure nate dall’Italo Disco

Sicuramente è un film che si può definire internazionale, anche nella scelta e nella selezione che hai fatto degli interventi e degli intervistati che sono comunque conosciuti, chi da una fetta di pubblico e chi da un’altra. Come li hai selezionati?

Prima di tutto ho cercato di non riprendere solo cantanti. Ci sono molti film amatoriali di fan che sono un susseguirsi di interviste. Per me, invece, era importante raccontare la molteplicità di questo mondo; quindi, non soltanto i cantanti (che spesso erano progetti fatti dai produttori a tavolino). È stato importante, infatti, dare spazio ai produttori come i La Bionda, una coppia geniale e conosciutissima da chi è esperto di musica.

Ma ho voluto raccontare anche i compositori, come Pierluigi Giombini, autore di hit mondiali come La dolce vita, Masterpiece e I like Chopin. E poi dare risalto anche alla figura del deejay. Tra questi Claudio Casalini, decano dei deejay romani, e Daniele Baldelli, il deejay della Romagna. Anche perché questa figura nasce grazie all’Italo Disco: con l’avvento delle megadiscoteche il ruolo del deejay diventa quello di sacerdote della musica. E quindi era interessante raccontare come una musica sconosciuta sia stata una palestra sotto tanti aspetti, produttivi e creativi. Anche perché c’è da dire che spesso l’Italia fa delle cose che poi vengono professionalizzate all’estero e ci si dimentica che sono, invece, nate qui.

Sono partito facendomi una domanda: «come mai non era ancora stato fatto su ARTE un documentario sulla Italo Disco?».

In realtà anche la questione dei cantanti è particolare perché, per esempio, da una parte Sabrina Salerno è famosa in tutto il mondo (anche se è stata il filone finale di Italo Disco), dall’altra ci sono cantanti come Savage (Roberto Zanetti), conosciuto principalmente dai fan. É stato interessante, quindi, andare a ripescare. Poi posso citare anche i Righeira, conosciuti in tutto il mondo e, per loro, mi sono soffermato sull’aspetto ironico del futurismo. A volte il documentario si prende troppo sul serio ed è giusto anche che sia così.

Secondo me, però, è altrettanto importante avere un occhio sui fenomeni pop, andando a scoprire delle radici culturali che non ci si aspetta. E in questo per me è stato fondamentale il ruolo di Ivo Stefano Germano, il sociologo che già avevo intervistato nel documentario su Cicciolina e che è stato il vero eroe del film. Ho utilizzato in vari frangenti il suo commento che non penso risulti pedante.

alessandro melazzini italo disco

No, per niente. Anzi sembra quasi un commento alla deejay. Volevo, appunto, chiederti se la scelta è stata fatta proprio in questa direzione.

Trovo che il ritmo della narrazione di un documentario, anche non musicale, sia fondamentale per coinvolgere lo spettatore. Motivo per cui volevo avere Massimiliano Cecchini come montatore di questo lavoro, visto che trovo in lui un grande senso del ritmo. Italo Disco, nascendo come prodotto televisivo, non ha la comodità di essere un documentario cinematografico, che permette all’autore di prendere in ostaggio gli spettatori per due ore al cinema. Piuttosto, un documentario tv deve saper catturare lo spettatore velocemente e convincerlo che vale la pena impiegare il suo tempo nel vederlo. Quindi c’è anche una narrazione che deve catturare. In questo sapevo che Ivo, oltre a essere un grande amante ed esperto del genere, ha anche un modo di raccontare che cattura.

La scelta dei brani per Italo Disco di Alessandro Melazzini

Effettivamente il ritmo è uno degli elementi che colpisce di più fin da subito. E non dev’essere stato facile: credo non sia stato semplice nemmeno scegliere i brani.

La scelta musicale è stata uno degli aspetti più delicati e difficili. In questo ho dovuto ragionare sia da regista sia, soprattutto, da produttore. E quindi ho dovuto mettermi i guanti da box per questo ruolo e affrontare, con tutta la mia debolezza di produttore indipendente, le major discografiche, che danno le musiche col contagocce per motivi di diritti. É stato un lavoro complesso, sia per la contrattazione sia a monte, per l’indagine volta a scovare tutti gli aventi diritti, considerando anche che si parla non solo di hit mondiali ma anche di canzoni meno conosciute e non facilmente rintracciabili. Vi è stato un elemento investigativo che lo spettatore giustamente non conosce, ma senza il quale il film non sarebbe nato. Non è stato facile, ma faceva parte del gioco.

Alessandro Melazzini in Italo Disco: regista e produttore in un film di passaggio

Visto che hai toccato l’argomento, cosa significa essere sia regista che produttore?

Produttore lo sono dovuto diventare quando ho fatto il mio primo film, poiché – da autodidatta – nessuno mi conosceva e avrebbe investito in me. Poi, avendo iniziato così e avendo visto che mi riusciva, ho deciso di proseguire. Ho fatto e faccio il produttore di altri documentaristi e, tranne in un’occasione, anche dei miei film. Ed è qualcosa che non è scontato: sono due ruoli diversi spesso in conflitto tra loro. Però, per me, il contrasto e il vivere tra due mondi è qualcosa che mi viene naturale e spontaneo.

Alla luce di quello che hai appena detto e dei tuoi precedenti lavori nei quali sembra che la maggior parte della questione ruoti intorno all’Italia, si può considerare Italo Disco come una sorta di passaggio?

Cerco sempre di migliorarmi, anche dal punto di vista tecnico. Diciamo che c’è stata veramente un’alchimia, considerato che vivo a Monaco di Baviera, la capitale della Disco negli anni ’70, dove i La Bionda registrarono anche alcune canzoni dei Righeira. Quindi c’è un forte elemento bavarese, ancora più che tedesco, che uno non si aspetterebbe, considerando la Italo Disco interamente italiana. Quindi sì, è veramente una fusione collaborativa di due mondi. E per me, che mi muovo sul filo difficile tra Italia e Germania, il progetto è andato in questo senso.

Italo Disco di Alessandro Melazzini: cosa imparare

Più che un documentario, lo definirei un vero e proprio viaggio nella storia della musica. Ed effettivamente è strano, come hai detto anche te all’inizio, che nessuno abbia mai pensato di parlare di questo tema e farci un film.

A parlarne prima di me ci hanno pensato vari fan realizzando alcuni documentari, tuttavia non pensati per una messa in onda. Sono opere che tuttavia da studioso ho guardato e apprezzato, al punto di omaggiare il regista Pietro Anton nel mio documentario. In una delle belle illustrazioni di Flavio Rosati, si vede, infatti, Pietro comandante di un’astronave, al cui fianco vi è anche Guglielmo Parisani, ricercatore d’archivio e collaboratore al film. E questo anche per suggerire che la narrazione è un continuo costruirsi. Ma anche uno dei protagonisti è un vero fan, parlo di Flemming Dalum, che abbiamo intervistato in Danimarca affiancato dalla sua mega collezione di vinili.

Alla fine, quindi, è stato un modo, anche per te, per imparare; non solo far conoscere la Italo Disco al pubblico, ma anche a te che hai potuto scoprire aspetti nuovi.

A me piace imparare. Faccio documentari per conoscere meglio il mondo. Conoscevo quella musica, ma non sono un fan sfegatato della Italo Disco. Avevo semplicemente l’interesse dello studioso di avvicinarmi a un mondo per scoprirlo e raccontarlo. Proprio perché per me i documentari sono un modo per imparare e poi raccontare agli altri. Altrimenti, dal mio punto di vista, è un mettersi in cattedra. Ho agito allo stesso modo quando ho realizzato i documentari su Ilona Staller, sullo Stelvio e sui monaci cistercensi.

Alessandro Melazzini al festival di cinema tedesco con Italo Disco

Cosa significa per un film come Italo Disco essere presente al Festival del cinema Tedesco? Come giudicheresti questa scelta? Cosa vuol dire per te e per questo film?

Sicuramente è una cosa divertente: è divertente arrivare a Roma da italiano che vive in Germania parlando di un fenomeno italiano all’interno del festival del cinema tedesco. È un doppio salto carpiato che trovo bizzarro e divertente.

Ma vediamo il cinema di Alessandro Melazzini oltre Italo Disco. Per questo film o, in generale, per altri tuoi titoli ti sei ispirato a qualcuno o qualcosa in particolare? Hai un cinema di riferimento o uno al quale ti ispiri?

Ho delle passioni che non sono totalizzanti e che sono poco italiane. Per esempio, a me piacciono tantissimo Lynch, Tarkovskij, Refn e poi Bergman. Per quanto riguarda il mondo dei documentari, non posso non citare Werner Herzog che, tra l’altro, è nato a un km da dove abito io a Monaco. E queste le considero delle affinità elettive. Per quanto riguarda l’Italia, però, posso citare Pupi Avati che mi piace molto nei film anni ‘70 che faceva, e che univano atmosfere dell’Emilia Romagna all’horror. Poi anche Garrone e Sorrentino. Ma in generale mi lascio ispirare da tutto quello che faccio, che vedo e che sento. Non ho alcun paletto. Per rispondere alla tua domanda, comunque, dovendoti dare alcuni nomi ti dico questi che sono un misto di noir e realismo magico. Poi naturalmente non è che Italo Disco sia influenzato da questo.

Andando oltre il cinema, per il quale in realtà ci sarebbero mille registi da citare, un ruolo molto importante nel mio percorso è stato quello della letteratura. In fondo Kafka è stato uno dei motivi per cui ho imparato il tedesco: perché volevo leggerlo in lingua originale. Lui è incredibile perché incomprensibile. Chi vuole dargli una spiegazione non capisce la grandezza di questo autore che parla dell’incomunicabilità. Ed ecco perché ho citato Lynch tra gli autori di cinema, perché ha questo aspetto filmico.

Un documentario universale

Questo si ricollega al tuo modo di fare documentario: trasmettere qualcosa.

Da una parte c’è l’aspetto pedagogico e istruttivo di raccontare, dall’altro c’è il desiderio di trasmettere un’emozione. In questo documentario, per esempio, io ci ho visto anche malinconia. Gli archivi che ho usato, visti adesso, fanno capire come tutto.

Secondo te è corretto definirlo un film universale? O secondo te è più mirato a un pubblico specifico? Io l’ho visto come un film per tutti, in tutti i sensi.

Sì, perché l’idea è quella di raccontare un mondo a chi non lo conosce, ma anche dare aspetti ai fan, a tutti coloro che credono di conoscere tutto. L’intento è parlare a un grande pubblico che spesso, però, è sinonimo di non qualità. Ho usato un linguaggio sofisticato, ma sempre nel rispetto del pubblico. Ivo Stefano Germano, chiaramente di parte, dopo aver visto Italo Disco a Torino, mi ha detto «hai fatto la cappella sistina della Italo Disco».

Alla fine è universale in tutti i sensi, anche geograficamente parlando.

Eh sì, anche perché è stato invitato ad altri festival. Tra questi IndieLisboa, Thessaloniki Documentary Festival, International Film Festival Rotterdam, Ji.hlava International Documentary Film Festival, Festival di Torino e Festival del Cinema Tedesco a Roma. In attesa di continuare a viaggiare.

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Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli

Italo Disco

  • Anno: 2021
  • Durata: 62'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: Italia, Germania
  • Regia: Alessandro Melazzini

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